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·22 Februari 2025

Mercato, ricavi e non solo: le conseguenze del flop di Milan e Juventus in Champions

Gambar artikel:Mercato, ricavi e non solo: le conseguenze del flop di Milan e Juventus in Champions

La debacle del calcio italiano nei playoff di Champions League non ha scusanti a livello tecnico: nonostante le avversarie di Atalanta, Juventus e Milan fossero squadre al di fuori dei cinque maggiori campionati europei (Inghilterra, Spagna, Italia, Germania e Francia), due dei club più blasonati della Serie A e con i maggiori budget di spesa e la vincente dell’Europa League dello scorso anno (nonché squadra ancora in lizza per lo scudetto) non sono stati capaci di eliminare nell’arco di 180 minuti due squadre della Eredivisie olandese (Feyenoord e PSV Eindhoven) e un club della ancora più mediocre lega belga, il Brugge.

Con l’aggravante per i rossoneri di non avere centrato l’obiettivo nonostante incontrassero una squadra che, quarta in classifica nei Paesi Bassi, non aveva praticamente l’allenatore (il coach Brian Priske era stato esonerato alla vigilia del match di andata) e alla quale proprio la società di via Aldo Rossi aveva sottratto il giocatore più forte (Santiago Gimenez) proprio prima del doppio confronto di Champions League.


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La conseguenza più immediata è che l’Italia d’ora in poi potrà contare solo su quattro squadre nelle competizioni europee, Inter, Fiorentina, Lazio e Roma, e quasi sicuramente non potrà conservare per la prossima stagione il posto extra (il quinto) in Champions League. L’Inghilterra pare ormai inarrivabile nel ranking UEFA e la Spagna, con ancora sei club nelle coppe, sembra ormai aver tracciato un solco non più colmabile dalle nostre società.

La ricaduta nel medio termine invece sarà più complessa, soprattutto per Juventus e Milan. Vista la classifica del campionato, bianconeri e rossoneri, dato che non sono riusciti ad aiutare loro stessi sul tema posto extra in Champions League, rischiano notevolmente di non prendere parte alla massima competizione europea il prossimo anno, con evidenti danni economici per i propri bilanci. L’uscita dell’Atalanta è anch’essa difficile da digerire a livello tecnico: non basta l’errore arbitrale dell’andata per giustificare una eliminazione da una squadra mediocre e soprattutto il primo tempo horror di Bergamo.

Nello stesso tempo va notato però come il flop dei bergamaschi potrebbe avere conseguenze importanti sul prosieguo della stagione italiana: nella lotta per lo scudetto il Napoli e l’Atalanta non hanno più impegni in altre competizioni (i partenopei di Antonio Conte non si erano qualificati per l’Europa ed entrambe sono fuori anche dalla Coppa Italia) invece l’Inter, che martedì deve disputare il quarto di finale con la Lazio in Coppa Italia, avrà quantomeno da giocare anche gli ottavi di Champions League. Inoltre l’urna di Nyon è stata abbastanza benevola con i nerazzurri, visto che ha ammassato dall’altra parte del tabellone gli spauracchi Real Madrid e Liverpool oltre all’Atletico Madrid, PSG e Arsenal (ma per quanto concerne i londinesi questo era sicuro), mentre nella parte dei nerazzurri il vero pericolo è il Barcellona (eventualmente in semifinale) e uno tra Bayer Leverkusen e Bayern Monaco (quest’anno non irresistibile) nei quarti.

In questo quadro è legittimo che l’Inter possa ambire di andare molto avanti in Europa e quindi sarà interessante vedere le scelte di Simone Inzaghi, tecnico che ha sempre tenuto molto alla coppa nazionale in occasione di Inter-Lazio di Coppa Italia, che si disputa a soli cinque giorni dal big match di campionato contro il Napoli al Maradona. Non solo, ma se i nerazzurri dovessero passare il turno di Coppa Italia contro la Lazio, affronterebbero nelle semifinali di aprile il Milan con match di andata e ritorno. Una sfida dall’indubbio peso emotivo, in particolare per una squadra come l’Inter che in questa stagione ha già palesato problemi di stanchezza mentale.

E quindi se i nerazzurri saranno ancora in lizza Champions League anche ad aprile, Inzaghi potrebbe trovarsi a lottare su tre fronti, mentre Napoli e Atalanta sarebbero concentrate sul solo campionato. Insomma la scelta legata alla sottile differenza tra la sana volontà di competere in tutti i tornei (Coppa Italia inclusa) e un peccato di hybris (un peccato che gli dei non perdonavano) potrebbe presto palesarsi nella stagione interista.

