Buffon svela il retroscena: «Lì potevo andare all’Atalanta, fu Pirlo a convincermi a restare alla Juve» | OneFootball

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·19 November 2024

Buffon svela il retroscena: «Lì potevo andare all’Atalanta, fu Pirlo a convincermi a restare alla Juve»

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Buffon svela il retroscena: le dichiarazioni dell’ex portiere della Juventus e della Nazionale italiana in una lunga intervista al Corriere della Sera

Gianluigi Buffon ha rilasciato una lunga intervista al Corriere della Sera: le parole dell’ex portiere della Juve e della Nazionale.

ESORDIO IN NAZIONALE – «Non avevo ancora compiuto 15 anni. Fui convocato con la Under 16 per giocare a Edimburgo, contro la Scozia. Era la prima volta in uno stadio britannico: gli spalti in legno, tifo indiavolato, un muro di trentamila persone addosso. Nebbia. Ero in panchina. Si mise a nevicare. Prato tutto bianco. Il mister mi chiamò: “Buffon, tocca a te”».


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ANEDDOTO MALDINI – «Nel sottopassaggio incrociai gli sguardi di Weah, Boban, Costacurta, Baresi. A un certo punto sentii una pacca sulla spalla. Era Paolo Maldini, che mi incoraggiava. Anche lui aveva esordito in A da ragazzino: sapeva cosa voleva dire. Non ho mai dimenticato quel gesto. Paolo Maldini non è stato soltanto un calciatore immenso; ha le due qualità che ammiro di più in un uomo, lealtà e coraggio».

PIU’ FORTE CONTRO CUI HA GIOCATO – «Ho giocato con tre generazioni, come faccio a dirlo? Zidane, Ronaldo, Messi, CR7, Iniesta… Neymar. Per il giocatore e il ragazzo che è, avrebbe dovuto vincere cinque Palloni d’Oro».

SOGNO CHAMPIONS AL PSG – «Avevamo vinto 2-0 a Manchester con lo United. Capivo che non stavamo preparando in modo giusto il ritorno. Ma non lo dissi: in fondo ero l’ultimo arrivato, forse avevo ancora una mentalità provinciale, in fondo quelli erano tutti campioni, Mbappé aveva appena vinto il Mondiale… Prendemmo gol subito per un errore difensivo, il secondo fu anche colpa di una mia respinta imprecisa, beccammo il terzo e fummo eliminati. Non avevamo preparato in modo giusto il ritorno».

PERCHÈ LA JUVE PERDE FINALI DI CHAMPIONS – «Parlo delle mie tre finali. Il Barcellona del 2015 e il Real Madrid del 2017 erano le squadre più forti degli ultimi vent’anni. E nel 2003 avevamo comunque di fronte il Milan di Shevchenko».

DEPRESSIONE – «Era la fine del 2003, il campionato era cominciato bene, poi cominciammo a perdere colpi e stimoli. Eravamo reduci da due scudetti di fila: dopo l’up, il down. Mi si spalancò davanti il vuoto. Cominciai a dormire male. Mi coricavo e mi prendeva l’ansia, pensando che non avrei chiuso occhio».

PARTITA DECISIVA – «Juve-Reggina, in casa. Andai dall’allenatore dei portieri, che era un grande: Ivano Bordon. Lui mi tranquillizzò: “Gigi, non devi giocare per forza”. Ripresi fiato. Guardai scaldarsi il secondo portiere, Chimenti, che è un mio carissimo amico. E pensai che ero davanti a una sliding door, a un passaggio decisivo della mia carriera, della mia vita».

COME NE È USCITO – «Rifiutai i farmaci. Ne avrei avuto bisogno, ma temevo di diventarne dipendente. Dalla psicoterapeuta andai solo tre o quattro volte, ma mi diede un consiglio prezioso: coltivare altri interessi, non focalizzarmi del tutto sul calcio».

ALTRI INTERESSI – «Fu allora che scoprii la pittura. Andai alla Galleria d’arte moderna di Torino. C’era una mostra di Chagall. Presi l’audioguida. Davanti alla Passeggiata rimasi bloccato per un’ora. È un quadro semplice, raffigura Chagall con la moglie Bella mano nella mano; solo che lei vola. Il giorno dopo, tornai. La cassiera mi disse: guardi Buffon che è la stessa mostra di ieri. Risposi: grazie, lo so, ma voglio rivederla».

RETROSCENA – «Mi voleva l’Atalanta. Gasperini mi scrisse un WhatsApp: “Con te vinciamo la Champions”. Fu Pirlo a convincermi a restare alla Juve».

CARRIERA CHIUSA A PARMA – «Avevo un’offerta dal Barcellona come secondo portiere: l’idea di giocare con Messi, dopo CR7, mi piaceva. Un giorno però stavo guidando, e alla radio danno una canzone di Jovanotti che ho amato molto e non sentivo da dieci anni: “Bella”. Alzo lo sguardo, e vedo il casello di Parma. Un segno. Chiudere dove tutto era cominciato».

CRISTIANO RONALDO – «Abbiamo sempre avuto un bellissimo rapporto: confidenze, giudizi sulle nuove leve. Vedevo in lui una grande forza e anche una fragilità, legata all’assenza del padre, al percorso duro che ha dovuto affrontare».

SCOMMESSE – «Lo è stata, fino a quando non ho trovato il mio centro. Per qualcuno è un vizio. Per me era adrenalina. Di una cosa sono certo: non ho mai fatto nulla di illegale. Infatti non sono mai stato indagato, non ho mai ricevuto un avviso di garanzia. Perché non ho mai scommesso sulla Juve o sulla Nazionale o sul calcio. Ho sempre e solo scommesso sul basket americano e sul tennis. Ora al massimo vado due o tre volte l’anno al casinò. Ma non ne sento il bisogno».

MONDIALE 2006 – «Si era creata un’atmosfera straordinaria, di fiducia e unità, che era mancata quattro anni prima in Corea, dove pure eravamo fortissimi».

LUCIANO MOGGI – «Una persona simpatica e controversa, un dirigente che ha sempre avuto successo, un carismatico che teneva a distanza i calciatori ma li sapeva prendere».

ALLENATORE PIÙ FORTE – «Sono stato fortunato. Ho avuto i sergenti: Scala, Capello, Conte. Quelli che scuotono i calciatori. E ho avuto gli psicologi, quelli che li calmano: Ancelotti, Allegri».

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