Silvio Baldini Pescara: «Genitori che pagano per far giocare i figli, solo scorciatoie e veline. Stiamo crescendo una gioventù malata? Ecco a chi dedico la nostra promozione» | OneFootball

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·9 de junio de 2025

Silvio Baldini Pescara: «Genitori che pagano per far giocare i figli, solo scorciatoie e veline. Stiamo crescendo una gioventù malata? Ecco a chi dedico la nostra promozione»

Imagen del artículo:Silvio Baldini Pescara: «Genitori che pagano per far giocare i figli, solo scorciatoie e veline. Stiamo crescendo una gioventù malata? Ecco a chi dedico la nostra promozione»

Le parole di Silvio Baldini, allenatore del Pescara e fresco della promozione in Serie B con gli abruzzesi passando dai playoff

Silvio Baldini non è un semplice allenatore, ma uno degli ultimi, veri romantici del nostro calcio. Un personaggio viscerale, sanguigno, le cui scelte sono sempre dettate dal cuore e dai principi, prima che dalla tattica o dal contratto. La sua carriera è un romanzo costellato di grandi imprese e gesti plateali: dalla storica promozione in Serie A con il suo Empoli alla prima, indimenticabile, cavalcata a Palermo, fino al capolavoro del 2022, quando tornò in Sicilia per guidare i rosanero a un’incredibile promozione dalla Serie C. Quest’anno, a 66 anni, ha scritto un’altra pagina della sua carriera. Ha preso per mano un Pescara che non partiva con i favori del pronostico e, con la sua alchimia unica fatta di grinta, gioco e motivazioni profonde, lo ha trascinato in Serie B al termine di playoff memorabili. Un’altra missione impossibile compiuta, un’altra piazza portata in paradiso. Di questa ennesima, esaltante avventura, ne ha parlato oggi in un’intervista a La Gazzetta dello Sport.

L’AMICO SPALLETTI – «Puoi mettere chiunque a guidare la Nazionale, se perdi diventi carne da macello. Non c’è più senso di appartenenza, c’è chi rifiuta la convocazione… Molto triste. Ma il calcio è pieno di problemi, di piccole truffe, di bilanci truccati, un mondo in cui si è abituati a barare: come si fa a trasmettere il senso di appartenenza? Qui conta solo lucrare, non conta più nemmeno l’inno».


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L’INNO DI MAMELI – «È solo uno slogan, chi lo canta non ne conosce il significato. È un inno per chi ci ha dato la libertà, cosa ne sanno i giocatori? Dicono che ho un linguaggio da cafone, ma questo mondo lo devi trattare così perché non c’è rispetto. Si vuole solo imbrogliare, ci si nasconde dietro alla forma. Ma non mi fregano. Un vecchio boscaiolo mi diceva che non si fidava dei preti che dicevano messa in latino perché non capiva nulla e potevano dire qualsiasi cosa. Nel calcio è così, si vende l’apparenza. Un vero dispiacere per la tradizione e la cultura italiana».

LA DEDICA PER LA PROMOZIONE – «Agli allenatori che non sono riusciti a finire il campionato. Noi siamo persone sole, dopo un esonero si resta feriti nell’anima, so cosa significa: vorrei che i colleghi gioissero con me, tra un vincitore e un vinto non c’è differenza. Se credi solo nel risultato sei condannato a perdere sempre».

IL CALCIO DI OGGI – «Ti prendono in giro… Tutte le ragazze vogliono fare le veline e i genitori pagano per far giocare i figli. Ma dove esiste una società che si basa su queste scorciatoie? Che gioventù si cresce?».

LE LACRIME DEI GIOCATORI – «Un regalo che non si può immaginare, ognuno mi ripeteva quello che avevo detto loro durante l’anno: credere nei valori. Prima dei playoff ho detto: si gioca ogni tre giorni, mandate a casa mogli e fidanzate, se volete vincere dimenticate la famiglia, solo così darete il 110%. L’hanno fatto e il destino ci ha aiutati. Adesso possono fare festa…».

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