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·18 octobre 2025

Cairo dice che non ci sono offerte. Però come mai solo il Torino non trova compratori?

Image de l'article :Cairo dice che non ci sono offerte. Però come mai solo il Torino non trova compratori?

Nell’ambito del Festival dello Sport di Trento il patron del Torino Urbano Cairo, nonché presidente e amministratore delegato di Rcs MediaGroup (che organizzava l’evento), ha chiarito i suoi intendimenti verso la società granata. «Sì, è vero che ho dato disponibilità a vendere il Toro ma non ci sono trattative perché offerte non ce ne sono», ha dichiarato il numero uno del club aggiungendo: «Sono contento di aver preso il Toro, il bilancio di questi 20 anni è positivo, fra momenti belli e brutti, e lo riprenderei, anche se non ci rimarrò a vita. Ai tifosi arrabbiati dico che nella gestione del club mi sono sempre comportato facendo ciò che ritenevo il meglio per la squadra».

Parole che hanno riecheggiato quelle pronunciate nei mesi scorsi, quando il patron granata spiegò: «Se arrivasse qualcuno (per comprare il club, ndr), bisognerebbe anche capire che tipo è. A volte abbiamo visto squadre importanti essere cedute in mano a soggetti che li hanno portati in condizioni negative: nei dieci anni prima di me ci sono stati sei anni di B e tre retrocessioni».


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E su questo è difficile non essere d’accordo con l’imprenditore alessandrino. Benché in questo momento la sua presidenza sia sempre più invisa ai tifosi, nel suo ventennio sulla tolda granata Cairo ha garantito al Torino una solidità economica mai vista, almeno dai primissimi anni ’90. E questa ha portato con sé la sicurezza di una relativa tranquillità di permanenza in Serie A con una puntata in Europa nella stagione 2014/15 (per quanto aiutata dall’esclusione dal Parma dalle coppe europee), mentre nel 2019/20 venne ammesso in Europa League sempre grazie all’esclusione di un altro club (il Milan) ma venne eliminato agli spareggi dal Wolverhampton.

Niente di trascendentale, sostengono i tifosi, che imputano a Cairo di avere quasi cloroformizzato la passione granata e non avere mai dato linfa a quello spirito battagliero che ha contraddistinto il Torino nella sua storia. Non a caso lo scrittore Giovanni Arpino inventò il neologismo “tremendismo granata” per indicare «una squadra di orgoglio, di rabbie leali, di capacità aggressive, mai vinta, temibile in ogni occasione e soprattutto quando l’avversario è di rango» come erano i granata nei primi anni settanta.

Però è anche vero, per non andare troppo lontani dal Piemonte, che sulla sponda blucerchiata di Genova, sebbene tuttora non vi sia un singolo tifoso in Liguria che rimpianga Ferrero, che le cose a livello sportivo sono andate addirittura peggio dopo uscita di scena del discusso imprenditore romano. Precipitando sino alla retrocessione in Serie C dello scorso anno, poi sventata per le questioni legali del Brescia. Insomma quando Cairo sostiene che bisogna stare attenti a chi si vende dice una verità sacrosanta.

Però proprio qui sta il punto. Dati al presidente i meriti sulle questioni economiche e prendendo per buone le sue parole a Trento (quella sulla mancanza di offerte) la domanda è: è mai possibile che in un mondo che pullula di investitori americani desiderosi di entrare nel calcio europeo, una società sana da un punto di vista patrimoniale e carica di storia come il Torino non trovi acquirenti?

E l’interrogativo che ne consegue automaticamente è: non è che il prezzo chiesto dal patron granata sia troppo alto nei confronti delle valutazioni di mercato? O che magari ci sia qualcosa che possa aumentare il valore del club tra non molto e qundii perché vendere oggi?

I 20 anni di Cairo nei conti del Torino

Entrando nello specifico nei suoi 20 anni di presidenza (Cairo divenne proprietario del Torino nel settembre 2005) l’imprenditore alessandrino ha immesso nel club granata circa 80,7 milioni di euro complessivamente, di cui 62,2 milioni tra il 2005 e il 2012 (con un massimo di 21 milioni di euro nel 2010) prima di aprire nuovamente il portafoglio nel 2022, nel 2023 e nel 2024 versando 18,5 milioni complessivi. Nei fatti poco più di 4 milioni a stagione, che però non è esattamente una cifra tale da poter rilanciare nel calcio moderno una società alla grande.

Se invece si analizzano i bilanci in termini di risultato netto il cumulato dei bilanci degli ultimi 20 anni segna un rosso per 87,6 milioni. Anche se l’ultimo bilancio, quello del 2024 (il Torino chiude l’esercizio al 31 dicembre), evidenzia un utile di oltre 10 milioni, spinto dalle plusvalenze e in particolare da quella legata alle cessioni di Alessandro Buongiorno al Napoli (32,8 milioni) e Raoul Bellanova all’Atalanta (15,3 milioni).

