Berardi si racconta: «Champions da sempre il mio sogno. Sassuolo è casa, ma accetterei una top. Avevo un accordo prima dell’infortunio. Italia? Mancini aveva fatto questo» | OneFootball

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·14 novembre 2025

Berardi si racconta: «Champions da sempre il mio sogno. Sassuolo è casa, ma accetterei una top. Avevo un accordo prima dell’infortunio. Italia? Mancini aveva fatto questo»

Image de l'article :Berardi si racconta: «Champions da sempre il mio sogno. Sassuolo è casa, ma accetterei una top. Avevo un accordo prima dell’infortunio. Italia? Mancini aveva fatto questo»

Berardi si racconta da Ivan Zazzaroni sul Corriere dello Sport. Le parole dell’attaccante capitano e bandiera del Sassuolo che però non esclude un addio

Ivan Zazzaroni incontra Domenico Berardi che si racconta senza filtri, tra sogni di Champions, infortuni e l’amore per il Sassuolo e la Calabria. Ecco l’intervista sul Corriere dello Sport.

IL SASSUOLO – «Sono a Sassuolo da quindici anni, nei primi non mi sentivo pronto a lasciare. Negli ultimi cinque o sei ho spinto per andare via».


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UN MOMENTO IN CUI SI É SENTITO IN USCITA – «Sono sincero, sì. Prima di farmi male avevo trovato l’accordo con un grande club, le soluzioni erano state individuate. Tutte. Ma non chiedermi quale, tanto non te lo dico».

QUALE SQUADRA ERA – «A strisce. Mi è dispiaciuto non poter fare la Champions, non poter giocare per gli obiettivi più alti. La Champions è qualcosa che vorrei provare da sempre».

DELUSIONE – «Passai un mese un po’ così, tra l’arrabbiato e il deluso. Prevalse la gratitudine nei confronti di questo club del quale mi sento e mi fanno sentire la bandiera. Non sono Totti, ma è ugualmente bello e importante. Sassuolo non è Roma, è una questione di dimensioni non solo calcistiche. La Roma è un top club».

GASPERINI MAGARI LO VUOLE – «Non so se ho il fisico per reggerlo».

CONTRSTTO – «Ho un contratto fino al ‘29, ma mai dire mai».

IL PROVINO – «Mio fratello studiava all’Università di Modena, decisi di raggiungerlo. Conoscevamo uno della Finanza, un calabrese, che mi fece fare un provino alla Spal Mi presero, ma non ce la facevo a stare su, non mi piaceva, troppo presto. Così dopo una settimana tornai in Calabria. Il Sassuolo è arrivato nel 2010 e adesso sono quindici anni in Emilia e altrettanti in Calabria».

RIFLETTORI – «Non ho mai amato i riflettori, mi piace far parlare il campo. Non ho agevolato le interviste. Ho fatto quello che mi sentivo. Oggi sono maturato sotto tutti i punti di vista».

L’INFORTUNIO RECENTE – «Non è stato facile. Rottura del tendine d’Achille dopo che ero appena rientrato da un intervento al menisco. Avevo rivisto la luce e sono riprecipitato nel buio totale. Le ho pensate tutte, per la prima volta ho temuto che fosse finita. Il professor Zaffagnini, a Bologna, mi ha aggiustato e dopo due mesi ho ricominciato a lottare. La famiglia mi ha aiutato parecchio. Sono rimasto fuori otto mesi. L’ultimo anno in B mi è servito, anche se – sono sincero – non ho fatto bene. Non ero al cento per cento. È stato utile per ritrovare il campo, la partita, la condizione».

PROVOCAZIONI – «Non ci casco più. So come affrontare i provocatori. Non è stato semplice adattarsi, ma ci sono riuscito».

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I MARCATORI PIU’ DURI – «La Roma di Mourinho, undici assatanati, in campo alimentavano il caos. Devo dire che un altro bel soggetto era Chiellini. Ti menava e poi ti ringraziava. Una marcatura esperta e fisica. Quand’eri a terra semidistrutto da lui, Giorgio era il primo a consolarti. Un martello, ma educato.» (Ride davvero di gusto).

IL VAR – «C’è più attenzione da parte di chi difende. La gomitata, il pugnetto tirato a tradimento vengono molto spesso individuati.»

GLI ALLENATORI – «A Di Francesco devo tanto, ha avuto il coraggio di buttarmi nella mischia a diciassette anni. Grosso in questo calcio ci sta benissimo, è uno che si confronta, che ci ascolta. Ma mi sento tanto legato a De Zerbi. Con lui giocavamo col joystick. Maniacale, totalmente assorbito dal lavoro, poteva stare sul campo diciotto ore. Possesso stretto, a campo aperto, la tecnica con le sagome. Se sbagliavi un passaggio semplice e spedivi il pallone sul piede sbagliato del compagno, interrompeva l’allenamento. Insisteva fino a quando il pallone non arrivava al piede giusto. (Si ferma). Per noi si sarebbe buttato nel fuoco.»

LA NAZIONALE – «Mancini riuscì a unire il gruppo ed era piacevole stare insieme. Finita la partita tornavamo a Coverciano, alle quattro di notte la spaghettata aglio, olio e peperoncino. Il pensiero della vittoria non ci aveva sfiorato. Ci provammo e andò bene. Con un po’ di fortuna.»

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