Inter News 24
·25 December 2024
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Il presidente dell’Inter, Beppe Marotta, ha concesso una lunga intervista al direttore di Sky Sport, Federico Ferri, nella quale ha tracciato un bilancio sul 2024 che sta per concludersi e ha fissato gli obiettivi futuri. Diversi i temi toccati, dal campo al fuori campo, come ad esempio l’inchiesta ultras che coinvolge anche la Curva Sud del Milan.
L’ANNO DELL’INTER E DI MAROTTA – «È l’anno dell’Inter nella quale c’è l’operatività di Marotta, quindi si coniugano queste due situazioni».
A CHE LIVELLO È ARRIVATA L’INTER? – «L’Inter è tornata a essere una delle protagoniste più autorevoli. La storia e il palmares di questo club ci dice che i trofei sono tanti, le Champions vinte sono tante, gli scudetti vinti sono 20 e quindi siamo tornati in quel palcoscenico consono alla storia. Con la nuova proprietà stiamo dando continuità a questa situazione».
LA CRESCITA DI INZAGHI – «Inzaghi ha dimostrato di essere un grande professionista e una persona molto intelligente. È arrivato in punta di piedi, non ha fatto proclami ed è cresciuto man mano che otteneva risultati. È cresciuto soprattutto in un aspetto, che era ala consapevolezza delle proprie capacità che è riuscito a trasmettete ai giocatori. Uno dei suoi aspetti fondamentali è il riconoscimento di essere un leader di questa squadra e e di inculcare quelli che sono i concetti vincenti, la cultura del lavoro, il senso di appartenenza. queste componenti, supportati dal management, ha fatto sì che si è creato una simbiosi che ci ha portato lontano».
CHE DIRIGENTE SONO PER L’ALLENATORE? – «Il mio ruolo è cambiato, la prima cosa è il rispetto dei ruoli. Nell’Inter c’è un allenatore, un direttore sportivo, in primis devo rispettare questi ruoli. Il nostro è un gioco di squadra, il confronto tra di noi è quotidiano, ognuno di noi porta la sua esperienza. I dialoghi? Se vuoi inculcare più timore, la sede e l’ufficio alla Pinetina rappresentano un vantaggio, altrimenti va bene un ristorante o un albergo in città».
LA CARTA D’IDENTITÀ DELLA SQUADRA – «Credo che se hai 11 talenti non vinci. L’importante è mixare e creare una simbiosi tra giovani e meno giovani. Noi abbiamo creato un equilibrio, quando hai l’esperienza non la metti in pratica solo nel terreno di gioco, ma anche nello spogliatoio. Abbiamo messo in squadra tutte queste componenti».
IL BLOCCO ITALIANO UN VANTAGGIO? – «Assolutamente sì e i risultati lo dimostrano. In Italia il campionato è qualcosa di unico, la pressione che c’è qui non c’è da nessun’altra parte. Gli italiani conoscono il proprio habitat, sanno cosa significa andare a Lecce e a Cagliari. Poi è anche orgoglio della nostra nazione mettere a disposizione della Nazionale i propri giocatori».
LA DIFFERENZA DI RUOLI DA DIRIGENTE A PRESIDENTE – «Devo ringraziare questa proprietà che mi ha dato fiducia da subito e dato questa maggiore responsabilità, è qualcosa di straordinario. Da una parte c’è lo stimolo di fare sempre meglio, dall’altro il riconoscimento della proprietà dalle fiducia, sempre nell’ottica che il cammino dell’Inter sia vincente, Di fatto non è cambiato molto, se non la dedizione e l’impegno che oggi c’è ancora di più. Nel mio cammino ho vissuto con l’esperienza di tanti presidenti e modelli di club. Mi sono adattato e ho tratto tantissimo dai miei presidenti».
LE LINEE GUIDA DI OAKTREE SUL MERCATO – «Devo dire che Oaktree è arrivata in punta di piedi e in modo molto silenzioso, ma molto partecipe della vita del club. Il confronto è quotidiano e positivo, tutto volto a garantire continuità al club nella ricerca della sostenibilità. Questa sostenibilità avviene attraverso delle linee guida che ci hanno indicato e concordato insieme. Queste linee guida sono quelle di comporre una rosa che possa rispondere a dei limiti economici dal punto di vista del costo del lavoro, a un’età media che possa garantire il fatto di comprare giovani che rappresentano un patrimonio. Questo è quello che noi stiamo facendo e faremo maggiormente nella stagione futura. Garantire la massima competitività attraverso giocatori, magari meno vecchi rispetto a quelli che abbiamo oggi, ma che rappresentino anche qualità, professionalità e patrimonio».
