
Zerocinquantuno
·17 de mayo de 2025
Doveva andare così

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·17 de mayo de 2025
Fanano, 25 febbraio 1997, ore 20:45. Dal divano di casa un bambino di 8 anni sta assistendo insieme al suo papà, sintonizzato su Rai 2, a Bologna-Vicenza, semifinale di ritorno di Coppa Italia: 1-0 per i veneti all’andata, i ragazzi in maglia rossoblù vanno a caccia della rimonta. I patti però sono chiari: «Tu guardi solo il primo tempo, poi a nanna che domani c’è scuola». Non vanno affatto male quei 45 minuti, perché a ridosso dell’intervallo una rasoiata mancina di Cristiano Scapolo si infila nell’angolino e rimette tutto in parità. Il bambino, senza fare troppe storie, si dirige a letto, ma dentro di sé avverte forte, per la prima volta, una sensazione particolare che non riesce a spiegare. Prova allora ad addormentarsi, ma è difficile: chissà come finirà quella partita… Il padre, nell’altra stanza, fa il possibile per non disturbare moglie e pargolo, ma circa un’ora dopo non può esimersi da qualche improperio mentre il telecronista Carlo Nesti grida: «Ha segnato il Vicenza con Cornacchini, il gol dell’ex!». Passano pochi istanti ed ecco, nella stanza buia, i passi del genitore, intenzionato al più classico dei controlli amorevoli prima di coricarsi. Con sua grande sorpresa trova invece il figlioletto sveglio e curioso: «Cos’è successo, chi ha vinto?». E allora lui, provando a gestire emozioni e vocabolario: «Ma lasciamo stare, ha segnato quel cavolo di Cornacchini proprio alla fine, roba da matti, meglio che dormi…». Nessuno può stabilire con certezza se si tratti di una scelta consapevole, un clic automatico o un destino inevitabile, fatto sta che in quel preciso istante il bambino diventa al 100%, incondizionatamente, un tifoso del Bologna. Roma, 14 maggio 2025, ore 21. Quel bambino ha 36 anni, è allo stadio Olimpico sia per sostenere i suoi beniamini che per lavorare, poiché dirige con orgoglio una piccola grande testata giornalistica che racconta proprio le vicende del Bologna. Sempre di Coppa Italia si tratta, ma stavolta non c’è stato nessun Cornacchini a sbarrare la strada dei felsinei in semifinale: è l’ultimo atto, contro il Milan, e per giunta il trofeo viene portato sul prato dello stadio Olimpico dal suo più grande idolo calcistico, Roberto Baggio. Uno sguardo alla sua sinistra e gli occhi diventano lucidi, perché la coreografia della Curva Andrea Costa (per una sera Curva Nord) dedicata agli immortali eroi del 1964 è una delle cose più belle che abbia mai visto. Poi la partita comincia e ogni goccia di energia viene incanalata lì dentro, tra una frase e un sussulto, tra un ritocco al tabellino e un’esultanza. Senza dimenticare qualche messaggio al papà, un po’ acciaccato ma combattivo e fiducioso davanti al televisore. Il resto, non c’è bisogno di scriverlo, è Storia. Con la S maiuscola, la stessa del suo nome, Simone. Si chiude un cerchio, il suo cerchio, solo uno degli innumerevoli cerchi rossoblù che in una magica notte romana trovano la loro catarsi, una sorta di somma ricompensa per una fede incrollabile. Era scritto nelle stelle? Chissà. Di sicuro, nello sport come nella vita, i segnali vanno colti. E stavolta i segnali, reali o trascendenti, andavano da una sola parte: la promessa ‘decennale’ di Joey Saputo; il primo trofeo in carriera per Giovanni Sartori proprio col Bologna, la squadra del cuore di suo padre; la rivincita di Vincenzo Italiano, esattamente a ridosso della trasferta di Firenze; il fallimento juventino e il mancato ritorno al Dall’Ara di Thiago Motta; lo scherzetto di Davide Calabria al ‘suo’ Milan; il nuovo Papa che si impone il nome di Leone XIV e il gol a Roma, il giorno 14, di Dan Ndoye, uno che quando segna esulta sempre ruggendo. A proposito, penso che sappiate già come si chiama il primo nipotino maschio di Sinisa Mihajlovic… Forse ha ragione Cesare Cremonini, un altro che ha il Bologna nel cuore: «Sì, dev’essere così, che tutto ciò che accade ha un senso». Nel bene e nel male. Nelle sconfitte sofferte che insegnano lasciando cicatrici e nelle vittorie attese, bramate e sudate che rendono orgogliosi e fanno godere doppio. Nella piena consapevolezza che abbiamo deciso o ci è toccato in sorte di tifare per una squadra capace in modo quasi unico di rappresentare a pieno la vita: così amara e così dolce, così prevedibile e così sorprendente. Già, perché per ogni Cornacchini (non me ne voglia il buon Giovanni) che ti fa sprofondare, può sempre arrivare un Saputo a risollevarti e a farti capire che sì, è stata dura ma ne valeva la pena. L’importante è non arrendersi mai. Per poi, finalmente, addormentarsi felici.
Simone Minghinelli
P.S.: questo pezzo era già scritto da qualche parte dentro di me, attendevo solo il momento giusto per tirarlo fuori. Lo dedico a Francesco, il mio papà, e a tutti i tifosi del Bologna che come noi non hanno mai smesso di crederci.