Florenzi si racconta: «Roma, Milan, quanti ricordi! Mi ricordo l’abbraccio con la nonna e dico…» | OneFootball

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·4. Dezember 2025

Florenzi si racconta: «Roma, Milan, quanti ricordi! Mi ricordo l’abbraccio con la nonna e dico…»

Artikelbild:Florenzi si racconta: «Roma, Milan, quanti ricordi! Mi ricordo l’abbraccio con la nonna e dico…»

Alessandro Florenzi, ex bandiera della Roma, ha voluto rilasciare qualche dichiarazione sul suo passato

Per la consueta rubrica “L’album dei ricordi” oggi La Gazzetta dello Sport intervista Alessandro Florenzi. Una vita alla Roma, un’esperienza al Milan e tanto altro.

RITORNO ALLE ORIGINI «I miei gestivano un campo sportivo ad Acilia, vicino Roma. Quando uscivo da scuola andavo dietro ai container che facevano da spogliatoio, c’era uno spazietto sterrato dove passavo le mie giornate con un pallone, il triplice fischio me lo dava mia madre quando urlava che chiudevamo e dovevamo tornare a casa. Ero un bambino felice, ero piccoletto e tutti mi chiamavano Sandrino».


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LA SCELTA DELLA ROMA «I miei mi fecero: scegli tu, il posto in cui ti senti più a tuo agio. E appena uscito da Trigoria dissi subito: “Voglio giocare qui”. Mica pensavo che ci avrei passato quasi tutta la carriera…».

GLI INIZI E L’IDOLO PIZARRO «Giocavo vertice basso del centrocampo a tre e a quei tempi “Pek” dettava legge, rubavo da lui movimenti e giocate. Un altro che adoravo era Fabregas. Poi di ruoli ne ho fatti tanti, ero la gioia dei fantacalcisti, mi compravano e vincevano».

I DUE BATTESIMI NEL CALCIO PRO «L’esordio in Serie A al posto di Totti, indimenticabile. E il prestito a Crotone, che mi ha cambiato la vita. Per la prima volta vivevo da solo e per di più in una città nuova, dovevo farmi la spesa, cucinare… cose che ti fanno diventare uomo».

LA SCARAMANZIA «Kalmar, 2013, playoff di qualificazione all’Europeo. Eravamo un gruppo scaramantico, in ogni trasferta una partita alla Play non poteva mancare. In hotel ci guardammo negli occhi dopo essere usciti dalle stanze, c’era un problema: le tv erano vecchie, non avevano l’attacco dei cavi. Ma a quel rito non si poteva rinunciare, facemmo una colletta, mandammo l’addetto stampa a comprare un televisore e lui tornò con una roba enorme. La scaramanzia funzionò, il giorno dopo vincemmo, segnammo io, Insigne e Immobile. Com’è, come non è, quella tv gigante ce la portammo dietro, e appena arrivati in aeroporto ci dissero che saremmo partiti in ritardo a causa di una burrasca. La attaccammo lì, tra i sedili dell’attesa, tirammo fuori la console e ci mettemmo a giocare. I videogames servivano».

IL SEGRETO PER VINCERE «Era un gran bel modo per stare insieme. In una camera ci ritrovavamo anche in 12-13, scherzavamo, ci raccontavamo, diventavamo amici. Se in carriera ho imparato qualcosa è che quello è il segreto per vincere. Un singolo ti può fare la giocata da tre punti, ma il campionato te lo fa vincere il gruppo».

IL PUSKAS AWARD A WENDELL LIRA «Ci rimasi male, secondo me è sbagliato il regolamento. Si parla di oggettività rispetto alla competizione, però io avevo segnato in Champions e lui in Brasile nel campionato Goiano… Mi resta la gioia di aver fatto un gol che ne vale almeno due».

L’ABBRACCIO A NONNA AURORA «Nonna Aurora non era mai venuta allo stadio, il giorno prima della partita col Cagliari le dissi: ‘Se segno vengo su ad abbracciarti, non me ne frega niente’. La cosa che mi rimane ancora impressa è lo sguardo di De Rossi quando sono rientrato in campo e l’arbitro mi ammoniva. Si avvicinò e mi disse: “Hai fatto una cosa veramente incredibile. Ma se ora fai qualche cavolata e prendi un altro giallo, ti ammazzo davanti a tutti”. Mi si gelò il sangue, quando parlava Daniele parlava uno sceriffo… Dopo la partita siamo scoppiati a ridere».

LA ROMA E LO SCUDETTO SFIORATO «Non lo considero un demerito nostro, con Garcia e Spalletti ci siamo arrivati a un passo, eravamo attrezzatissimi. Ma ce la giocavamo con una Juve che faceva 100 punti a campionato…».

L’ADDIO ALLA ROMA «Ci sono state tante incomprensioni, ma non ho mai replicato a tutte le cose dette su di me. Ho sempre voluto far parlare il campo portando rispetto alla maglia: l’ho sudata fino all’ultima goccia, e su questo nessuno potrà mai dire niente. Ci tengo a dire che non ho mai litigato con nessuno, e quando incontro i tifosi mi ricordano con affetto».

I CINQUE PIÙ FORTI «Totti, Ibrahimovic, Neymar, Mbappé e Di Maria. Io sto in panchina e applaudo».

IL PIU’ MATTO «In senso buono Nainggolan, lui vale per cinque. Vive in maniera incredibile, sempre al massimo. Uno fuori dal campo può fare quello che vuole, l’importante poi è quello che fa dentro. E lui lo vedevi con quella grinta, quella ferocia, quella voglia di aiutare i compagni… Ecco, se devo andare in battaglia mi porto Radja».

IL PEGGIO VESTITO «Io, poi sono migliorato. Anzi, peggio di me c’era Manolas: me lo ricordo con una tracolla nera…».

LA PASSIONE PER LA NUMEROLOGIA «Seguendo un podcast e leggendo qualche libro. Se uno somma i numeri della sua data di nascita viene fuori una cifra da 1 a 9: a me è uscito il 7, e l’unico anno in cui ho vinto lo scudetto, al Milan, avevo il 25, 2+5 fa 7. Vede? Colleghi tante cose…».

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