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·21 November 2025

Italiano è il miglior allenatore d’Italia. Sperando che l’Italia non se ne accorga

Article image:Italiano è il miglior allenatore d’Italia. Sperando che l’Italia non se ne accorga

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«È arrivato il momento di celebrare in maniera precisa e secondo me definitiva Italiano come allenatore eccezionale. Secondo me è il migliore che c’è adesso in Italia». Massimo Ambrosini pochi giorni fa ha dato voce a quello che pensavamo già da tempo. Ma ora c’è un problema: il sospetto è che questo pensiero stia già serpeggiando negli ambienti federali, pronti a sacrificare anche Gattuso se per la terza volta consecutiva l’Italia non arriverà a qualificarsi ai Mondiali (ipotesi tutt’altro che remota, a giudicare dagli accoppiamenti e dall’eventuale finale playoff fissata in trasferta).


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Italiano (e non siamo certo noi a correre il rischio di suggerirlo per primi a Coverciano) avrebbe già tutte le carte idonee per stare su quella panchina, avendo dimostrato di saper vincere e di essere un costruttore di gruppi sani e duraturi. I nomi già ‘bruciati’ per la panchina azzurra, del resto, sono tanti, a cominciare da Conte, Spalletti e Mancini. A non aver ancora fatto un giro in giostra azzurra sono rimasti ad esempio Allegri, Ancelotti, Gasperini e Sarri, tutti a vario titolo e con diverse ragioni poco meno che inavvicinabili. Restano Grosso e Gilardino (due reduci dell’ultimo Mondiale vinto, una credenziale suggestiva) ma pure Simone Inzaghi, che come tutti gli expat arabi prima o poi (più prima che poi) rientrerà in Italia.

In attesa che la Federazione faccia gli opportuni ragionamenti dopo gli spareggi di marzo, a Bologna ci godiamo un allenatore che ha saputo finalmente eliminare i complessi di inferiorità sedimentati da quattro decenni, portando la squadra a competere con qualunque avversario e non solo sulla carta. Una conquista non scontata in così breve tempo, soprattutto pensando alle lunghe settimane in cui, non più tardi di quindici mesi fa, si continuava a paragonarlo a Thiago Motta, come se fosse impresa sovrumana fare meglio del brasiliano. Ma è lo stile Italiano che, se possibile, supera persino i risultati ottenuti sul campo. Quanti allenatori avrebbero evitato, come lui, di restituire al mittente gli indebiti paragoni con Motta? Quanti avrebbero scelto la strada delle rivincita silenziosa, senza rimostranze, senza ripicche, senza gelosie?

Vincenzo, del resto, è un uomo che vive senza alibi. E chi vive senza alibi non cova rancori, di solito. Lo abbiamo capito anche da come ha condotto i ritmi serrati del calendario delle ultime due stagioni, senza aver mai fatto questioni sulle partite ravvicinate, anche perché – fin dai tempi della Fiorentina – è abituato a giocare con cadenza ravvicinata. Questo gli garantisce anche la lucidità di modellare una squadra riconoscibile pur cambiando spesso gli interpreti, riuscendo così a valorizzare quasi tutti i giocatori che allena e dando sempre l’impressione che il suo gruppo non vada mai in difficoltà, indipendentemente dal livello dell’avversario (senza contare il valore di mercato dei singoli elementi, esplosi – come nel caso di Beukema e Ndoye – oppure mai andati sotto la soglia del deprezzamento, per la gioia di Sartori e Di Vaio). Il percorso in Champions, inoltre, ha fatto crescere ulteriormente la sicurezza e la maturità della squadra: chi affronta il Bologna ha immediatamente la sensazione di trovarsi di fronte ad un collettivo solido e ben preparato.

Il suo lavoro non si basa su forzature o idee preconcette, ma su un pragmatismo coraggioso che alimenta continuamente la fiducia e l’autostima del gruppo. Ora però arriva la curva più pericolosa: quella degli infortuni. Senza Cambiaghi, Freuler, Holm, Rowe e Skorupski, Italiano dovrà fare l’ultima magia, scollinare questa erta imprevista e arrivare a Natale con la mente sgombra per affrontare la Supercoppa a Riyadh. Una coppetta? Forse per chi l’ha già vinta mezza dozzina di volte. Ma per il Bologna potrebbe già dare il senso ad un’intera annata.

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