Inter News 24
·24 settembre 2025
Acerbi a Sky: «Il buco alla scarpa l’ho fatto io, vi spiego il motivo. Col Barcellona una serata indimenticabile, in finale col PSG…»

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·24 settembre 2025
Intervenuto in collegamento con Sky Sport, il difensore dell’Inter, Francesco Acerbi ha concesso una lunga intervista per presentare la sua autobiografia intitolata “Io, guerriero“.
LA RINASCITA DOPO LA MALATTIA – «Dopo la malattia per me c’è stata un po’ una rinascita calcistica. Ho avuto un periodo non facile, da lì è iniziato un percorso personale e ho cercato, cerco e lo farò fin quando giocherò, di tirar fuori più soddisfazioni possibili. Col Barcellona è stata la serata più bella, nonostante come sia andata poi. Dopo la malattia è venuto tutto da sé: sono quelle cose che arrivano da sole, le accetti perché sono positive e la strada si fa in discesa».
VITA SANA? – «Vado a letto presto, non bevo un goccio di vino e non stacco la spina, ma l’importante è sapere nella tua testa quello che vuoi. Naturalmente il resto fa bene, quello che senti dentro e la motivazione di ogni giorno, senza cercare alibi, fa la differenza. Gli alibi ti portano in un vortice che non va bene. Bisogna sempre cercare di migliorarsi».
COME NASCE L’AZIONE DEL MIO GOL IN INTER BARCELLONA? – «Non ricordo neanche di aver detto qualcosa a Darmian, ma sarà successo. Non ero neanche incavolato dopo il 2-3 di Raphinha, loro erano fortissimi e noi nel secondo tempo non avevamo neanche calciato in porta. Mi sono detto ‘vado, tanto 2-3 o 2-4 non cambia niente’. Volevo essere lì se fosse arrivata la palla e sono riuscito a far gol. E’ stata un’emozione bella, avevamo voglia di andare in finale. E’ stata una serata indimenticabile».
LA SCARPA COL BUCO INDOSSATA IN CHAMPIONS LEAGUE – «Ho fatto il buco perché avevo l’unghia nera per pestoni e correvo male. Se corri male, rischi di farti male. Allora ho pensato di fare il buco e per quello ho deciso di portarlo avanti. L’ho fatto a novembre, per la partita col Verona, da lì l’ho portata avanti. Importante fosse comoda la scarpa, non bella. Tanti fanno il buco sul tallone perché magari hanno vesciche, io l’ho fatto davanti».
I RICORDI IN PROVINCIA – «Sono della generazione vecchio stampo, sono di quelli che giocavano a tutte le ore. Quando vado a cena con mia moglie e vedo nei paesini i ragazzi allenarsi a ora di cena per me è un’emozione, ricordo il passato. Sono nato in quella generazione che giocava sempre, a qualsiasi ora e in qualsiasi condizione climatica».
COSA VOGLIO CHE PASSI DI ME? – «Il lavoro paga sempre, anche se non sempre si vince. Mi piace la fatica, altrimenti non mi sento realizzato. Sono gli obiettivi che ti dai e la sofferenza e il tempo che impieghi per raggiungerli. Devi sempre cercare, anche nei momenti di delusione, la strada di dare il massimo. E’ quella la cosa che mi appartiene: dare tutto, sempre. Quando smetterò, non vorrò avere alcun rimpianto. Me lo sono detto e ridetto dopo la malattia».
CON QUALE ALLENATORE MI SONO TROVATO MEGLIO? – «Ho avuto Allegri sei mesi al Milan, mi ha fatto anche giocare. Mentalmente non ero proprio dentro lì, l’ho sempre detto, ma lui mi ha dato un’opportunità. Di Francesco, ma anche Iachini mi hanno dato spazio. Poi ovviamente Inzaghi, con cui ho fatto sette anni: ci siamo tolti grandi soddisfazioni. Mi hanno insegnato tanto, a livello umano ho avuto un buon rapporto praticamente con tutti».
COSA È ACCADUTO IN FINALE COL PSG? – «Noi dopo la partita ci siam guardati e non eravamo neanche incavolati. La partita era finita subito, non era nemmeno iniziata. Avevamo avuto il campionato in ballo fino alla partita di Como, per cui abbiamo sprecato tante energie mentali. Ci siamo poi caricati tanto sulle spalle il peso della partita, avendo battuto Bayern e Barcellona. Ti dici ‘qua la vinci’, tante persone ci davano per favoriti. Avevamo questa pressione, oltra alla stanchezza: siamo arrivati già scarichi. Contro un PSG preparato, forte e che ha fatto la partita perfetta, non c’è niente da fare. Abbiamo perso giustamente, non eravamo al 100%».
IL MIO NO ALLA NAZIONALE CON SPALLETTI? – «Ho solo detto quello che è successo, senza far polemica. Non essendo andato all’Europeo per operarmi, e ho fatto bene, non ho ricevuto neanche una telefonata. Io non mi aspetto nulla da nessuno. Spalletti è l’allenatore, viene pagato per decidere chi chiamare e far giocare: se non sono in lista, amen. Fece dichiarazioni non bellissime che in pubblico secondo me un allenatore non deve mai fare. Mi ha chiamato una mattina, mi ha chiesto quasi scusa di quello che era capitato, facendomi capire che avrei giocato solo con la Norvegia e basta, senza considerarmi per il mondiale. Io a 37 anni sarei andato in nazionale solo per una partita, mi sono sentito usato. Non so chi avrebbe accettato al mio posto di giocare solo una partita. Non sono Messi, non sono Pelé, non sono nessuno. Ci andiamo al mondiale? Io lo spero. Stare fuori per la terza volta sarebbe una cosa fuori dal normale. Gattuso mette grinta, passione e tutto. Avremo secondo me una grandissima possibilità di farcela».
UN MIO RITORNO IN NAZIONALE? – «Io vivo per il calcio e ho sempre detto che finché giocherò risponderò di sì alla nazionale. Ora decide Gattuso, non è un problema. Se decide di chiamarmi, io sono pronto».
COME SI RIPARTE CON CHIVU? – «Basta con lo shock della finale, siamo grandi e vaccinati. Abbiamo avuto 3-4 mesi per pensarci, ma bisogna resettare e andare avanti. Chivu si vede che ha giocato in gruppi forti, ha vinto ed è preparato. Gli allenamenti sono diversi da quelli di Inzaghi, belli intensi. E’ una brava persona, ha ottime idee. Mi ha molto stupito in positivo. Sa cosa vuol dire vincere, cosa vuol dire perdere per un giocatore e cosa pensiamo. Sa cosa vuol dire stare in un contesto importante, è una persona molto intelligente».
IL SOPRANNOME LEONE – «E’ stato Fogacci, che giocava con me a Pavia. Il leone comunque è un animale che mi piace. Ho lottato, sono uno che non molla mai».
SUI TATUAGGI DI MADAGASCAR – «Un po’ a caso, non sapevo cosa fare».
HAALAND MI CHIESE LA MAGLIA? – «Sì, gliene chiesi due e mi mandò a cagare. A me piace confrontarmi con gente forte, ci metto l’impegno e spero di metterli in difficoltà ogni volta per aiutare la squadra».
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