Calcionews24
·30 Juli 2025
Morte Celeste Pin, Malusci: «Che dolore! Mi rimprovero di non aver capito la sua fatica di vivere. L’ho visto arrabbiato solo una volta, disse una frase sulla Juve…»

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·30 Juli 2025
Un dolore che non si placa, un vento della memoria che soffia costante, riportando alla mente il sorriso e la gentilezza di un amico e di un capitano. A pochi giorni dalla tragica e misteriosa scomparsa di Celeste Pin, a parlare è Alberto Malusci, ex compagno di squadra e amico fraterno dell’ex difensore della Fiorentina. Mentre la Procura di Firenze indaga per omicidio colposo e l’ipotesi del suicidio viene messa in discussione dalla famiglia, Malusci, in una toccante e intima intervista a La Gazzetta dello Sport, ripercorre il suo rapporto con Pin, un viaggio tra i ricordi del campo e il rimpianto straziante per non aver colto i segnali di un malessere nascosto dietro l’apparenza.
LA RICERCA DI UNA SPIEGAZIONE – «Soffro anche solo a figurarmelo, un gesto così. La verità è che nessuno di noi può dire con assoluta certezza di conoscere un amico fino in fondo, nessuno può capire le ombre con cui gli altri convivono. Da quando Celeste se ne è andato ho provato a ricostruire ogni momento vissuto con lui, ma non sono riuscito a cogliere nulla, non un segnale, niente. È questa la cosa che mi rimprovero: non aver colto la fatica di vivere che Celeste portava dentro».
IL DOLORE E IL RIMPIANTO – «Celeste mi voleva bene, è stato il mio capitano alla Fiorentina, mi ha insegnato tanto. Ci eravamo visti a giugno in un camp per bambini della scuola calcio, qua a Firenze, avevamo riso e scherzato per tutta la settimana. Abbiamo parlato di un progetto da fare insieme… è difficile darsi una ragione di quello che è successo, mai e poi mai avrei immaginato…».
LA DEPRESSIONE E I FARMACI – «No, non lo sapevo. L’ho letto e mi sono stupito. Se è vero che il comportamento di una persona è lo specchio della sua anima, allora io ricordo solo un Celeste gioviale, allegro, di buon umore».
I DUBBI DELLA FAMIGLIA – «Non so a cosa pensare, davvero. È tutto così triste… L’ex moglie ha tutte le ragioni per cercare una qualche verità».
IL LORO PRIMO INCONTRO – «A fine Anni 80, quando sono stato aggregato alla prima squadra della Fiorentina. Avevo diciassette anni, a ottobre del 1989 ho debuttato in Serie A. Vivevo un sogno. Celeste era un veterano, mi ha preso subito sotto la sua ala. Io libero, lui stopper. Lo guardavo, cercavo di imparare. Aveva un senso dell’anticipo fenomenale, leggeva prima le intenzioni del centravanti avversario. E poi di testa svettava su tutti».
L’UNICA VOLTA CHE LO VIDE ARRABBIATO – «Una sola volta, all’intervallo della finale di andata della Coppa Uefa, a Torino, contro la Juventus. Era furioso, incazzato come mai era successo. Ce l’aveva con l’arbitro, con Casiraghi con cui aveva duellato in campo, si lamentava che l’arbitro non ci tutelava. Sì, quella fu la partita in cui davanti ai cronisti se ne uscì dicendo: “La Juve è una squadra di ladri”. Non era da lui, ecco. Celeste è sempre stato posato, esemplare nel comportamento, mai fuori dalle righe».IL LEADER GENTILE – «Un gentleman, con la sua cantilena veneta, ogni tanto se ne usciva con un’espressione in dialetto che ci faceva ridere. Era serio, posato, autorevole quando parlava. Era stato Lazaroni a promuoverlo capitano».