Gian Paolo Montali: «La mia vita nel calcio dopo il volley. Dovevo andare al Napoli, ma De Laurentiis non mi convinse in una cosa. Alla Roma Totti si rifiutò di parlare con gli ultrà» | OneFootball

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·21. Januar 2025

Gian Paolo Montali: «La mia vita nel calcio dopo il volley. Dovevo andare al Napoli, ma De Laurentiis non mi convinse in una cosa. Alla Roma Totti si rifiutò di parlare con gli ultrà»

Artikelbild:Gian Paolo Montali: «La mia vita nel calcio dopo il volley. Dovevo andare al Napoli, ma De Laurentiis non mi convinse in una cosa. Alla Roma Totti si rifiutò di parlare con gli ultrà»

Gian Paolo Montali ricorda tra passato e presente la sua avventura da dirigente: dalla Roma al calcio fino al volley

Gian Paolo Montali deve molta della sua fame all’essere stato un allenatore vincente di volley. Ma da dirigente ha avuto diverse esperienze nel calcio. Le ha raccontate al Corriere della Sera, in un’intervista sulla sua vita.

IL FASCINO DEL VOLLEY – «Il coinvolgimento del gruppo. Il volley è giocato dal maggior numero di persone nel minor spazio possibile, con la necessità, per fare punto, di passarsi la palla. Poi mi ha intrigato la rete che divide: devi battere l’avversario senza il contatto fisico, ma con la strategia e la tattica. Insomma, devi usare bene quei centimetri che stanno sopra le sopracciglia».


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QUALCUNO HA DETTO: “MONTALI É MONTATO” – «A 26 anni allenavo in A, a 29 feci il Grande Slam. L’immagine dall’esterno poteva essere quella, ma era un modo per difendermi. Se parlate con i miei giocatori, il giudizio è differente: non essendo stato un gran pallavolista, mi facevo aiutare dai più esperti. Sono stato sempre “vero” e credibile: devono essere le prerogative di un capo».

LA ROMA – «Rimasi sette giorni da Aurelio De Laurentiis, persona squisita. Stavo per firmare: avevo scelto l’allenatore, Mazzarri, e il direttore sportivo, Bigon. Lessi però l’ultimo comma del contratto: i proventi per i miei diritti di immagine andavano a lui. Eccepii, De Laurentiis tagliò corto: “Funziona così”. Gli chiesi un po’ di tempo per riflettere. Tornai a casa e accesi la tv mentre Sky annunciava che non sarei andato al Napoli. Poco dopo mi telefonarono Rosella Sensi e Paolo Fiorentino di Unicredit. Li incontrai quella stessa sera e mi convinsero a diventare d.g. della Roma: non fu semplice dirlo a De Laurentiis».

UN ESORDIO COMPLICATO – «Era terz’ultima, tiravano sassi al pullman. Scena del primo giorno. Via dei Gladiatori: siamo fermi, polizia in assetto di guerra. I tifosi vogliono che scendano il capitano e un dirigente. Totti si rifiutò, scesi io. La polizia aprì un corridoio, i tifosi vennero da me con una ghirlanda da morto. “Lei non c’entra nulla, ma adesso va sul pullman con la ghirlanda, la dà ai giocatori e dice che sono dei morti: se non vincono questa partita non escono di qui”. Risalii, trovai chi scoppiava dal ridere. Uno mi disse: “Benvenuto nel mondo della Roma”».

LA POLITICA – «Provengo da una famiglia cattolica, con uno zio prete: da bambino, mia mamma mi spediva da lui se facevo una marachella e alla vigilia di Natale dovevo recitare il rosario in latino. Sì, la politica ha provato a tirarmi per la giacca da più parti, ma non mi ha mai convinto. Sono di destra o di sinistra? Io sono un uomo di sport».

TRUMP GOLFISTA – «Lo è, però alcuni libri spiegano come non segni i punti in modo corretto e sposti la pallina con il piede…»

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