Chiellini: «Come si esce dalla crisi del calcio italiano? Non può farlo da solo; Comolli? Non è l’uomo degli algoritmi; attento ai dati, ma vive il calcio da sempre» | OneFootball

Chiellini: «Come si esce dalla crisi del calcio italiano? Non può farlo da solo; Comolli? Non è l’uomo degli algoritmi; attento ai dati, ma vive il calcio da sempre» | OneFootball

In partnership with

Yahoo sports
Icon: Calcionews24

Calcionews24

·30 Juli 2025

Chiellini: «Come si esce dalla crisi del calcio italiano? Non può farlo da solo; Comolli? Non è l’uomo degli algoritmi; attento ai dati, ma vive il calcio da sempre»

Gambar artikel:Chiellini: «Come si esce dalla crisi del calcio italiano? Non può farlo da solo; Comolli? Non è l’uomo degli algoritmi; attento ai dati, ma vive il calcio da sempre»

Le parole di Giorgio Chiellini, a Tuttosport in occasione degli 80 anni del giornale torinese, dove parla a 360°

In occasione degli 80 anni di Tuttosport, il direttore del quotidiano torinese Guido Vaciago ha parlato con il dirigente della Juve e leggenda bianconera Giorgio Chiellini. Juve e non solo, ecco le sue parole a 360°.

PERCEZIONE DI TUTTOSPORT ALLA JUVENTUS – «Sì, pesa. Poi pesano un po’ tutti i media e sarebbe meglio pesassero un po’ meno. All’inizio della carriera, soprattutto, può essere pericolosa la narrazione, perché può influenzare in positivo e in negativo. Adesso da dirigente, paradossalmente, leggo di più, perché ho il dovere di capire come veniamo raccontati. Da giocatore facevo attenzione a non farmi influenzare, a non farmi destabilizzare».


Video OneFootball


IL GRANDE TORINO E IL LEGAME CON LA CITTÀ – «Grande rispetto per una squadra gloriosa, che purtroppo non si è fermata davanti a un avversario più forte, ma davanti a un tragico destino. Vivo a Torino da vent’anni e sono immerso nella città, il 4 maggio è un giorno particolare. Una ricorrenza nella quale si ferma il mondo e ho molti amici che, in quel giorno, non prendono in considerazione nulla tranne l’andare a Superga. Io questo lo trovo bellissimo, perché significa portare avanti un ricordo con orgoglio. Ammiro lo spirito di identità che hanno questi tifosi che, quella squadra, non l’hanno mai vista giocare, ma l’hanno solo vissuta nei racconti».

SPORT NEL CUORE – «Io mi ricordo le ore che passavo davanti alla tv da ragazzo a vedere qualsiasi sport fosse trasmesso nel periodo delle elementari e delle medie: per vedere ogni programma sportivo che passasse in tv facevo una battaglia. Dal vivo vedevo poco sport, Livorno non è esattamente il centro del mondo, però il palazzetto per il basket e lo stadio, che tra l’altro sono vicini, erano i luoghi dove passavo la domenica: mia mamma mi portava lì alle due e mezza e veniva a prendermi dopo il basket alle otto».

EVENTI SPORTIVI CHE HANNO SEGNATO LA VITA – «Mondiali 90 e Mondiali 94 me li ricordo benissimo. Nel 1990 ero piccolo, ma posso dirti con esattezza dove ho visto Italia-Argentina e non dimentico le lacrime per la finale di Usa 94 dopo i rigori contro il Brasile. Quelle sono due pietre miliari nelle mie emozioni. Poi, io e mio fratello facevamo un tifo sfegatato per Tomba in tv e abbiamo vissuto da appassionati l’epoca Schumacher alla Ferrari. E, come ho detto, tanto amore per il basket livornese, purtroppo non quello della squadra storica, che perse la finale contro Milano: io ho vissuto la A2 con la promozione in A1. Ah, e ho vissuto il primo anno di Gallinari a Milano».

