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·13. November 2025

ESCLUSIVA PSB – Prina: “L’Entella e il ‘modello Cittadella’, Gilardino il mio orgoglio! Samp? Non ne terrei neanche uno, Foti è senza patentino!”

Artikelbild:ESCLUSIVA PSB – Prina: “L’Entella e il ‘modello Cittadella’, Gilardino il mio orgoglio! Samp? Non ne terrei neanche uno, Foti è senza patentino!”

Luca Prina è un uomo e un allenatore dalle mille sfaccettature: nella sua carriera ha condotto la Virtus Entella per la prima volta nella sua storia in Serie B, è stato colui che ha scoperto per primo il talento di Alberto Gilardino e che, per primo, ha deciso di lanciare i giovanissimi Francesco Zampano e Fabio Gerli, diventati ora due colonne portanti del Modena. Ma è anche quella persona che ha deciso di ripartire dall’Eccellenza per rilanciare la sua Biellese, ristrutturando la società dalle fondamenta e riportandola a ridosso del professionismo dopo anni terribilmente bui.

Tutte queste conquiste non vengono dal cielo, ma dall’amore per il suo ruolo, vissuto sempre con l’animo dell'”insegnante” e non del “gestore”. Intervistato in ESCLUSIVA ai microfoni di Pianeta Serie B, l’attuale tecnico della Biellese è tornato con la memoria ai tempi di Chiavari e di Mantova, analizzando le rispettive situazioni e differenze che ritroviamo ai giorni nostri. Data la miriade di calciatori allenati, non si poteva non parlare dei vari Zampano, Gerli, Zuelli, Bertagnoli, Varas, Pierozzi, Caprile: tutti calciatori che, dopo aver incontrato Luca Prina, hanno spiccato il volo. Di seguito l’intervista completa.


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La nostra chiacchierata non poteva che partire da quel momento che ha rappresentato l’apice della sua carriera da allenatore finora, ovvero la storica, prima partecipazione in Serie B della Virtus Entella. Che ricordi ti evoca quella stagione e che rapporto hai con il presidente Antonio Gozzi?

“Mi evoca ovviamente ricordi dolcissimi, sono contento di poter ritornare con la memoria a quei momenti che hanno significato tanto per me. È bene rammentare, però, che quel traguardo è stato frutto di un lavoro durato quattro anni; al giorno d’oggi, purtroppo, per un allenatore è difficile per diversi motivi lavorare per così tanto tempo in una società. È stata una bella favola, ho mantenuto e mantengo tutt’ora un rapporto splendido con i tifosi e con la piazza. Gozzi è entrato nel mondo del calcio solamente nel 2007 e, da buon imprenditore, si è reso conto immediatamente che quell’industria è tutto un altro paio di maniche rispetto all’imprenditoria solita. Essendo però una persona dotata di un’intelligenza, una cultura e una preparazione sopraffina è riuscito a creare a Chiavari una realtà solida e duratura”.

Tra le fila di quell’Entella c’erano diversi giocatori che sarebbero diventati, in seguito, delle colonne portanti della Serie B. Mi riferisco in particolare a Francesco Zampano e Fabio Gerli, che attualmente stanno trascinando il Modena nelle primissime posizioni di classifica a suon di prestazioni.

“Mi fa molto piacere che mi venga chiesto di loro, come di altri, perché io non sono mai stato un gestore. Sono sempre stato convinto, avendo pure una lunga esperienza nei settori giovanili, che l’insegnamento sia una parte fondamentale del ruolo dell’allenatore. E quando vedo che alcuni calciatori che ho allenato riescono ad affermarsi in categorie importanti, mi piace pensare di essere stato una parte fondamentale del loro percorso anche se, probabilmente, sarebbero arrivati dove sono senza avermi incontrato prima. Gerli l’ho aggregato al ritiro della Prima Squadra quando aveva solo 16 anni e mezzo, mentre Zampano l’avevo adocchiato andando a visionare alcune partite della Juniores. Mi colpì: era molto dotato per l’età che aveva, e quindi ho deciso di portarlo in pianta stabile con i grandi. Si è fatto le prime sette gare di “apprendistato”, poi l’ho messo titolare in una trasferta a Savona e da quel momento non è più uscito dal campo. Il Modena è il classico club di Serie B, con alle spalle una proprietà che ha investito parecchio nel progetto e che, con Catellani, è riuscita quest’anno a costruire la squadra giusta per ambire a traguardi importanti. Quanto importanti saranno lo vedremo a tempo debito”.

Malgrado in molti la dessero come spacciata ancora prima di iniziare il campionato, la Virtus Entella sta invece dimostrando di essere una squadra capace di tenere testa alla Serie B. Ti chiedo cosa ne pensi della rosa e del lavoro di Chiappella.

