Buongiorno: «Anema, core e Napoli, vi racconto tutto: siamo una squadra ‘cazzuta’» | OneFootball

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·12 March 2025

Buongiorno: «Anema, core e Napoli, vi racconto tutto: siamo una squadra ‘cazzuta’»

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Le parole di Alessandro Buongiorno, difensore del Napoli, in una lunga intervista al Mattino: «Stregato dalla città, l’azzurro nel mio destino»

Alessandro Buongiorno, si racconta in una lunga intervista al Mattino: di seguito le parole a 360° del difensore del Napoli.

ANEMA E CORE, COSA SIGNIFICA – «Dare tutto per la maglia, mettere tutto noi stessi in quello che facciamo, ogni giorno. La passione dei tifosi e il loro sostegno fanno parte del connubio perfetto, sono tutti pezzi dello stesso ingranaggio. Che deve funzionare alla perfezione».


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LA COREOGRAFIA DEL MARADONA L’HA EMOZIONATA – «Mi ha fatto battere il cuore anche quando l’ho rivista, la sera alla tv. L’ennesimo esempio dell’amore dei napoletani che io avverto dal primo giorno in cui sono arrivato in questa città».

DA TORINESE, COSA L’HA STREGATA DI PIÙ DI NAPOLI – «Mi trovo meravigliosamente, sono affascinato dalla gente, dal cibo, dal clima, dal calore delle persone. Poi qui ho parenti, perché i miei nonni sono di Cardito e quindi nel mio destino, forse, c’era già scritto che avrei dovuto indossare questa maglia. Ogni giorno che passa mi trovo meglio: le persone ti danno forza in maniera costante».

SONO STATI I SUOI NONNI AD ACCOMPAGNARLA AGLI ALLENAMENTI DA PICCOLO – «Sì, come fanno tante famiglie. Ma quando andavo a scuola, fino alle superiori, ho vissuto stando praticamente sempre con loro visto che i miei genitori lavoravano».

IL SUO SGARRO CULINARIO – «La pasta e patate con la provola. Ne vado matto. È il regalo che mi concedo quando so che me lo sono meritato».

DIFFERENZE TRA TORINO E NAPOLI – «Lì potevo girare più tranquillamente, andare in un bar. Qui la passione è travolgente, non riesci a fare un passo. Ma è tutto bellissimo. D’altronde, non è che hai tutte queste forze per uscire dopo che hai fatto un allenamento il pomeriggio».

COSA FA NEL TEMPO LIBERO – «Resto a casa, faccio i puzzle. Ora ne ho uno di 1500 pezzi, quello del Tower Bridge di Londra. Poi gioco a scacchi, mi concentro con i rompicapo. E mi piacciono i giochi investigativi: appena posso scappo con Meret, Simeone e Raspadori a fare una escape room».

QUANDO INIZIA A STUDIARE L’AVVERSARIO – «Iniziamo oggi con i video, poi mi prendo dei momenti alla fine della settimana, mi faccio inviare dallo staff il materiale che mi serve. Mi piace studiare anche il modo con cui gli attaccanti vengono serviti».

CANNAVARO HA DETTO CHE LEI È UNO DEI POCHI DIFENSORI ITALIANI CHE FIUTA IL PERICOLO – «Se lo dice uno dei miei miti, non posso che esserne orgoglioso: da bambino vedevo lui, Nesta e Maldini come si muovevano in campo e provavo poi a imitarli. Mi ispiro a loro anche adesso. Vero, cerco di stare “attento”. Il difensore deve essere pessimista nella marcatura, pensare che il suo avversario può fare delle cose strepitose ogni volta».

FUORI DAL CAMPO È PESSIMISTA ANCHE NELLA VITA – «No, no. Fuori dal campo sono ottimista».

PERCHÉ DAL 2006 NESSUN DIFENSORE HA VINTO IL PALLONE D’ORO – «Perché ci si concentra sempre su quelli che i gol li fanno».

VENEZIA È UN CROCEVIA IMPORTANTE – «L’orario delle 12:30 è ostico, ma dobbiamo arrivare concentrati, con lo spirito che ci ha sempre contraddistinto. Gara dura, lo sappiamo. Ma siamo pronti».

COME DESCRIVE QUESTO NAPOLI CHE SOGNA LO SCUDETTO – «È un Napoli che ha un grande spirito, dove ognuno si mette a disposizione dei compagni, si sacrifica per l’altro. E dove tutti hanno voglia di mettersi in gioco, in discussione. E non ce n’è uno che non sia pronto a migliorarsi».

COSA CHIEDE CONTE AI SUOI DIFENSORI – «Deve difendere, impostare. Quest’anno abbiamo cambiato tanti moduli ma il mister ci ha insegnato i vari movimenti da fare, nei minimi dettagli. Per lui è importante che il difensore si adatti alle situazioni: deve saper scivolare sulla linea difensiva, marcare a uomo… e noi siamo pronti a tutto».

PREFERISCE LA DIFESA A TRE O A QUATTRO – «Io ho giocato da braccetto, da centrale, a tre e a quattro. Ho capito che l’unica cosa che conta e che fa la differenza è l’applicazione».

CON FIORENTINA E INTER ERA PIÙ A CENTROCAMPO CHE IN AREA – «Abbiamo cercato di andarli a pressare a uomo, e quindi abbiamo avuto un baricentro molto alto. E questo ci ha consentito di recuperare tanti palloni. Ovviamente più vicino è alla porta il pallone recuperato, più aumentano le possibilità di fare gol… Ma quello che conta è la grande collaborazione che c’è tra tutti noi».

PRIMO RICORDO DI UN PALLONE DA BAMBINO – «Alle elementari, io facevo nuoto ma decisi di seguire i compagni di classe all’allenamento di calcio. Volevo stare con loro. Poiché ero il più alto di tutti mi misero in porta. Ma durai poco: mia madre diceva che prendevo troppo freddo a stare fermo e l’allenatore fu costretto a spostarmi più avanti».

COSA SIGNIFICA MARADONA PER NAPOLI – «La leggenda. Un’icona che ha stravolto tutto negli anni in cui è stato qui, ha cambiato la percezione del calcio in questa città. E quella statua nello spogliatoio dello stadio fa effetto, emoziona, fa venire i brividi».

COME HA CONOSCIUTO CONTE – «Per caso. Ma ricordo anche la data esatta. Era il 6 giugno. Il mio compleanno (ride, ndr). Io ero a festeggiare in un locale con gli amici e lui si avvicinò per parlarmi. Ne sono rimasto colpito subito. E da allora abbiamo iniziato a sentirci spesso per parlare del Napoli, a scambiarci messaggi».

PERCHÉ HA DECISO DI ANDARE ALL’UNIVERSITÀ – «Mi sono diplomato al liceo pubblico, tra enormi fatiche perché già giocavo a tempo pieno. Peraltro, pure con un bel voto alla maturità, 86. Allora mi sono preso un anno sabbatico ma in quei mesi di pomeriggi liberi, quando ero a Carpi, mi sembrava di buttare via il mio tempo per giocare alla Playstation. E allora è scattata la molla: anche perché ho notato che grazie allo studio, ai libri, migliorava il mio rendimento e apprendimento sul campo e fuori».

COME SI IMMAGINA TRA VENT’ANNI – «Penso che resterò nel mondo del calcio».

UN AGGETTIVO PER QUESTO NAPOLI – «Mi piace dire “cazzuto”, ovvero tenace, determinato. Ecco, non molliamo mai. Questo è il Napoli».

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