Bremer a Small Talks: «Mi sento un leader e voglio essere un esempio. Vi racconto i miei inizi, l’infortunio, Tudor e quella chiamata con Chiellini…» – VIDEO | OneFootball

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·10 September 2025

Bremer a Small Talks: «Mi sento un leader e voglio essere un esempio. Vi racconto i miei inizi, l’infortunio, Tudor e quella chiamata con Chiellini…» – VIDEO

Gambar artikel:Bremer a Small Talks: «Mi sento un leader e voglio essere un esempio. Vi racconto i miei inizi, l’infortunio, Tudor e quella chiamata con Chiellini…» – VIDEO

Bremer a Small Talks: ecco le dichiarazioni del difensore della Juventus nella nuova puntata del podcast bianconero

Lunga intervista del difensore della Juventus Gleison Bremer a Small Talks. Ecco le parole del muro brasiliano.

GUERRIERO«Mi piace ma non troppo. Il troppo non va mai bene».


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EDUCATO – «Mi piace parlare ma non troppo, preferisco stare sempre nascosto».

INFANZIA – «Sono nato in un paese di 8 mila abitanti, mio papà aveva una fattoria. Sono nato lì, mi piaceva tanto. Oggi ho una fattoria lì che mio papà gestisce per me».

SUO PAPA– «È nato anche lui in un paese piccolo, la sua famiglia era benestante e lui giocava a calcio a livello amatoriale. Poi i suoi genitori si sono separati ed è diventato più difficile perchè non guadagnava abbastanza quindi ha dovuto smettere. Mia mamma era una professoressa. Lì mio padre ha iniziato a lavorare in città e ad andare in fattoria nel giorno libero. Noi aiutavamo mio papà quando eravamo a casa da scuola, ho tre fratelli. In campo era un centrocampista o un difensore ma non ha mai giocato ad alti livelli. In quel epoca nella mia città c’era un giocatore del Santos e lui mi ha dato una grossa mano. Mi diceva che tanti hanno il talento ma devi anche essere professionista, io sono cresciuto con questa mentalità».

GLI INIZI«Mio padre mi spingeva a giocare ma mi ricordava di studiare, di non lasciare tutto per il calcio. Mio fratello lavora a San Paolo in un’industria metallurgica e mia sorella è una psicologa».

BRASILE«Io torno là una volta l’anno. Mio papà ogni tanto lo faccio venire qua ma non gli piace: dice che è freddo. Lui è abituato a camminare sempre in pantaloncini e infradito in Brasile, qui il clima soprattutto in inverno è diverso».

CALCIO ITALIANO VISTO DAL BRASILE«È un bel calcio. In quegli anni la Serie A era come la Premier League oggi. Passavano sempre le azioni della Serie A. La Juventus, la Sampdoria, Ronaldo, Cafu, Adriano. I giocatori brasiliani forti erano tutti in Italia. Per noi sudamericani Italia e Spagna sono i paesi migliori in cui abitare. Si sta bene, si mangia bene e si vive bene. C’è il mare. Qui è perfetto».

TORINO – «Bello ma strano, è tanto diverso dal Brasile. Penso alla cultura, al formato delle case. Mi piaceva perché sono arrivato in estate, era caldo come nel mio paesino in Brasile. Poi in inverno quando è arrivato il freddo ho capito che non era così facile».

AMBIENTARSI«Subito devi imparare la lingua, io capisco bene e mi faccio capire. Poi devi adattarti alla cultura, alla città, al significato del club. Al Toro mi hanno portato una professoressa di italiano. Poi ho imparato giocando ma il mio primo anno è stato difficile, il calcio europeo difensivamente è diverso. Poi piano piano sono andato e sono fiero di quello che sono ora».

LAVORO«Qui serve tanta forza fisica. Giocare al Toro è una cosa, giocare alla Juve un’altra. Quando giochi alla Juve giochi ogni tre giorni, al Toro hai una settimana per preparare la partita. Devi fare attenzione a tutto: all’alimentazione, al sonno. Ci sono tante esigenze, ogni anno devi mettere qualcosa in più per non abbassare il livello».

NUMERO 3 – «Ha un significato simbolico: ho sempre giocato con la 3. Ho sempre voluto la tre ma avrei voluto giocare con Chiellini. Quando sono arrivato qui l’ho chiamato e gli ho chiesto se potessi indossare la sua tre. Lui mi ha detto di prenderla tranquillamente. Io cerco sempre di dare il mio massimo per meritarmi la maglia perchè gioco nella Juventus. Senza il 3 avrei preso il 33″.

RELIGIONE – «Noi brasiliani siamo molto credenti in Dio. Io e mia moglie siamo tanto credenti. Tutto ciò che succede nella nostra vita io lo riferisco a Dio. Niente qui è per caso, tutto ha una ragione, per me è sempre Dio».

INFORTUNIO«A primo impatto ero arrabbiato, era inizio stagione e sapevo non sarebbe stato semplice. Dopo mi sono detto che dovevo guardare il positivo e come uscire meglio da questo infortunio. L’allenamento è come la partita, dopo l’infortunio ho imparato ancora di più: i grandi giocatori e i grandi atleti avevano mentalità vincente. Quindi devi fare così».

KOBE BRYANT – «Ho iniziato a guardare il basket nel Covid. Venivo da un anno difficile con partite top alternate a partite pessime, non avevo un equilibrio e costanza. Non capivo cosa sbagliassi e come potessi migliorare. Mi apparivano Kobe e Jordan e ho imparato la loro mentalità».

FAMIGLIA – «Mi ha aiutato tanto, quando facevo una partita brutta mi chiudevo in camera e non volevo parlare con nessuno. Poi sono migliorato lentamente. Da tutto si trae insegnamento».

OPENDA – «Il destino, come dicevo prima Dio, subito dopo la partita mi ha chiesto scusa, mi ha scritto. In realtà è stata un’occasione, purtroppo è capitato con lui ma succede è normale. Non l’ho ancora incrociato qui alla Continassa ma sarà normale chiederà scusa e poi basta, si lavora»

ATTACCANTI PIU’ DIFFICILI DA MARCARE – «Neymar, Ronaldo, Mbappe».

TUDOR«Ci aiuta molto essendo stato un difensore. Poi siamo una bella squadra, vogliamo imparare tutti e questa è una buona base. Poi c’è il lavoro individuale».

LEADER«Mi sento un leader ma non sono uno che fuori dal campo parla tanto. Mi piace la presenza, loro vedono cosa faccio io e voglio essere un esempio. Siamo un gruppo giovane e voglio aiutare i miei compagni. Gatti, Vlahovic e Locatelli sono dei leader».

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