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·13. Oktober 2025

Svilar: “Mai pensato di lasciare la Roma. Io il migliore? Non guardo i numeri”

Artikelbild:Svilar: “Mai pensato di lasciare la Roma. Io il migliore? Non guardo i numeri”

La Repubblica (M. Juric) – Più Mile Svilar para, più torna virale un vecchio filmato che lo riguarda. Racconta un esordio da incubo, ma ricorda anche che è possibile sempre rinascere. “L’ho rivisto qualche giorno fa. Non mi riconosco, non sembro neanche io”, dice il portiere della Roma. E sorride. Era il 18 ottobre 2017: prima partita di Svilar da titolare in Champions, all’Old Trafford, con la maglia del Benfica. Il più giovane esordiente di sempre nelle notti di coppa. Il palcoscenico è da brividi. Così come l’errore. Svirata, appena maggiore, agguanta un pallone alto e lo trascina in porta.

Quante volte ha ripensato a quella papera?


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“È cambiato tutto. Ero giovane. Forse troppo. Magari senza la goal-line technology non si sarebbe visto entrare il pallone (ride, ndr). Sono arrivato al Benfica con molte aspettative. È un grande club con una pressione enorme. Forse, ripensandoci, ho voluto bruciare le tappe. Sono andato troppo veloce.”

In che senso?

“In Belgio si parlava tanto di me, del mio talento. Non mi sentivo arrivato, ma magari pensavo di essere già pronto per qualcosa che invece era più grande di me. Direi che l’ho pagata, quella fretta.”

Qualche altra presenza in Champions, poi tanta gavetta.

“Ci sono stati giorni in cui ero arrabbiato e frustrato. Non è facile allenarsi e non giocare per quattro, cinque anni. Oggi posso dire che quel periodo mi ha aiutato molto mentalmente.”

Hai mai pensato di mollare?

“Mai. È stato difficile non portare il calcio a casa, ma la mia famiglia mi ha aiutato molto. Ho lavorato tanto sul fisico e su aspetti che chi gioca ogni tre giorni non può curare. Sapevo che sarebbe arrivata la mia occasione.”

A dargliela è stata la Roma. Anche se con Mourinho non ha trovato spazio.

“Quando sono arrivato, non mi aspettavo di giocare. Sapevo che sarei stato il secondo. Ma rivivere una situazione del genere, anche con gerarchie chiare, è stato duro.”

Poi con De Rossi cos’è cambiato?

“Dopo l’esordio di San Siro con Mourinho, De Rossi alla prima partita rimette Rui Patricio titolare. Ma qualche ora prima della partita mi ha chiamato. Stiamo cinque minuti al telefono: “Metto Rui perché è più esperto, ma arriverà presto il tuo momento”. In questi casi non ti aspetti mai che accada subito. Invece ha mantenuto la parola.”

Una rarità?

“Nessun allenatore mi ha mai spiegato perché non giocassi prima, neanche Mourinho. Magari il preparatore dei portieri, ma gli altri mai. Poi è arrivato Daniele.”

Ora è il meno battuto d’Europa. Si considera il migliore della A?

“Non mi conosco. L’etichetta del genere ti può far perdere concentrazione. Non mi piace, per esempio, sentire parlare di percentuali e statistiche.”

Cosa le dice De Rossi?

“La massima concentrazione. Lui è abbastanza… non dico furbo, ma uno che sa come gestire la partita. Se stiamo vincendo, lui alza il sigillo dell’attenzione sempre.”

Che allenatore è?

“Tiene di più agli allenamenti tra tutti quelli che ho avuto fino adesso. Poi la parte tattica… legge il gioco come pochi.”

A Bergamo tanti giocatori dicevano che la partita della domenica serviva a riposarsi.

“Io non corro come gli altri… Ma quando vedo i miei compagni capisco che non deve essere facile.”

Lei è scaramantico?

“Moltissimo. Prima di scendere in campo non mi chiedete di parlare”.

In estate, prima di arrivare al rinnovo con la Roma, si è mai sentito lontano dalla Capitale?

“Nelle trattative ci sono momenti difficili. Momenti in cui si dice qualcosa che non si pensa, da entrambe le parti. Però no, non ho mai pensato di lasciare la Roma”.

Il suo idolo chi era?

“Casillas. Attraverso Modric, che oggi ha il mio stesso agente, mi fece arrivare i guanti e la maglia del Real Madrid con una dedica”.

Ora ha 26 anni e l’Olimpico le ha già dedicato un coro.

“E un omaggio speciale, mi dicono che non succedeva da tanto. Quando la gente ti vuole bene, ti dà una motivazione in più”.

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