“Io penso che, giustamente, l’Entella ha capito che per sopravvivere in cadetteria avrebbe dovuto un po’ snaturarsi, cambiare la strategia di approccio. Non avendo grandissime disponibilità economiche, in confronto anche ad altre squadre, la rosa è stata costruita mantenendo grossomodo l’ossatura solida proveniente dalla Serie C e comprando alcuni calciatori a costi contenuti che avessero una certa fame di affermarsi, prendendo come esempio il “modello Cittadella”. Lo stesso medesimo ragionamento è stato applicato con la scelta dell’allenatore: Chiappella è giovane ed emergente, non ha mai allenato in Serie B ma possiede quella sana voglia di arrivare ad alti livelli”.

Un altro capitolo della tua carriera da allenatore ti ha portato in quel di Mantova. Venendo ai giorni nostri, ti sorprende questo inizio di stagione tumultuoso che, tra le altre cose, ha portato la proprietà ad ingaggiare Leandro Rinaudo, tuo ex giocatore all’Entella, nel ruolo di DS?

“È stato un capitolo un po’ meno felice, ma solo perché c’era una società fatiscente che ha portato poi al fallimento del club. Non posso esimermi dal fare i complimenti ai tifosi: il loro approccio è “all’inglese”, nel senso che hanno un attaccamento viscerale alla squadra e sanno riconoscere la bontà di un progetto anche se inizialmente i risultati non arrivano. Io ero il terzo allenatore della stagione e siamo partiti con tre sconfitte consecutive, ma il pubblico non ha mai smesso di sostenerci e, alla fine, abbiamo raggiunto una salvezza fantastica. Oggi al Mantova va fatto un applauso, perché ha ragionato in controtendenza: nonostante adesso ci sia l’abitudine a cambiare guida tecnica appena le cose non vanno come ci si aspetta, il presidente Piccoli ha invece deciso di rinnovare la fiducia a Possanzini, che tra l’altro era mio compagno di corso a Coverciano. Ora gli sforzi stanno venendo ripagati, come si evince dalle due vittorie consecutive con Sampdoria e Padova. Bisogna pure considerare che quello che proponi oggi, domani potrebbe non funzionare, e reinventarsi in maniera funzionale non è sempre semplice. A inizio anno si viaggiava con la fantasia, ma io credo che la rosa sia oggettivamente da salvezza e non da obiettivi più nobili. Quando ho allenato Rinaudo era al crepuscolo della sua carriera da giocatore: posso dire che era un ragazzo sveglio, applicato ed è stato bravo a costruirsi un futuro al di fuori del campo da gioco”.

Al rientro dalla sosta per le nazionali è in programma la sfida tra Carrarese e Reggiana, in cui si fronteggeranno vis a vis Emanuele Zuelli e Massimo Bertagnoli, che hai allenato per un breve periodo nella Primavera del Chievo. Che ricordi hai dei due centrocampisti e cosa pensi delle due squadre?

“Sono orgogliosissimo di entrambi: anche se li ho potuti allenare per poco tempo, ho trovato ragazzi umili e vogliosi di imparare. Quel Chievo era fortissimo: oltre a Zuelli e Bertagnoli c’erano Caprile in porta ed Emmanuel Vignato in attacco, ed infatti abbiamo vinto diversi tornei prestigiosi. Carrarese e Reggiana sono due realtà molto diverse tra loro: i toscani sono partiti da lontano, ma stanno dimostrando che, con il lavoro quotidiano e sotto la guida sublime di Antonio Calabro, possono dire ampiamente la loro in Serie B. Personalmente, con la mia Biellese spero di riproporre un percorso simile. I granata, invece, hanno tutto un altro seguito e delle rivalità spiccate con le realtà emiliane che gli gravitano nelle vicinanze. Nella rosa non ci sono nomi altisonanti, ma con l’organizzazione si sta ritagliando un ruolo centrale in cadetteria”.

Restando sull’argomento Serie B, quali sono le squadre che vedi più accreditate per la promozione? Quali, invece, ti sembrano le candidate più probabili alla retrocessione?

“Come al solito, la classifica di Serie B sarà estremamente corta: tra l’ultimo posto dei playoff e il primo dei playout balleranno una vittoria e un pareggio, quindi assisteremo a diversi drammi sportivi a fine anno. Potrebbe essere l’anno buono per il Modena, ma quello che mi stupisce maggiormente è vedere il Palermo già così attardato. I rosanero saranno l’ago della bilancia: moriranno con Inzaghi, a cui sono state apparecchiate tutte le condizioni e a cui sono stati comprati determinati giocatori, ma al momento non stanno rispettando le attese. Tra l’altro lui aveva già fiutato che a Pisa sarebbe potuta andare male e ha deciso di andarsene, anche se ora Gilardino sta facendo miracoli. Secondo me Mantova e Virtus Entella alla fine riusciranno a salvarsi, mentre la Sampdoria mi sembra già spacciata. Il Pescara lo vedo abbastanza inguaiato, perché la squadra è stata costruita in fretta e furia e ora alla guida è stato messo un allenatore come Gorgone, che non ha mai allenato in Serie B. Ogni categoria ha le sue dinamiche e peculiarità, e chi non le conosce può trovarsi in netta difficoltà”.