Milan tra conti in equilibrio e competitività sportiva

Entrando invece nello specifico delle conseguenze economiche degli euroflop di Juventus e Milan, va notato come i rossoneri abbiano incassato dal proprio cammino europeo circa 60 milioni. Un introito, che grazie al formato più redditizio della nuova Champions League, è superiore a quanto ottenuto lo scorso anno (54 milioni) quando la squadra di Pioli, dopo essere arrivata terza nei gironi, uscì per mano della Roma ai quarti di Europa League.

Sotto questo punto di vista quindi non ci dovrebbero essere grossi impatti negativi sul bilancio in corsa. Anzi in stretti termini matematici ci potrebbe essere un miglioramento. Inoltre tenendo presente che l’impatto a bilancio delle due sessioni di mercato è stato negativo di circa 14 milioni, non è detto che il Milan non possa chiudere il bilancio vicino all’equilibrio (o con un rosso contenuto) anche quest’anno dopo gli utili dei due esercizi precedenti. Anche se sui conti dell’esercizio chiuso al 30 giugno 2024 ha avuto un impatto rilevante la plusvalenza da 48 milioni legata alla cessione di Sandro Tonali al Newcastle: nella stagione 2024/25, tuttavia, il club rossonero ha registrato solo 6 milioni di plusvalenze e questo quindi potrebbe pesare sull’ultima riga del bilancio.

È evidente che si tratta di un risultato eccellente soprattutto nel calcio italiano, da sempre alle prese con problemi economici e burocratici e la salute economica della società Milan (intesa come il singolo club di calcio) è accentuata anche dalla scarsa situazione debitoria. L’indebitamento, molto cospicuo, infatti non tocca il Milan in quanto tale ma sta sopra, nella catena di controllo dei rossoneri, e fa capo direttamente alla ACM Bidco di Gerry Cardinale, la scatola di diritto olandese tramite la quale il businessman newyorchese controlla il club. A pesare in particolare è il vendor loan da 560 milioni stipulato con il fondo Elliott nell’agosto 2022 e del quale a dicembre è stata allungata la scadenza sino al 2028 con quota capitale da restituire pari a 489 milioni.

Questo detto, se la salute economica di un club è una condizione necessaria per la continuità aziendale, nello stesso tempo è vero che per un club blasonato come il Milan il primo obiettivo deve essere sempre quello sportivo.

E in questa veste una società come quello rossonera non può permettersi di essere:

  • fuori dalla lotta scudetto a novembre;
  • fuori dalle coppe europee a febbraio;
  • e nello stesso tempo trovarsi in una posizione in campionato che rende la qualificazione alla prossima Champions League tutt’altro che sicura.

La semifinale di Coppa Italia e la vittoria nella Supercoppa italiana, con il necessario rispetto per questi due trofei, sono dei palliativi e non a caso a Milano non si è mai visto un tifoso scendere in piazza per avere vinto queste due competizioni. Il punto importante però è un altro: ovvero che la mancata competitività sportiva non è solo una mera questione di blasone, ma anche se non soprattutto un tema di sostanza, anche economica.

Nello specifico, se il Milan non dovesse qualificarsi alla prossima Champions League il bilancio della stagione 2025/26 partirebbe molto ad handicap, anche ipotizzando una partecipazione alla prossima Europa League. Per averne una idea si pensi che sinora il Milan, dopo aver disputato i playoff, ha incassato circa 60 milioni dalla massima competizione europea come premi dalla UEFA. Nel contempo la Roma, che ha giocato lo stesso numero di match dei rossoneri nelle coppe, ma disputando l’Europa League che è notevolmente meno redditizia, ha avuto introiti per solo circa 20 milioni. Un gap di circa 40 milioni che non è poco per un club come quello rossonero che nel 2023/24 ha avuto entrate complessiva per oltre 450 milioni.

