Calcionews24
·5 November 2025
Diego Fuser: «Mi ricordo quando arrivai al Milan. Andai in quella squadra grazie a Zoff e sul Toro…»

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Diego Fuser ha giocato in molte squadre importanti dopo essere cresciuto nel Torino e con la Nazionale ha collezionato 25 presenze. Oggi su La Gazzetta dello Sport sfoglia l’album dei ricordi, tra calcio e vita privata.
LA PASSIONE PER IL CALCIO TRASMESSA DAL PADRE – «Sì, mi portava lui allo stadio. Fino agli allievi sono andato tutte le domeniche, poi ho smesso. Il mio idolo era Tardelli, mi piaceva da matti come stava in campo».
UN TIFOSO JUVE DIVENTATO GRANATA – «Già dalla Primavera. Del resto, quando giochi contro la Juve ti accorgi di tante cose e non puoi tifarla più».
L’ARRIVO AL MILAN – «Il primo anno forse non ero al livello giusto. Il secondo, invece, dopo il prestito alla Fiorentina tornai a Milano convinto di potermi giocare le mie carte. Capello, però, in ritiro provò Gullit esterno destro e funzionò, così giocò Ruud quasi tutto l’anno. E a giugno chiesi di andare via».
ZOFF LO VOLEVA ALLA LAZIO – «Scelsi i biancocelesti per quello. Sono stati quattro anni bellissimi, ho avuto l’onore di indossare la fascia da capitano e sollevare coppe. Dispiace per come è finita…».
SI ASPETTAVA UN TRATTAMENTO DIVERSO – «Dopo tutte le soddisfazioni che ci siamo tolti sì, credo che lo avrei meritato. Sono stato lasciato andare come fossi uno dei tanti. Diciamo che il suggerimento arrivò da chi non faceva l’allenatore ma era come se lo facesse».
MANCINI – «Non è un segreto che Mancini avesse molto potere in quella Lazio. Eriksson lo ascoltava molto. Mandarono via me, Signori e altri. Avevano altri piani».
COSA GLI DISSE ERIKSSON – «Mi disse che se a Parma mi davano più soldi sarei dovuto andare. La Lazio non fece nulla per tenermi».
LA ROMA – «Ero al Parma, prima di una sfida con la Roma, Capello mi avvicinò durante il riscaldamento e mi chiese se l’anno successivo sarei andato a giocare con loro. Io dissi di sì immediatamente. Poi, qualche settimana dopo, formalizzammo tutto».
UNO SMACCO PER I LAZIALI – «Ripeto, non mi aspettavo un trattamento del genere. Sono legato ai biancocelesti, insieme abbiamo passato stagioni bellissime e non sarei mai andato direttamente alla Roma. Ma avevo fatto tre stagioni a Parma, non immaginavo di scatenare tante reazioni negative. Spesso i tifosi non capiscono che per noi è un lavoro. Rispetto e capisco la passione, però ritengo che ogni tanto ci voglia un po’ di rispetto per chi ti ha dato tutto. Pensi che la Lazio non mi ha mai invitato all’Olimpico…».
RIMPIANTI – «Legato alle mie scelte no. Ne ho uno sulla nazionale: la mancata convocazione all’Europeo del 2000 mi ha fatto male».
IL CT ERA ZOFF – «Avevo giocato tutte le partite delle qualificazioni, come con Maldini due anni prima. Però con Zoff il rapporto era diverso. Mi ero infortunato, ma stavo recuperando e glielo dissi, lui decise comunque di non portarmi. È una ferita che non si è mai del tutto rimarginata».
LE STAGIONI IN GIALLOROSSO – «La prima annata fu molto positiva. Sfiorammo il secondo scudetto consecutivo e giocammo la Champions. La stagione successiva, invece, ci furono un po’ di incomprensioni con la società. Giocai poco, ma avevo già la testa altrove. Iniziavo ad avere problemi più grandi del calcio».
LA MALATTIA DEL FIGLIO – «Sì, scappavo dagli allenamenti per correre da mio figlio. Uscivo e passavo la serata in ospedale con mia moglie. Abbiamo lottato tanto. Anche Matteo lo ha fatto. Purtroppo ci sono circostanze in cui nessuno può farci niente».
IN COSA L’HA CAMBIATA LA MORTE DI MATTEO – «In tantissime cose, mi creda. È stato un evento che ha stravolto la nostra vita, devastandola per sempre. Ti segna dentro, è difficile da spiegare. Provi ad accettarlo ma cerchi risposte che non esistono. Non penso ci sia un dolore grande come la perdita di un figlio. Niente è stato più come prima. Allo stesso tempo, però, il suo esempio mi ha dato tanta forza, viviamo per lui ogni giorno».
Langsung


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