Supercoppa, il campo batte l’algoritmo: fuori le “invitate”, in finale vanno i Campioni | OneFootball

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·19. Dezember 2025

Supercoppa, il campo batte l’algoritmo: fuori le “invitate”, in finale vanno i Campioni

Artikelbild:Supercoppa, il campo batte l’algoritmo: fuori le “invitate”, in finale vanno i Campioni

Alla fine, ha deciso il prato verde. Contro le logiche del marketing, contro le speranze degli sponsor che forse sognavano un derby milanese nel deserto o un classico del calcio italiano per riempire i tabellini dell’audience globale, la Supercoppa Italiana ci restituisce la sua forma più pura. La finale di lunedì sarà Napoli-Bologna.

Riyadh, fallisce il piano delle big: il verdetto del prato verde ci restituisce la “vera” Supercoppa

Il format della Final Four, introdotto per massimizzare i ricavi e lo spettacolo, si fonda su un meccanismo di “ripescaggio”: oltre ai vincitori dei trofei, partecipano le seconde classificate (cosiddette “invitate”). Un sistema che, sulla carta, serve a blindare la presenza delle grandi potenze del Nord, spesso garanzia di blasone internazionale. Eppure, le semifinali hanno emesso una sentenza inappellabile: l’Inter (seconda in campionato) e il Milan (detentrice uscente e finalista di Coppa) sono state eliminate. Le squadre arrivate a Riyadh grazie ai piazzamenti onorevoli tornano a casa, sconfitte da chi, nella passata stagione, ha alzato le coppe al cielo. Quella di lunedì sarà, paradossalmente, una finale “vecchio stile” in un contesto modernissimo. Si affronteranno i Campioni d’Italia e i detentori della Coppa Italia. Nessun calcolo, nessun invito di cortesia: Napoli e Bologna sono lì perché sono state le migliori nelle rispettive competizioni. È la vittoria della meritocrazia sportiva sulla speculazione del format. È la legittimazione del sudore versato per cucirsi addosso lo Scudetto e la Coccarda tricolore.


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​Se dal punto di vista tecnico la finale è ineccepibile, resta aperto il dibattito sul contesto. Una finale così “giusta” e meritocratica avrebbe meritato la cornice del Maradona o del Dall’Ara, restituendo al popolo quella festa che invece sarà consumata a migliaia di chilometri di distanza. Ora, per le due compagini, l’imperativo cambia. Non si tratta più solo di vincere un trofeo e incassare un assegno pesante. Si tratta di onorare il titolo conquistato, di chiudere il cerchio dimostrando che, anche nel calcio del business, vincere sul campo conta ancora più del blasone. Riportare la coppa in città, dunque, diventa quasi un obbligo morale: un risarcimento per quei tifosi, costretti a vivere un amore a distanza davanti alla tv, ma orgogliosi di essere lì non per invito, ma per diritto acquisito.

Andrea Alati

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