È evidente quindi che gli uomini mercato del Milan, dovesse la squadra mancare il quarto posto, sarebbero chiamati nella prossima sessione di mercato a portare a termine un capolavoro per contemperare due esigenze che paiono contrastanti: la necessità di tenere i conti in ordine e la rifondazione tecnica della squadra, tenendo presente per altro che se si volessero confermare alcuni giocatori presi a gennaio bisognerà spendere. Per esempio per Joao Felix, acquistato in prestito senza diritto né obbligo di riscatto, il club rossonero dovrà andare a trattare con il Chelsea, che per evitare minusvalenza dovrebbe vendere il giocatore a circa 45 milioni di euro. Più contenuto, invece, ma comunque significativo soprattutto vista l’età del giocatore il costo del riscatto di Kyle Walker, fissato nell’accordo con il Manchester City a circa 5 milioni.

Questo, sia chiaro, a meno che Cardinale non decida che si possa anche utilizzare la stagione senza Champions League per varare un anno di rifondazione tecnica della squadra, lasciando perdere per un anno i conti. È quanto ha fatto Aurelio De Laurentiis nello scorso mercato al Napoli quando, dopo anni di bilanci in attivo, ha messo mano al portafoglio e seguendo le direttive di Antonio Conte non ha badato a spese e ha allestito una squadra competitiva da subito. Il risultato è stato che già a gennaio il Napoli aveva la ragionevole certezza di tornare in Champions League la prossima stagione e la speranza di iniziare un nuovo ciclo virtuoso anche nei conti.

Però anche qui si torna al punto di prima: per potere varare una rifondazione tecnica, bisognerà dimostrare la necessaria competenza. E in questo quadro, prima di poter valutare approfonditamente gli acquisti di gennaio, non si può nascondere il fatto che la scorsa estate la dirigenza rossonera abbia completamente sbagliato il mercato. Prova ne sia che a gennaio erano nella lista dei partenti tre dei nuovi acquisti dell’estate quali Emerson Royal (rimasto solo perché infortunato), Pavlovic e Morata (ceduto al Galatasaray), oltre a Theo Hernandez, per il quale il Milan aveva dato al Como l’ok per la cessione.

Quel che è certo è che osservando la questione nel lungo termine (e al netto di un possibile ingresso di nuovi soci che non si può mai escludere a priori), Cardinale sembra avere un’unica via maestra per uscire dall’investimento Milan con la lauta plusvalenza che si augura: ovvero quella del nuovo stadio che nei piani del manager newyorchese (e anche di quelli interisti) dovrebbe essere il volano per incrementare in maniera significativa le entrate del club. È evidente in generale che un’azienda con uno stabilimento nuovo di zecca (nel caso specifico lo stadio) ha un valore notevolmente superiore di una società che opera con un impianto di produzione vetusto.

Entrando invece nel particolare va notato come su questo tema Cardinale sembri avere un vantaggio e uno svantaggio. Il primo è che sull’altra sponda del Naviglio si è insediata una proprietà più solida rispetto alla precedente con la quale suddividere l’impegno economico: Oaktree offre garanzie non immaginabili quando sulla sponda nerazzurra c’era la famiglia Zhang e d’altronde perché mai un’azienda avrebbe dovuto condividere un progetto di investimento da oltre 1 miliardo con una impresa che non riteneva solida? Di qui l’idea di San Donato e poi il dietrofront sul nuovo San Siro.

Inoltre anche al Comune di Milano, per quanto la macchina appaia sempre lentissima, le cose sembrerebbero sveltirsi un po’ di più (e qui il condizionale non è doveroso ma è d’obbligo). Lo svantaggio è che siamo sempre in Italia e dopo tutti questi anni di problemi burocratici, comitati dei cittadini, consigli comunali e via di questo passo, essere dubbiosi sulla costruzione del nuovo stadio a Milano è più un esercizio di realismo che non di pessimismo.

Juventus, il nuovo sponsor e il tema aumento di capitale

A un centinaio di chilometri più a ovest, in casa Juventus, la situazione è simile e diversa nello stesso tempo.

È simile perché anche i bianconeri sono stati eliminati in malo modo e precocemente dalla Champions League contro una squadra tecnicamente inferiore. Inoltre, come il Milan, anch’essi sono usciti presto, se non prestissimo dalla lotta scudetto, e come il Milan anche la Juventus a febbraio non ha ancora la ragionevole certezza di qualificarsi alla prossima edizione della massima competizione europea. E pertanto con le identiche paure sul bilancio della stagione ventura. Anche perché nei suoi documenti ufficiali, leggasi il business plan al 2027, la società per quest’anno aveva stabilito quale obiettivo di finale in Champions League l’ottenimento degli ottavi di finale.