TRE PRIME PAGINE DA INCORNICIARE – «No, io non colleziono, ma mia mamma sì. E comunque dico: Europei del 2021, l’apice della mia carriera. Ha un valore superiore a tante cose, perché unisce tutte le tifoserie con qualcosa di più grande. E viverlo a fine carriera, dopo tante peripezie calcistiche e fisiche e dopo il Covid, ha dato una forza maggiore a quelle emozioni. È stato qualcosa di molto importante. Poi direi il primo dei nove scudetti, cito quello perché è stato grandemente inaspettato, con il cuore sulle montagne russe, come il pareggio con il Lecce nelle ultime giornate, che sembrava averci riportarti in un dramma clamoroso. Per la terza scelta manca la Champions con la Juve, abbiamo fatto due finali e una non l’ho giocata e ho il grande rimpianto di non essere stato in campo a Berlino, avremmo perso lo stesso, ma resta il rammarico di non esserci stato».

CALCIO ITALIANO INDIETRO – «Se penso che in quel periodo portavamo tre squadre in semifinale di Champions e avevano una serie di Palloni d’Oro che giocavano da noi… Oggi uno scenario del genere è utopia».

PALLONE D’ORO IN ITALIA – «Possibile sì, realistico no. E, comunque, per un exploit estemporaneo, non certo perché qualcuno ha la potenzialità economica di prendere uno dei migliori al mondo».

COME SI ESCE DALLA CRISI – «Sono sincero, non lo so. Il calcio italiano non ha la forza di farlo da solo, deve ritrovare qualcosa di speciale che o non abbiamo o non ci riconoscono. L’evoluzione del seguito che stiamo avendo negli ultimi anni è in discesa, qualcuno se ne rende conto e qualcuno meno. E va oltre ai risultati, buoni (ma non certo esaltanti) delle squadre in Europa. Quelli non sono un indice della salute».

MANCANZA DI MANAGERIALITÀ – «Sì, ma occhio che manca anche all’estero. Siamo sempre molto severi nel giudicare a casa nostra, ma non è che all’estero stiano molto meglio, sfruttano buone scelte fatte in passato o club che vanno oltre qualsiasi momento di crisi. Penso alla Spagna o all’Inghilterra. I problemi ci sono anche lì e sono palesi. Tutte le dinamiche del Barcellona non sono indice di grande managerialità, ma il Barcellona è un club mondiale, che ha un seguito globale e, anche se ora sta sistemando le cose, errori in passato ne ha commessi, altrimenti non si ritroverebbe in quella situazione. Anche la Premier, che ha una potenza enorme per i diritti tv, sta comunque affrontando problemi economici, forse legati a qualche errore di managerialità. Quindi non per forza siamo messi peggio degli altri da qual punto di vista. È chiaro che il nostro valore internazionale sta andando sempre più giù e il rischio è di non essere più competitivi a livello internazionale e questo provochi un livellamento verso il basso di tutto il calcio italiano. Poi se ti dicessi che ho un piano sarei presuntuoso e bugiardo, ma stiamo cercando di combattere questo».

MONDIALE PER CLUB – «Per me è la prima di una lunga serie di edizioni. Sicuramente, un torneo che in Italia si è apprezzato un po’ meno per il fuso orario non è stato vissuto così intensamente. Io ero negli Usa e mi sono visto tante partite belle, che non avevo mai visto e la possibilità di confrontarsi con il calcio sudamericano e con le loro tifoserie mi ha emozionato. Ne ho parlato con Wenger e Infantino, l’idea di vedere un torneo del genere, chessò, a Londra e sobborghi, nei mesi di giugno e luglio, con temperature più fresche e distanze ridotte, credo sia un sogno per qualsiasi tifoso che può vedere calcio dal mattino alla sera. È un torneo bello per chi ama il calcio, poi gli Usa avevano logistiche difficili, quindi è da capire bene dove rifarlo. La finale è stato uno spettacolo a 360 gradi bellissimo, ero in presenza e me lo ricorderò tra tanti anni».

