DirettaCalcioMercato
·12 settembre 2025
Addio alla Juventus, Cuadrado svela: “Mandato via senza parlarmi, ci sono rimasto male!”

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·12 settembre 2025
Juan Cuadrado, in una lunga intervista alla Gazzetta dello Sport, è tornato a parlare del suo addio alla Juventus, senza nascondere amarezza per le modalità in cui è avvenuta la separazione.
Otto anni, 314 partite, 26 gol, un dominio senza precedenti entro i confini nazionali e l’orgoglio di aver provato a spodestare le grandi d’Europa. Juan Cuadrado e la Juventus sono stati complici, per tanto tempo, nella gioia e nel dolore. Poi, però, qualcosa si è rotto. Nessuno, in quell’estate del 2023, si aspettava una frattura così poco rumorosa. Il silenzio dei bianconeri ha spinto il colombiano a guardarsi altrove. Spingendolo a ripartire, infine, dai grandi rivali dell’Inter: voglia di sfide o cenno di rivalsa, impossibile saperlo. Fatto sta che la separazione da Madama resta un ricordo amaro, così ricostruito dallo stesso giocatore ai taccuini della Gazzetta dello Sport.
In primo piano, ovviamente, il prossimo derby d’Italia, che Cuadrado ha vissuto con entrambe le casacche: “La Juve è la Juve, si è rinforzata con giocatori forti, ma l’Inter è la più forte. Anche se l’anno scorso non ha vinto nulla”.
Un pronostico? “Le direi: che vinca la migliore!”.
Lei è sempre stato l’anti-Inter, in campo: “Ai nerazzurri ho segnato sei gol. Non c’è altra squadra a cui ho fatto più male, è vero. In più, è sempre successo qualcosa: Perisic, Handanovic… ma voglio ricordare il gol di controbalzo realizzato all’Allianz nel 2017 da fuori area”.
Dal campo alla reputazione personale: l’etichetta di cascatore grava ancora sul suo conto? “Beh, sì. Magari in alcuni episodi ho accentuato di più, ma se cado è perché sono stato toccato. Il mio gioco è così”.
Pisa come settima tappa tricolore, così commentata: “Ho detto sì in due giorni. C’era la possibilità di andare in Spagna, la Liga è sempre stata un pallino, ma ho scelto di restare qui anche per la mia famiglia. Mia madre non s’è mai andata da Torino”.
Il miglior Cuadrado si è visto lì? “Sì, ma anche alla Fiorentina. Quegli anni volavo davvero”.
Cos’ha rappresentato, invece, la Juve? “Sono diventato un tifoso bianconero. Mia madre vive ancora lì, i miei figli sono nati a Torino. Lucas ha sei anni, Lucia nove. Ho vissuto otto stagioni magici, ho vinto cinque scudetti e diverse coppe. Rispetto al Cuadrado di Firenze ero più completo e soprattutto più maturo. L’unico rimpianto resta la finale di Champions persa a Cardiff”.
Perché la trattativa col Chelsea fu così complessa: “Conte non si era lasciato benissimo con la Juve, quindi ci furono alcuni problemi, non voleva lasciarmi andare. Mi cercarono anche altre squadre, soprattutto all’estero, ma quando seppi della Juve dissi al mio agente che avrei voluto vestire solo bianconero”.
Dopo un breve riferimento a Conte, Cuadrado parla dell’addio alla Juventus:
Di Conte cosa ricorda? “Allenamenti tosti. In tre parole: duri, duri, duri. Come Gasperini a Bergamo del resto. Poi, in campo, corri più degli altri”.
Il ricordo più bello alla Juve? “Gli scudetti vinti”.
E il più brutto, oltre a Cardiff? “Le modalità d’addio. L’infortunio di De Sciglio aveva aumentato le mie chance, Allegri voleva tenermi. Da parte mia non c’erano dubbi: sarei rimasto. Poi la dirigenza è cambiata, l’allenatore è andato via e io sono rimasto in attesa. Mentre aspettavo una chiamata, lessi sui social che l’avventura con la Juve era finita. Avrei preferito una parola o un messaggio privato. Ci sono rimasto male, è stato molto triste. Ma il calcio è così. I tifosi sono e saranno sempre nel mio cuore”.
All’Inter è stato sfortunato: “Sì, l’infortunio al tendine d’Achille mi ha condizionato, ma ho fatto parte di un gruppo di campioni e vinto lo scudetto della seconda stella. Scelsi l’Inter perché la famiglia voleva restare in Italia. Avevo diverse offerte dall’estero. Mi sono trovato bene con tutto il gruppo, Inzaghi ha sempre avuto fiducia. Ho cercato di fare il possibile per recuperare e dare il mio contribuito, ma ci sono riuscito solo in parte”.
E sul passaggio a Pisa? “Mi ha convinto la chiarezza del progetto. Ho detto sì in due giorni. Punto alla salvezza e al Mondiale con la Colombia. Sto lavorando duro per arrivare al 100% e Gilardino mi sta aiutando. Diventerà un grande allenatore”.
Che tipo di leader si sente? “Un leader positivo. Non amo tirare le orecchie, preferisco parlare. C’è modo e modo di dire le cose. Di strigliate ne ho prese, soprattutto in Colombia. Ricordo partitelle a tutto campo tra titolari e ‘panchinari’. Quando giocavi tra le riserve eri più sciolto e rilassato, mentre quando c’era da giocare con gli altri sbagliavi di più. La pressione dei ‘grandi’ ti può mettere ansia. Io cerco di incoraggiare i più giovani anche se sbagliano un passaggio. So cosa vuol dire”.
Il tempo passa. Sta già pensando al dopo? “Ho una fondazione in Colombia dove si gioca a calcio e non solo: musica, teatro, cose così. Quando ricevi tanto, poi puoi anche dare. Mi piacerebbe continuare questa attività”.