PianetaSerieB
·13. Januar 2025
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La domenica di Serie B appena trascorsa è stata senz’ombra di dubbio la più vergognosa degli ultimi anni. Due episodi di insulti razzisti in due stadi diversi a distanza di poche ore: prima nei confronti Mehdi Dorval del Bari al Città del Tricolore di Reggio Emilia, poi nei riguardi di Ebenezer Akinsanmiro della Sampdoria al Mario Rigamonti di Brescia.
Nel primo caso, anche a causa dei lanci di oggetti e delle offese alla guardalinee Di Monte e al resto della terna arbitrale, il direttore di gara Alessandro Prontera ha imposto l’ordine con una sospensione della partita di 5 minuti e oltre. Davide Massa, invece, non ha colto (o forse non ha ritenuto degne di provvedimento analogo) le offese al calciatore che ha poi reagito stizzito a seguito del vantaggio blucerchiato, mimando le movenze di una scimmia dinanzi alla curva avversaria.
Il fischietto l’ha ammonito e, captando il rischio di un altro provvedimento disciplinare causa nervosismo estremo, l’allenatore Leonardo Semplici l’ha sostituito 5 minuti dopo. Anche all’uscita dal campo, Akinsanmiro ha applaudito ironicamente il pubblico di casa.
Questi sono i fatti, per chi non li conoscesse. A Reggio sono servite diverse ricostruzioni per avere una visione chiara degli eventi, a Brescia tutto è accaduto in modo drammaticamente limpido. Ciò che ci fa vergognare ancor più profondamente per quanto verificatosi è l’atteggiamento delle due società. A distanza di molte ore, i club non hanno prodotto un comunicato di condanna per i comportamenti dei propri tifosi.
Qualcosa di inconcepibile, superato soltanto dalla surreale risposta in conferenza stampa dell’allenatore dei lombardi Pierpaolo Bisoli: “Akinsanmiro? Non si può provocare in questa maniera i tifosi”. Victim blaming della peggior specie, effettuato invertendo in modo illogico e arbitrario l’ordine degli eventi e provando a spacciare la reazione di un ragazzo giovanissimo palesemente sotto shock per una mancanza di rispetto verso i presenti sugli spalti.
In Serie A, negli ultimi anni, ci siamo abituati a un sistema che con tutte le sue pecche dà l’idea che l’antirazzismo sia un tema sentito. Circuito di sorveglianza per individuare i colpevoli, dichiarazioni nitide volte a stigmatizzare questi atti criminali da parte di ogni esponente delle società, cooperazione con la Giustizia e solidarietà totale verso le vittime. Il minimo sindacale, certo, ma pur sempre un segnale che va in una direzione rassicurante. A parlarne oggi, vien da chiedersi cosa ci sia di vero: qual è l’anello di congiunzione tra la corsa a rendere Mike Maignan cittadino onorario di Udine e l’assordante silenzio delle ultime ore? Ogni campagna promossa ha adesso il sapore acre di una mossa di marketing.
Lo sappiamo che non tutti gli italiani sono razzisti, ma abbiamo avuto l’ennesima prova che una fetta di popolazione enorme li tollera pacificamente. Non è stata l’intera curva del Rigamonti ad attaccare Akinsanmiro, non è stato l’intero settore del Città del Tricolore a insultare Dorval. Nessuno, però, ha avuto il coraggio di prendere posizione nei confronti dei colpevoli. Connivenza totale, dimostrata anche dal vicepresidente Vittorio Cattani in conferenza stampa a Reggio Emilia: si potevano dire tante cose da cui si sarebbero originate opinioni discordanti, invece è mancato il presupposto basico di civiltà. Prendere atto dei fatti, scusarsi col calciatore e condannare coloro i quali hanno pronunciato le frasi discriminatorie. Nulla di tutto ciò ha avuto luogo.
L’opinione pubblica ha contribuito a disincentivare la prospettiva di stadio come zona franca della società. In Serie A si combatte contro l’idea che in un impianto di gioco qualsiasi azione sia lecita. Lo impone la visibilità dell’evento, che arriva a porzioni di pubblico fortunatamente non più disposte a concepire l’insulto e la discriminazione come legittimo sfottò. Dove la patina dello show sfuma, invece, ecco il caro vecchio bar di paese a cielo aperto. Senza i riflettori dello scandalo puntati addosso, nessuno ha voglia di inimicarsi la parte più marcia di questo sport. Non è più accettabile, non per noi.