Per tutti i dettagli tecnici si legga la seguente tabelle e per chi vuole approfondire ulteriormente il nostro articolo dedicato a quanto ha speso Cairo per il Torino.

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L’acquisto del Toro e il ruolo nell’establishment italiano

Come si diceva questo tipo di gestione ha assicurato al Torino una stabilità economica che non si vedeva da tempo. A fronte di questi investimenti nel calcio però Cairo ha ottenuto giustamente anche qualcosa, se non molto, in cambio..

All’inizio del secolo il patron granata era già un editore di suo, però in quella che era l’élite del business di allora era per lo più noto come uno degli ex migliori luogotenenti di Silvio Berlusconi.

In questo quadro è innegabile che l’ingresso nel Torino diede all’imprenditore alessandrino quella notorietà e visibilità immediata che solo il calcio può dare in Italia in maniera continuativa, non foss’altro perché ogni domenica vi è disposizione l’amplissima audience dello sport più amato degli italiani.

E in un certo senso quindi si può dire che anche tramite l’acquisto del Torino Cairo si assicurò un posto di primo piano nell’establishment italiano. Posizione che poi seppe consolidare grazie alla sue capacità imprenditoriali in virtù delle acquisizioni prima di La7 e poi di RCS, la società che tra gli altri edita Il Corriere della Sera e La Gazzetta dello Sport.

Non a caso adesso i maligni sussurrano che ora che nessuno gli può portare via il posto nell’establishment italiano, del Torino sembra importargli meno di prima.

Stabilità economica ma pochi risultati

Evidenziati i meriti sul lato economico, non si può però negare che sul lato sportivo le pecche sono indiscutibili: prima del grande buio degli anni novanta (quando il club fu veramente in pericolo), il Torino in campionato era una presenza stabile nelle posizioni valevoli per la zona UEFA di allora (ovvero tra il secondo e il quinto posto), con l’apice negli anni Settanta quando la squadra lottò svariate stagioni per lo scudetto conquistando quello del 1975/76. Inoltre la costante presenza nelle coppe europee portò nel 1991/92 la squadra granata alla finale di Coppa UEFA persa contro l’Ajax, oltre alle Coppe Italia vinte nel 1971 e nel 1993.

Invece, sotto la presidenza Cairo il miglior piazzamento in Serie A è stato il settimo posto nella stagione 2013/14 e 2018/19. E l’unica impresa che si ricordi è probabilmente quella di Bilbao nei sedicesimi di finale di Europa League nel 2014/15, quando i granata di Ventura, dopo il 2-2 dell’andata in casa, sconfissero l’Athletic nei Paesi Baschi per 3-2 conquistando l’accesso agli ottavi (dove vennero poi eliminati dallo Zenit San Pietroburgo).

Non solo ma per una società e una tifoseria per la quale il derby con la Juventus rappresenta la partita per antonomasia che vale davvero una stagione, il bilancio delle stracittadine nell’era Cairo è altamente deludente essendo costituito da:

  • 1 vittoria (nell’aprile 2015, oltre 10 anni fa);
  • 7 pareggi;
  • 24 sconfitte.

Un totale quindi di 10 punti su 96 disponibili.

Anche qui una grossa differenza con quanto avveniva invece negli settanta e ottanta, quando, pur in presenza di squadre fortissime della Juventus, i granata rappresentavano una vera e propria bestia nera per i bianconeri (12 vittorie granata, 13 pareggi e 14 vittorie bianconere nei 39 derby di Serie A dal 1970/71 al 1989/90). Nei cuori torinisti per esempio un ricordo indelebile è quello del derby del marzo 1983, quando i granata di Bersellini, sotto di due gol dopo 65’ nei confronti di una Juventus zeppa di campioni del mondo, seppero ribaltare la gara nei cinque minuti tra il 70’ e il 74’ vincendo la stracittadina per 3 a 2.

Insomma anche nei numeri trova una qualche conferma il grande j’accuse dei tifosi verso l’imprenditore alessandrino, ovvero quello di non avere capito lo spirito granata. Uno spirito che affonda naturalmente nel mito e nella tragedia del Grande Torino di Valentino Mazzola e di Ferruccio Novo, ma che è poi proseguito nei decenni con la scomparsa di Gigi Meroni, con la squadra del “tremendismo granata” di Agroppi e Cereser, per poi continuare con lo scudetto 1976 di Pulici e Graziani sino a giungere alla sedia di Mondonico nella finale di Coppa Uefa 1992 di Amsterdam.

Di tutto questo nella gestione Cairo non c’è stato nulla, o poco. Forse soltanto l’impresa di Bilbao.

