Calcionews24
·25 March 2025
Prohaska: «L’arrivo all’Inter sembrava un film di James Bond. Beccalossi e Altobelli mi fecero questo scudetto. Alla Roma ho un compagno di squadra che è un fratello»

In partnership with
Yahoo sportsCalcionews24
·25 March 2025
Chi ha amato il calcio degli anni ’80 si ricorda certo dell’austriaco Herbert Prohaska. Con la riapertura delle frontiere fu il primo stranieri ad arrivare all’Inter, per poi passare alla Roma dove ha vinto lo scudetto. Con La Gazzetta dello Sport l’ex centrocampista ha sfogliato l’album dei ricordi.
1980, L’ARRIVO IN ITALIA – «Già, il primo di una lunga serie di stranieri! Oltre all’Inter, mi volevano anche il Bologna e il Milan, nella persona del grande Gianni Rivera. Al di là della loro retrocessione per il Calcioscommesse, io avevo già scelto i nerazzurri. Ci eravamo pure incontrati più volte in gran segreto, la trattativa sembrava un film di James Bond».
LA TRATTATIVA CON L’INTER – «Una volta il d.s. Beltrami venne fino a Vienna, ma ci vedemmo in un albergo nascosto… Ancora prima, nella mia camera in ritiro della nazionale in Germania, mi ritrovai Mazzola e Bersellini. Era un allenatore duro, ma vero: “Tu sei disposto a correre anche in difesa?”, mi chiese a bruciapelo. Dissi di sì e, forse, in quel momento, scelsero me anziché Platini, che si sarebbe sacrificato di meno… Da allora cambiò la mia vita: per un austriaco, l’Italia era la Riviera romagnola d’estate, io invece mi ritrovai a San Siro davanti a 60mila persone».
MARINI, PASINATO E BECCALOSSI – «Tra i tre assomigliavo più al “Becca”, anche se lui era più geniale di me… E poi quante me ne hanno fatte lui e Altobelli. L’accordo era pagare a turno una cena, ma io non conoscevo i ristoranti in città e mi fidavo di loro: mi portarono in trattorie economiche ma, quando toccò a me, finimmo da “Savini” in Galleria e partì mezzo stipendio… Eravamo un bel gruppo, c’era pure il giovane Bergomi, a cui feci l’assist per il primo gol della carriera. Ricordo la prima volta che lo vidi in ritiro e mi chiesero: “Secondo te quanti anni ha quel ragazzo lì?”. “Ne avrà 26”, dissi. No, ne aveva 16! Era davvero uno “zio”, ma sarebbe diventato una leggenda».
LA ROMA – «Primo anno con due stranieri, io e Falcao. Era una Roma un po’ brasiliana, perfetta per me. Giocavamo a zona, uno due tocchi, sfruttavamo il fuorigioco. Il segreto, però, era Liedholm, un genio diverso da Bersellini: parlava poco, gli bastava uno sguardo, ci lasciava giorni liberi che oggi sarebbero impensabili. In quel gruppo sono in contatto con Bruno Conti, fratello per la vita: gli ho appena fatto gli auguri per i 70 anni. La festa per lo scudetto è stata talmente incredibile che, a vedere le immagini a distanza di anni, i miei nipoti sono diventati romanisti. Resto austriaco, ma ammetto che al centro-sud si festeggia in modo diverso»