Giaccherini: «Prima di Giaccherinho facevo l’operaio e ho rischiato di morire. Conte fondamentale per me. Euro 2016: una Nazionale bellissima» | OneFootball

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·27 September 2025

Giaccherini: «Prima di Giaccherinho facevo l’operaio e ho rischiato di morire. Conte fondamentale per me. Euro 2016: una Nazionale bellissima»

Gambar artikel:Giaccherini: «Prima di Giaccherinho facevo l’operaio e ho rischiato di morire. Conte fondamentale per me. Euro 2016: una Nazionale bellissima»

Giaccherini e quello che è stato il suo passato calcistico tra europei e Antonio Conte

Emanuele Giaccherini oggi è un apprezzato opinionista di Dazn. A La Gazzetta dello Sport ha raccontato la sua vita e quanto più di ogni altro Antonio Conte sia stato importante per la sua carriera.

LA FABBRICA – «Era il 2000, me lo ricordo bene perché c’era l’Europeo. All’epoca avevo 15 anni: scuola appena finita, giocavo negli Allievi del Bibbiena. Fui io a chiedere al mio “babbo”, operaio, di lavorare. Volevo capire come fosse la fabbrica. Risultato: non lo auguro a nessuno, massacrante. Quell’estate capii cos’è un lavoro vero. Allora mi dedicai allo studio e al calcio. Mi sono diplomato come perito meccanico, un buon titolo».


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LA GIORNATA TIPO «Sveglia alle 5.30 del mattino, ritorno a casa alle 14. Il pomeriggio dormivo ma poi la sera faticavo ad uscire di casa. Nello specifico, costruivo prefabbricati nelle piste di cemento, il peggior ruolo possibile. Preparavo le travi su piste lunghe 120 metri, toglievo il cemento e le armavo con i cavi. Poi una nuova gettata di cemento fresco e via così ogni giorno».

LE CARATTERISTICHE DA CALCIATORE – «Devo ringraziare la mia testa e la mia volontà. Fisicamente non ero calciatore, sul piano tecnico ero bravo ma soprattutto sopperivo al fisico con voglia, testa, corsa. Conte però mi ripeteva sempre che ero forte, se no alla Juve non sarei mai arrivato».

IL RICORDO PIÙ BELLO – «Juve-Parma, inaugurazione dello Stadium, il mio esordio in bianconero. Antonio mi voleva a tutti i costi nonostante la società non fosse molto propensa. Vincemmo 4-0 ma io non feci una buona partita: Conte mi notò a testa bassa nello spogliatoio, tornai a casa e trovai un suo messaggio: “Oggi era difficile, ma so che puoi darmi molto di più”. Mi tranquillizzò».

L’EUROPEO 2016 – «Indelebile, quella Nazionale (Euro2016, ndr) resta nel cuore di tutti. C’era scetticismo, invece abbiamo vinto contro squadre più forti grazie al sacrificio e al ct, che ha costruito un’armata. Mi ha dato tantissimo, Antonio. Le lacrime di Barzagli sono state quelle di tutti gli italiani».

GIOCARE SENZA MILZA – «Categoria Allievi, partita di vertice a Sesto Fiorentino. Passano 5’, involontariamente il portiere avversario si scontra con me e col gomito mi colpisce una costola che piegandosi mi fa esplodere la milza. Ma devo aspettare che finisca la partita, così tutto diventa più grave. Mi portano in ospedale, faccio una lastra e svengo. I medici notano del sangue nelle urine e capiscono l’emorragia interna, mi operano d’urgenza. Ho davvero rischiato la vita. Oggi devo ancora fare tre vaccini l’anno».

IL PRIMO GOL A EURO 2016 «Cercai subito i miei genitori in tribuna, abbracciando tutta la squadra. Però è nei 30 secondi di tragitto dal centrocampo al dischetto contro la Germania ai quarti che ho visto la mia vita passarmi davanti: tutti i pianti lontano da casa, le fatiche, le docce fredde e i completini mancanti in Serie C, il mio paese, una nazione intera che ti guarda. Davanti alle 70.000 persone dello stadio, io ero solo. Vedevo soltanto Neuer che piano piano diventava sempre più grosso. Purtroppo, arrivammo a calciare ad oltranza: noi segnavamo sempre, i tedeschi battevano dopo di noi, con la pressione dell’eliminazione in caso di errore, ma anche loro facevano sempre gol. Poi l’errore di Darmian. E non so cosa sia passato per la testa di Pellé: tutti sbagliano, ma quel gesto a Neuer…».

LA FORD «Una macchina che sarà sempre con me. Diventai maggiorenne, papà mi lasciò una vecchia Fiesta e la usai altri 5 anni tra Bellaria, Pavia, Forlì, Cesena. Una macchina umile, come me: ‘una Giaccherini’. Mi accompagnò nel percorso più difficile».

IL NAPOLI DI SARRI «Non mi è stato permesso di restituire alla città quanto avrei voluto. Tutto si conclude senza rancore, ma il dispiacere resta. Venivo dal punto più alto della mia carriera, scelsi Napoli per tornare in una big ma Maurizio era un integralista: giocavano solo i suoi e subentravano sempre gli stessi 2-3. Oggi è migliorato, però a me vedeva come vice Callejon e io con lui c’entravo poco, così chiesi di andare via».

LA MOGLIE «Mi trovavo ad un Cesena club, lei era al bar della parrocchia. La vidi per caso e mi balzò subito all’occhio. Chiesi informazioni, mi feci vivo io e dopo tanto corteggiamento… Mi ha fatto sudare, ma col tempo ha capito che non avremmo mai rappresentato l’idea banale del calciatore-velina».IL RITORNO A TALLA – «Quelle sono le mie origini e rimarrà sempre casa. Vivo a Firenze, ma a Talla trascorro le estati e appena posso vado a tagliare l’erba: torno operaio, tra gli amici che hanno sognato con me. Sono uno di loro».

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