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·13 November 2024
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·13 November 2024
Al novantaduesimo, la Fiorentina conduce sul Verona per due reti a uno. De Gea blocca facilmente il colpo di testa fiacco di Magnani. Potrebbe accasciarsi, perdere tempo, farla finire lì. Invece alza la testa, prende la mira, carica e lancia.
In pochi istanti, De Gea ha scansionato la distribuzione di uomini sul terreno di gioco, ha intravisto un’opportunità e l’ha colta mettendoci la precisione tecnica necessaria per concedere a Kean l’occasione di involarsi a rete. È vero: quel gol bisogna poi inventarselo. Ma senza un lancio di quasi 80 metri non si sarebbe nemmeno materializzata l’idea. Il gesto del portiere viola è quanto di più vicino si possa immaginare al concetto di assist.
Non solo perché ne ricalca la definizione canonica («il passaggio smarcante con cui un giocatore mette un suo compagno di squadra in condizione di realizzare il gol»), ma perché porta con sé i requisiti sottesi che rendono l’assist tale. Anzitutto, l’intenzionalità. La scelta di De Gea è un rischio commisurato sulla fiducia nelle proprie capacità e in quelle del compagno, messo nelle condizioni di affrontare Belahyane – ultimo baluardo difensivo – uno contro uno in campo aperto.
L’assist, in generale, nasce da una valutazione istantanea del posizionamento e dei tempi di reazione degli avversari. È un’intuizione cerebrale che crea un distacco a livello psicologico e si manifesta sul piano tecnico dell’efficacia. Perché poi, sì, spesso un assist è anche bello da vedere, ma il fattore puramente estetico rimane subordinato all’utilità – che dipende, ovviamente, anche da quello che gli altri 21 giocatori in campo pensano che possa accadere.
L’assist è la giocata più lucida, perché surclassa le aspettative dei difendenti e richiede una connessione dinamica con l’attaccante. E allora la sponda, il passaggio prima di un tiro da 30 metri, il tocco di Pecci sulla punizione di Maradona? Ma sì, storicamente parlando, dal punto di vista squisitamente pratico, sono assist. E, anzi, confermano a maggior ragione che, quando il gesto s’arricchisce di complessità tecnica e mentale, merita un riconoscimento appropriato.