Calcionews24
·18 décembre 2025
Mangiapoco si racconta: «Il mio un percorso perfetto. Mai fatto professionismo da piccolo, solo provini. Non guardo troppo i numeri, non è solo lavoro mio. Ecco cosa è successo alla chiamata della Juve»

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Il percorso di Stefano Mangiapoco non è stato lineare né scontato. È stato costruito passo dopo passo, attraverso sacrifici, categorie inferiori e una crescita costante che lo ha portato oggi a difendere i pali della Juventus Next Gen.
Un traguardo raggiunto grazie alla gavetta, iniziata lontano dai riflettori e culminata con l’ingresso nel mondo bianconero. In esclusiva a Juventusnews24, il portiere classe 2003 ha ripercorso le tappe fondamentali della sua carriera, raccontando valori, modelli e l’annata che ne ha certificato la maturazione.
Oggi vogliamo raccontare una storia, la tua storia Stefano. Perché essere della Juventus, far parte della Juventus, è il coronamento di tanti step e tappe graduali. Fame e voglia di arrivare, crescere velocemente, tempra e carattere: quale parola chiave ha contraddistinto di più la tua ‘gavetta’?«La parola penso sia lavoro. Crederci sempre: io ho fatto degli step che mi han portato a fare la cosiddetta gavetta. Grazie al lavoro svolto con tanti allenatori, con tante persone che mi son state accanto, sono arrivato in un club come la Juve che equivale a un traguardo».
Pontisola, Ponte San Pietro e Pro Palazzolo. Tutto è partito da lì, dalle giovanili fino alla Serie D. Il professionismo lo hai conosciuto più “da grande”: se per un attimo ti guardi indietro, che percorso è stato e cosa ti ha lasciato?«È stato un percorso perfetto. Non ho mai fatto professionismo da piccolo, ho solo fatto provini con società vicine a casa. Ho giocato tanti anni nel Pontisola, che poi si è fuso ed è diventato Ponte San Pietro. Il mio sogno era arrivare in Prima squadra, a giocare in Serie D al Ponte San Pietro. In quell’ambiente ti crescono con l’obiettivo di arrivare in Prima squadra: lì han giocato calciatori da giovani che ora sono in Serie A come Augello e Paleari. È sempre stato un bacino importante della bergamasco, pur non essendo professionismo. Ho giocato un anno in Prima squadra, poi mi son liberato con lo svincolo, ho fatto ancora un anno di Serie D alla Pro Palazzolo dove mi son trovato benissimo e poi son salito di categoria nel professionismo per la prima volta».
A quali modelli ti sei ispirato da bambino? Quali portieri guardavi con più attenzione?«Non posso non dire Buffon, è l’idolo di tutti i bambini, soprattutto italiani. Poi mi piaceva tanto Alisson quando giocava nella Roma e Courtois tutt’ora».









































