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·5 January 2025
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Chi seguiva il calcio negli anni ’80 sa quante storie sono legate alla riapertura delle frontiere con l’arrivo di un piccolo gruppo di stranieri, visto che era permesso un solo giocatore per squadra. Tra questi vi fu il brasiliano Juary, che all’Avellino rubò l’occhio anche per l’esultanza da culto ai suoi gol, con la danza attorno alla bandierina, imitata pure da Lino Banfi in un film. Ecco la sua intervista odierna a La Gazzetta dello Sport.
AL SANTOS CON PELÉ – «Era a fine corsa, ma lo guardavo a bocca aperta. “Ti rendi conto? Questo è Pelé!”, mi dicevo. E sono stato fortunato, mi insegnò tante cose».
LA DANZA ATTORNO ALLA BANDIERINA – «Me la sono inventata dal nulla, volevo fare qualcosa di originale. E quando nel 2014 l’ha fatta Neymar mi sono sentito orgoglioso. Se uno dei più forti al mondo ti omaggia, vuol dire che un pezzettino di storia l’hai scritto anche tu».
PRIMO IMPATTO CON L’ITALIA – «Brutto. Non riuscivo a parlare, mi chiudevo in me. Non sapevo che cosa fosse un ritiro, una mattina ci portarono a Porretta Terme: ma perché? E poi un freddo… Esordio in Coppa Italia col Catania: feci gol ma stavo male, per dire anche la cosa più banale dovevo parlare a Vinicio e lui agli altri, e viceversa».
L’INTER – «Il calcio è fatto di momenti, quello non era il mio. Ad Avellino ero uno di loro, a Milano uno dei tanti».
L’ASCOLI – «Con una persona straordinaria, Mazzone. “Non sei più tu, vieni e ti faccio divertire”, mi disse. E lo fece: mi sentivo sul fondo di un pozzo, mi salvò».
IL GOL IN FINALE DI COPPA CAMPIONI – «E chi fece l’assist a Madjer? Ma non mi interessa che si ricordino poco di me, demmo al mondo una lezione: il piccolo può battere il grande. La differenza la fecero il cuore e il discorso di Artur Jorge all’intervallo: “Sembra che abbiate paura di rubare, giocate da Porto”. Il Bayern credeva di non poter perdere, noi di poter vincere. E vincemmo».