Nello stesso tempo però la situazione è diversa perché a Torino le questioni legate alla proprietà, ai suoi debiti e alla eventuale strategia di uscita di questa non esistono. Questo perché la Juventus gode, praticamente da sempre, di un vantaggio enorme nei confronti degli altri club: quello di avere quale socio di riferimento dal 1923 la famiglia Agnelli, la proprietà più longeva del calcio mondiale e che nel corso di questi decenni non ha mai fatto mancare il proprio sostegno economico al club bianconero. E questo dà all’ambiente una serenità sulla continuità aziendale che nessun altro club ha. Prova ne sia che, per restare agli ultimi anni, dal 2019 in poi Exor, la holding della dinastia piemontese, ha iniettato qualcosa come 574 milioni nella casse bianconere, per complessivi 646 milioni versati dal 2011 ad oggi nelle casse del club.

Questo non significa che alla Continassa i bilanci non siano importanti. Anzi, al contrario: le direttive imposte da John Elkann al management juventino guidato dal presidente Gianluca Ferrero e dall’amministratore delegato Maurizio Scanavino vanno nella direzione opposta: la Juventus deve quanto prima stare in piedi con le sue gambe da un punto di vista economico. Però tutto si può fare sapendo di avere alle spalle un azionista tra i migliori al mondo per quanto concerne la solidità economica.

Nello specifico il processo risanamento nei conti, deciso dopo la perdita monstre della stagione scorsa (200 milioni) legata anche alla mancata partecipazione alle coppe europee, ha visto un suo primo passo concreto nello scorso mercato estivo quando l’impatto delle negoziazioni sul bilancio in corso ha portato un impatto positivo per oltre 70 milioni. Inoltre sul bilancio in corso vi sarà un contributo notevole rispetto a quello dello scorso anno, anche se non della entità sperata come si accennava prima, proveniente dalla Champions League visto che nella stagione passata i bianconeri non hanno partecipato alle coppe. In particolare secondo i calcoli di questa testata il club ha incamerato 63 milioni dalla massima competizione europea come premi dalla UEFA e questo avrà un impatto netto sui ricavi visto che lo scorso hanno la Juventus aveva zero a questa voce.

Questo detto anche quest’anno la Juventus chiuderà il bilancio in perdita anche se sarà un passivo notevolmente inferiore a quello del 2023/24 (200 milioni). Questo detto, come più volte si è avvertito in queste pagine sin da inizio stagione esiste il pericolo di una necessità di un aumento di capitale (non enorme ma obbligato) qualora la stagione in corso presentasse una perdita di oltre 40 milioni. Il patrimonio netto della Juventus al 30 giugno scorso era pari a 40 milioni e se la stagione in corso dovesse chiudersi con un perdita superiore appunto a 40 milioni, questa voce andrà in negativo. E pertanto la Juventus potrebbe trovarsi dinnanzi alla necessità di una nuova iniezione di capitale,

In questo quadro le entrate di Kolo Muani, Alberto Costa e Renato Veiga a gennaio non hanno appesantito molto il bilancio visto che sono per lo più prestiti e al limite peseranno sul prossimo. Però come si accennava la Juventus aveva messo in preventivo nel business plan al 2027 di giungere in questa stagione almeno agli ottavi di Champions League e l’eliminazione ai playoff peserà sicuramente nel rendiconto, con un impatto negativo di circa 15 milioni considerando gli 11 milioni di mancati premi UEFA e una stima di circa 4 milioni di euro di incasso dal botteghino per la gara aggiuntiva in casa agli ottavi.

Una grossa mano in questo senso, come si accennava, potrebbe arrivare dal nuovo sponsor di maglia. Secondo quanto Calcio e Finanza ha potuto verificare, i lavori stanno andando avanti sottotraccia ma alacremente e il management bianconero è fiducioso di annunciare il nuovo sponsor di maglia prima del Mondiale per Club che inizia il prossimo 14 giugno. Pertanto una parte dell’incasso potrebbe essere già computabile per questo bilancio, poi dipenderà dalle tecnicalità del contratto se si potrà incassare molto subito o no. Secondo quanto emerge però lo sponsor non dovrebbe essere Theter, la società di criptovalute, che è divenuta il secondo socio del club alle spalle di Exor (che ha il 65% delle azioni e il 78% dei diritti di voto) dopo avere comprato sul mercato una quota del 5% del capitale spendendo circa 70 milioni in negoziazioni.

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