Agostinelli: «Con mio figlio sono morto anche io a metà. Cocaina nella stanza? Quello che si è letto è vero» | OneFootball

Agostinelli: «Con mio figlio sono morto anche io a metà. Cocaina nella stanza? Quello che si è letto è vero» | OneFootball

In partnership with

Yahoo sports
Icon: Calcionews24

Calcionews24

·11 settembre 2025

Agostinelli: «Con mio figlio sono morto anche io a metà. Cocaina nella stanza? Quello che si è letto è vero»

Immagine dell'articolo:Agostinelli: «Con mio figlio sono morto anche io a metà. Cocaina nella stanza? Quello che si è letto è vero»

Agostinelli: «Con mio figlio sono morto anche io a metà. Cocaina nella stanza? Quello che si è letto è vero». La toccante intervista all’ex giocatore

Con un ricco passato da centrocampista e ben 171 partite disputate in Serie AAndrea Agostinelli si è raccontato in una recente intervista per il Corriere della Sera. Oggi 68enne, l’ex giocatore di club come Lazio, Napoli, Pistoiese, Atalanta e Avellino ha toccato diversi temi, ma l’articolo si concentra su due argomenti di particolare rilievo: le sue parole sul figlio e il legame con la Lazio. Proprio con la maglia biancoceleste, Agostinelli ha giocato per quattro stagioni, dal 1975 al 1979, mettendo insieme 91 presenze e segnando 3 gol.

Nel 2014 suo figlio Gianmarco muore a 33 anni in una camera d’albergo a Montecatini«Quando vivi una tragedia simile, per metà muori anche tu, non ti risollevi più. È un fatto innaturale, una parte del cuore va in necrosi. Il dolore si può imparare solo a gestirlo. Il tempo non cancella niente».


OneFootball Video


Nella stanza la polizia rilevò anche della cocaina.«Tutto quello che si è letto purtroppo è vero».

Quando ha iniziato a farne uso?«Nel 2003, mentre allenavo il Napoli. E pensare che in casa mia non era mai entrato nulla, neanche una sigaretta. Quando io e mia moglie lo scoprimmo, si giustificò: “Lo fanno tutti”. Lo abbiamo mandato in comunità, attraverso le mie conoscenze si è fatto strada nel calcio. Aveva anche esordito in C2».

Si è colpevolizzato?«Anche delle cose più piccole. Più volte mi sono chiesto: “E se non lo avessi lasciato da solo quella notte?”. Pistoia è dove ho ottenuto i successi più belli, volevamo tornare a vivere lì. All’indomani avrebbe dovuto visitare un’agenzia immobiliare».

Si è mai arrabbiato con lui?«Non ha capito il valore della vita. Ma non c’è un momento della giornata in cui non lo pensi».

Come ha reagito al dolore?«Non me ne facevo una ragione. “Perché a me?», mi domandavo. A Pistoia fatico a tornare. Ho tanti amici che mi aspetterebbero a braccia aperte. Ma è ancora dura».

Lei era considerato l’erede di Re Cecconi.«Stesso ruolo ma caratteristiche diverse. Un ragazzo eccezionale, una persona buona. Quando lo ammazzarono ero in ritiro a Santa Margherita Ligure con l’U21, stavo giocando a carte. Poi la tragica notizia. Mi diceva sempre. “Guarda che nel calcio non ti aiuterà nessuno”. Lo dico sempre ai miei calciatori. Mors tua vita mea”.

La sua Lazio era una gabbia di matti.«Mai vissuto un giorno tranquillo, lineare. Durante le partitelle le risse erano continue, ho visto picchiarsi anche allenatore e magazziniere. Poi però la domenica eravamo tutti uniti. Una volta partimmo in pullman per una trasferta. Noto che tre o quattro compagni seduti in fondo iniziano a caricare le armi: “Ma dove andiamo, in guerra?”, mi chiedo. Poi cominciano a sparare in aria. Guardo fuori dal finestrino e noto un piccolo aereo che ci stava sorvolando. Era Gigi Martini, che oltre a essere calciatore era anche un pilota».

Visualizza l' imprint del creator