EVOLUZIONE DELLA CHAMPIONS – «Io sono partito alla Coppa dei Campioni in cui ci andava uno solo, il campione, appunto, con l’eliminazione diretta. E poi ho visto l’evolversi a due, tre, quattro… Io non sono un nostalgico e mi piace molto questo nuovo torneo, anche se mi rendo conto che vada aggiustato perché i calendari si stanno affollando e complicando, ma trovo che sia un torneo bello, che ha dato adrenalina e quell’ultima giornata del girone è piaciuta a tutti e ha appassionato tutti. Poi, cambieranno ancora le cose, ma è normale che sia così, è naturale».

IL NUOVO RUOLO IN SOCIETÀ – «Io sono entrato in società l’anno scorso e ho seguito la parte istituzionale e ho scoperto un nuovo mondo che va oltre il campo, come Lega, Federazione e istituzioni internazionali come Eca e Uefa, scenari che credo sia giusto conoscere per avere una preparazione più completa. Poi ci sono dinamiche interne, tante persone che conosco da anni, ma un conto è conoscerle e un conto è lavorare con loro tutti i giorni. Quella l’ho iniziato a fare l’anno scorso e continuerò a fare quest’anno, entrando in una parte della Juventus poco conosciuta, ma è che è il motore di quell’altra Juventus. Prima bisogna conoscere come funziona una macchina, poi si possono avere opinioni e dare idee, altrimenti sarebbe presuntuoso e controproducente. Poi c’è il campo e sono sempre stato a supporto delle persone che c’erano l’anno scorso e lo sono quest’anno. È un processo che non mi piace affrettare o saltare, ma resto sempre a disposizione di tutti. Come ha specificato Damien, non partecipo alle scelte di mercato, ma non c’è una persona sola al comando della Juventus, siamo un gruppo che lavora e collabora insieme per cercare di ottenere il massimo. Neanche ai tempi di Andrea Agnelli c’era un uomo solo al comando, perché anche lui delegava molto alle persone sotto di lui. Sarà sempre così».

CONDIVISIONE SCELTE DI MERCATO – «Dipende dall’importanza della scelta. Anche la proprietà viene coinvolta nelle più importanti. Il mercato da solo non lo fa nessuno, neanche Moggi negli Anni 90, se parli con Giraudo… Poi logico il direttore sportivo si prende la responsabilità della scelta tecnica, come l’allenatore della formazione che manda in campo. Ma alla Juventus non c’è mai stato il presidente che faceva le scelte da solo».

DIFFICOLTÀ NEL VENDERE GIOCATORI – «Moggi diceva: a comprare sono tutti buoni e a vendere che è difficile e riesce a pochi. Sono la persona sbagliata a cui chiedere, in questo momento, ma posso dire che se vuoi vendere uno che ha fatto bene, fai tu il nome, non è difficile. Vendere chi ha fatto male… beh, è più complesso. Poi girano pochi soldi, a tutti i livelli, A, B e C, ci sono problemi a vendere, perché nessuno può spendere. Ce li ha la Juve come qualsiasi altro club, così alla fine si fa tutti gli ultimi 15 giorni di agosto. Chi ha i soldi compra in anticipo, gli altri all’ultimo giro, quello dei saldi».

COMOLLI UOMO DEGLI ALGORITMI – «Ma no, è un po’ una descrizione distorta. È molto attento ai dati, perché crede ai numeri, ma questo non vuole dire che è un uomo solo di dati e niente presenza umana. Non è ancora conosciuto, per tanti di noi, me compreso. Io l’avevo conosciuto a marzo a una riunione dell’Uefa, eravamo vicini a tavola e avevamo chiacchierato a lungo, senza sapere che ci saremmo trovati a lavorare insieme, ci abbiamo riso parecchio quando è arrivato a Torino. È una persona con cui si lavora bene, si sta creando una struttura di lavoro che si completerà in autunno: lavorare si lavora, il tempo ci dirà se bene o male, ma c’è molta voglia di sacrificarsi per creare quel ciclo vincente di cui parlavamo prima».

COMOLLI UOMO CHE RESPIRA CALCIO – «Lo fa da bambino e ha girato tutto il mondo, mi ha raccontato il Giappone, per esempio. Tutta questa esperienza internazionale gli ha dato una visione d’insieme più completa».

Lihat jejak penerbit