E la Sampdoria?

“La Sampdoria si ritrova in una situazione veramente disastrata: il livello di caos lo si percepisce dal fatto che hanno ingaggiato un allenatore senza patentino (Foti ndr)! È una situazione che non può esistere: io ho potuto fare il master solo tramite la vittoria di alcuni campionati perché non avevo un passato da calciatore professionista, mentre ora vedo questa situazione con Gregucci come prestanome. La retrocessione potrebbe essere l’unico modo per ripartire perché, al momento, io non vedo nulla da cui ripartire. Ma proprio zero. La Serie B è una categoria da “operai specializzati”: della rosa che hanno costruito, che oltretutto è stata onerosa, non ne terrei nemmeno uno! Mettiamoci inoltre problemi economici allucinanti e un CEO venuto dalla Danimarca (Fredberg ndr) che non conosce il calcio italiano e utilizza gli algoritmi… La Sampdoria ha bisogno di concretezza, non di fantascienza. Chi gestisce la quotidianità, ad esempio? Non saprei, è un po’ tutto lasciato allo sbando”.

Essendo un allenatore navigato, ti chiedo quali sono i colleghi che più ti hanno convinto/entusiasmato finora per prestazioni o principi di gioco?

“Faccio una premessa: essendo allenatore, detesto se qualcuno con i miei gradi giudica il mio operato (anche se è accaduto), quindi non mi sento nella posizione di criticare o elogiare il lavoro di altri, perché non sono nessuno e non conosco le situazioni interne ai vari club. Posso solo dire che sono stato capace di levarmi di dosso un certo assolutismo e sono andato in visita ai miei colleghi per studiare ed imparare il più possibile. L’ho fatto anche con Roberto De Zerbi, pur non condividendo la sua filosofia, ed è stata ugualmente un’occasione di crescita. Gilardino è il mio più grande orgoglio, perché l’ho portato io alla Biellese e poi si è dimostrato un calciatore e un allenatore veramente fantastico; è stato mio vice a Rezzato, ma ora sarei onorato di poter fare parte del suo staff tecnico. A Rezzato ho avuto modo di allenare anche Kevin Varas: ci ho messo qualche tempo a fargli capire e ad inculcargli che poteva ambire al salto di qualità, e ora sono contento che stia raccogliendo i frutti a Padova. Nessuno gli ha mai regalato niente, i traguardi che ha raggiunto sono tutti merito suo; è partito dal basso, dall’Eccellenza, e ora è arrivato ad alti livelli, seppur ad un età avanzata”.

Durante la tua avventura alla Pro Patria hai avuto modo di allenare Niccolò Pierozzi, che è stato autore di un inizio super da 4 gol e 2 assist. Che ricordo e che opinione hai di lui?

“Mi ricordo di un ragazzo umile e con tanta voglia, sono veramente contento che si stia ritagliando un ruolo di primissimo piano al Palermo. Stanno elogiando giustamente le sue qualità offensive, che si intravedevano pure quando l’ho allenato io quattro anni fa, ma con lui avevo fatto un lavoro mirato sulla fase difensiva perché in quel fondamentale peccava, era un po’ il suo tallone d’Achille. Fa piacere vedere che sia cresciuto enormemente anche da quel punto di vista”.

In conclusione, a Mantova sei stato l’allenatore di Filippo Boniperti, nipote del grande Giampiero. All’epoca aveva già 88 anni, ma ti chiedo se hai mai avuto la possibilità di scambiare quattro chiacchiere con lo storico ex presidente della Juventus?

“Purtroppo non è mai venuto a vedere le partite del nipote, quindi non ho mai avuto modo di parlarci. Il ragazzo era molto schivo, non era uno che sbandierava a destra e sinistra questa parentela. Forse è stato questo il suo limite, gli pesava un po’ troppo portare quel cognome sulle spalle. Aveva degli evidenti problemi caratteriali, ma era molto forte tecnicamente e io ricordo assolutamente un ragazzo piacevole e a modo. Inizialmente gli avevo concesso diverse presenze ma, complici alcuni infortuni, non ha potuto avere continuità: un’altra delle promesse mai mantenute del calcio italiano”.

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