E dire che volendo le occasioni non sono mancate. Nei primi anni di Cairo sulla tolda granata per esempio, la Juventus stava vivendo gli anni più bui della sua storia, quelli di Calciopoli e della retrocessione in Serie B, e nonostante l’impasse sull’altra sponda della città poco è stato fatto per spingere sull’acceleratore la passione granata o per conquistare gli appassionati più giovani, che proprio in quegli anni si affacciavano al calcio.

È evidente quindi che alla luce di tutto non è fuori logica pensare che ci possa essere del potenziale da sviluppare per un eventuale acquirente e per accrescere nel mondo il valore dell’ “universo Torino” tenendo presente anche altri elementi legati e specifici della società granata.

Tra questi ci sono sicuramente:

  • Essere una delle due squadre di una città, Torino, che per quanto in declino demografico è pur sempre la quarta città italiana per numero di abitanti. Per altro nel capoluogo piemontese il divario quantitativo tra i tifosi bianconeri e granata, se esiste, non è sicuramente significativo come nel resto d’Italia;
  • Essere insieme alla concittadina Juventus e al Napoli (che non ha rivali locali), l’unico club delle quattro grandi metropoli italiane ad avere già uno stadio solo per se stesso, per quanto obsoleto;
  • E soprattutto avere una storia che è sì segnata dalle tragedie ma che la gente ha saputo trasformare in memoria indelebile. E per questo il Torino ha un epos per certi versi senza eguali nel mondo del calcio e che lo rende il club di valore al di là dei trofei vinti (anche perché l’ultimo in ordine cronologico è ormai la Coppa Italia 1993).

Alla luce di questo, e senza nessuna volontà polemica con il presidente i cui meriti sono stati ampiamente riconosciuti, è logico, se non doveroso, domandarsi, tenendo per buone le parole di Cairo a Trento, perché, nel mentre fondi e imprenditori stranieri comprano mezza Serie A spaziando da colossi quali Inter e Milan sino a realtà provinciali quali Verona o Pisa e in Serie B Venezia e Monza, proprio il Torino non trovi un compratore. A meno che non sia proprio una questione di prezzo.

Il nodo immobiliare sul futuro granata

In questo quadro non è detto che il tempo non porti delle risposte. Perché sul lato immobiliare ci potrebbero essere delle evoluzioni importanti.

La prima è legata allo sviluppo dello Stadio Grande Torino, che per quanto sotto vincolo della Sovrintendenza dei Beni Ambientali ed Architettonici, da questa estate è stato liberato dalle ipoteche che gravavano sull’impianto addirittura dal 2005. «L’obiettivo di prendere lo stadio è legato allo sviluppo delle strutture e non ci sono secondi fini legati a una vendita», spiegò Cairo lo scorso agosto. «E, a proposito delle condizioni, me ne aspetto di simili a quelle avute dalla Juventus», puntualizzò non senza polemica il patron granata.

Ora se lo sviluppo dello stadio non è legato alla vendita, è però evidente che per quanto l’ex Comunale non sia un impianto enorme e per quanto pendano su di esso alcuni vincoli architettonici, una infrastruttura su cui poter implementare piani di sviluppo immobiliare, per altro situata nel centro urbano di una città, possa aumentare il valore della società che ne usufruisce.

Dopo lo stop alle ipoteche, al momento si attende la valutazione dell’advisor Praxi, prevista entro novembre. In particolare, la richiesta del Comune era di quantificare sia il valore dell’impianto in caso di compravendita, sia il canone di affitto come soluzione alternativa. Quest’ultimo rappresenterebbe un “paracadute” di emergenza: la priorità dell’amministrazione resta infatti la vendita dello stadio. Le possibili modalità di cessione prevedono il diritto di superficie per 99 anni o una partnership pubblico-privata di almeno 30 anni.

Restando sul tema delle infrastrutture (quelle cioè che possono aumentare il valore della società), è in fase di completamento anche il centro sportivo di Robaldo. I quattro campi sono già operativi e utilizzati dalle squadre giovanili fino all’Under 16. È in corso inoltre la costruzione di una palazzina adiacente al campo principale, che ospiterà spogliatoi, palestre, uffici medici, mense e infermerie. Una volta completata, con la conclusione nei primi mesi del 2026, la struttura permetterà di estendere gli allenamenti anche alle squadre maggiori del settore giovanile, portando a pieno regime l’utilizzo del centro, che rimarrà comunque dedicato esclusivamente al vivaio.

Da questi sviluppi infrastrutturali attesi nei prossimi mani passa quindi anche il futuro del Torino nell’era Cairo. E un nodo non di poco conto: se nemmeno con stadio e centri sportivi nuovi (non va dimenticato infatti anche il Filadelfia) dovessero arrivare compratori, allora la soluzione al nodo delle mancate offerte sarebbe da cercare altrove.

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