SULL’INCHIESTA CURVE – «Intanto l’inchiesta è in corso e non posso che esprimere gratitudine alla magistratura e alle forze dell’ordine per quello che stiamo facendo. Noi ci siamo messi a disposizione e stiamo collaborando al fine di debellare questo fenomeno straordinario in negativo. Sono attività criminale che non c’entrano niente con lo sport. Ho vissuto decenni precedenti in cui c’era una violenza fisica consumata all’interno o all’esterno dello stadio, ma era nell’ottica di quello che è un fenomeno di calcio. oggi siamo davanti a una situazione difficile da debellare per una società. Ringrazio la magistratura e le forze dell’ordine, noi stiamo collaborando al fine di garantire trasparenza. È difficile contrastare un tipo di violenza quando è consumata da tante persone, credo che sia un fatto culturale. Si deve lavorare fin dalle elementari spiegando che il gioco del calcio è un gioco. Oggi manca la cultura della sconfitta, bisogna saper perdere. Non ci sono dei giudici che alla fine della partita devono esprimere un verdetto».
SE MI SONO MAI CHIESTO SE AVESSI POTUTO FARE DI PIÙ PER EVITARE TROPPI CONTATTI TRA CALCIATORI E ULTRAS? – «Si può e si deve fare molto di più. Oggi le figure all’interno del sistema aiutano tantissimo nel garantire una certa trasparenza, noi società possiamo fare qualcosa acculturando i calciatori a quelle che sono le leggi dello Statom noi lo facciamo. Durante facciamo delle lezioni in cui spieghiamo, ma poi è difficile entrare nella vita privata di un calciatore, poi lì è una parte d’ombra dove non possiamo entrare, possiamo aiutare il giocatore con una cultura maggiore».
LA PRINCIPALE RIVALE SCUDETTO PER L’INTER – «Io credo che la griglia sia sempre la stessa. Oggi siamo al girone d’andata quasi e le favorite sono sempre le stesse. Atalanta, Inter, Napoli, ma Milan e Juve sono pronte a riagganciarsi. Credo che quest’anno una delle grandi favorite sia l’Atalanta. È un modello da seguire, non certo nei grandi club che è difficile, però ha dato dimostrazione di poter vincere senza spendere tanti soldi».
E CONTE? – «Non è un dualismo, io cerco sempre di accendere un pochino attenzione e spingere anche gli avversari alla pressione, ma questo è un gioco, ma c’è grande rispetto. L’aspetto mediatico in Italia è molto sentito, ma sono delle dinamiche di un mondo corretto, c’è grande rispetto tra i protagonisti. Queste schermaglie dialettiche fanno parte del gioco».
È MAROTTA IL PERSONAGGIO PIÙ POTENTE NEL CALCIO? – «Io sono una persona che ha raggiunto il pieno della propria esperienza calcistica. Oggi uno degli aspetti che dobbiamo combattere al nostro interno è quello della litigiosità. Dobbiamo essere uniti nel portare avanti un fenomeno che a tratti traballa nel confronto delle altre nazioni europee. Noi dobbiamo rivolgerci al Governo, oggi i grandi problemi sono il Decreto Crescita che non ci dà la possibilità di utilizzare gli stranieri senza agevolazioni. Nel momento in cui abbiamo attuato il Decreto Crescita, nel nostre squadre sono arrivate in fondo a tutte le competizioni europee. Togliendoci questa agevolazione, torneremo ancora indietro. Poco spazio per gli italiani? Basta calibrare il fatto che tu hai questo strumento, partendo per esempio da 2 milioni lordi. Due milioni lordi significa che metti un tetto verso l’alto e il mondo giovanile non viene toccato. Non si va a prendere un giocatore straniero di 16 anni, non hai un vantaggio, non hai uno sconto fiscale. Se porto in casa un giocatore affermato ti può far crescere i giocatori».
FUTURO? – «Sono amante del mondo del calcio, sono contento della mia carriera e contentissimo di fare il presidente dell’Inter che mi occupa molto. Una delle grosse perché del nostro sistema è non poter garantire lo sport in modo gratuito a tutti i ragazzini. Ancora a lungo all’Inter? Sì, all’Inter sto bene per cui assolutamente spero di dare risultati e contribuire ad ottenerli».
SULLA CHAMPIONS LEAGUE – «Bisogna sempre un’occasione per essere. lì e noi ci dobbiamo garantire l’occasione di essere lì. Questo è un atto non di arroganza ma di ambizione sportiva. Quando alcuni miei colleghi dicono “noi dobbiamo arrivare tra le prime 4”, io sono sono d’accordo. Bisogna avere la sfacciataggine di avere obiettivi anche utopistici ma credere in questo perché nello sport tutto è possibile. Io cerco di dare quello che ho ricevuto e mi diverto ancora moltissimo, altrimenti non fare questo lavoro. L’adrenalina che ti dà la partita, nell’attività della vita normale non te la dà nessuno».