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Andrea Agostinelli·21 febbraio 2020

🇩🇰Alla scoperta del Nordsjælland, la squadra più giovane in Europa

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Farum è una cittadina danese poco distante dalla capitale Copenaghen che secondo la pagina di Wikipedia venne fondata oltre 1000 anni fa da alcuni mercanti provenienti da Brema, Germania.

È composta da quattro quartieri (Farum West, Farum East, Farum North e Midpoint), ha nella sua chiesa il monumento principale dato che al suo interno sono ancora presenti elementi dell’edificio originale costruito nel 1100 ed è nel pieno di un’evoluzione socio-culturale per via delle migliaia di persone provenienti dal Medio Oriente, in particolare dalla Turchia, che hanno deciso di emigrare qui.


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Non rappresenta l’archetipo della città turistica ma se siete dei genitori che sognano di offrire ai propri figli la miglior educazione possibile e allo stesso tempo vogliono aiutarli nel perseguire una carriera come calciatore professionista, allora dovete prendere seriamente in considerazione l’idea di trasferirvi in questo comune situato nelll’area metropolitana del North Zealand.

Qui ha infatti sede il Nordsjælland, club della Danish Superliga che sin dalla sua fondazione ha fatto del lavoro con il settore giovanile la sua missione tanto che nella stagione 2018/2019, secondo le rilevazioni del CIES, è stata la squadra con l’età media più giovane in tutta Europa (21.58 anni).

“6 o 7 anni fa ho cercato delle statistiche sull’utilizzo di giocatori sotto i 20 anni nei maggiori campionati europei – racconta in esclusiva a Onefootball il direttore sportivo del club, Jan Laursen – .Poi mi sono chiesto “perchè non proviamo a farlo qui in Danimarca?” Così abbiamo investito nel settore giovanile cercando di portare sempre più ragazzi in prima squadra e senza che fosse un vero obiettivo per due anni di fila abbiamo avuto la squadra più giovane tra tutti i campionati europei”.

Laursen con le sue idee ha plasmato il settore giovanile del Nordsjælland sin dal giorno della fondazione del club, avvenuta il 1 luglio 2003.

In precedenza il club era conosciuto come Farum BK ma uno scandalo che coinvolse l’allora proprietario Peter Brixtofte spinse l’AKP Holding, la società che rilevò la squadra, a cambiare il nome del club per prendere le distanze.

Nacque così il Football Club Nordsjælland, una società di calcio che rappresentasse tutta l’area metropolitana del North Zealand. Non potendo competere a livello economico con altre potenze del calcio danese ed europeo, per il neonato Nordsjælland concepire il calcio in maniera differente è stata sin da subito un’esigenza.

“Abbiamo cercato di ascoltare le nostre esigenze – sottolinea Laursen-. Dovevamo trovare la nostra identità e un modello economico che fosse sostenibile a lungo termine. Ci si è sempre piaciuta l’idea di giocare con ragazzi giovani e talentuosi. Quando abbiamo iniziato a mettere in atto questo progetto abbiamo visto quanto fosse semplice identificarsi in questo club”.

Il progetto in questione è la creazione di un settore giovanile in cui la formazione personale ha la stessa importanza di quella calcistica. I ragazzi che entrano nell’Academy del Nordsjælland non solo si allenano tutti i giorni ma una volta a settimana svolgono delle sessioni individuali o di gruppo per la formazione caratteriale.

In questi incontri tutti i giocatori, dall’Under 11 alla prima squadra, si confrontano su diverse tematiche sociali e su ognuna di essa devono formulare un pensiero concreto, devono prendere una posizione. Un esempio: in risposta ad un sondaggio in cui solo il 20% della popolazione maschile sosteneva di avere una donna come modello di riferimento, ai giocatori della prima squadra è stato chiesto di pensare ad una figura femminile che fosse stata di ispirazione per loro e di omaggiarla scendendo in campo con il suo nome nella partita successiva.

Così il 10 marzo 2019, in occasione della Giornata internazionale della donna e del big match con il il Copenaghen, per il Nordsjælland hanno giocato Serena Williams, J.K. Rowling, Khalida Popal, Rosa Parks e Vigdís Finnbogadóttir, politica islandese diventata nel 1980 la prima donna capo di stato che al difensore norvegese Ulrik Yttergård Jenssen ha ricordato l’impegno civile di sua nonna, primo sindaco donna nella città natale di Tromsø.

“I giocatori devono essere in grado di vivere al massimo ogni momento della loro vita. Ci concentriamo su quello che potranno fare al termine della loro carriera ma non tralasciamo nulla del presente – sottolinea Laursen prima di rivelare quello che può essere considerato come il dogma del club -. Molto semplicemente se cresci un ragazzo come un calciatore avrai un calciatore e non un uomo. Non trascuriamo il calcio, vogliamo che i nostri i ragazzi diventino dei calciatori di successo ma dobbiamo avere una visione di insieme. È un business ma non possiamo avere dei ragazzi che nel corso della loro carriera si sentano infelici perché trattati esclusivamente come merce di scambio”.

Nel corso della sua breve storia, il Nordsjælland ha vissuto due momenti chiave. Nella stagione 2011/2012 è arrivato il primo e sino ad ora unico titolo nazionale. Un trionfo che nella stagione successiva ha permesso alla società di partecipare alla fase a gironi della Champions League, dove affrontò anche la Juventus di Antonio Conte pareggiando 1-1 la gara di andata e perdendo 4-0 allo Stadium la gara di ritorno. Grazie a quelle sei partite il Nordsjælland ha incassato 20 milioni di euro ma anziché utilizzare quei soldi per rinforzare la prima squadra acquistando uno o più calciatori di comprovata esperienza europea, la maggior parte degli investimenti ha riguardato il potenziamento del settore giovanile e delle infrastrutture.

“Avremmo potuto acquistare un ottimo giocatore – ricorda Laursen – ma sarebbe venuto qui solamente per i soldi, non per il progetto. Allo stesso tempo investendo nel settore giovanile è vero che non abbiamo comprato un campione ma in realtà ci siamo messi nelle condizioni di potercelo creare in casa”.

Il secondo si è materializzato nel gennaio 2016 con l’acquisto del club da parte di Tom Vernon. Ex scout del Manchester United per l’area africana, Vernon nel 1999 in Ghana ha dato vita al progetto ‘Right to Dream’, un’accademia che lavora su vasta scala e attraverso il calcio offre la prospettiva di una vita migliore alle famiglie delle zone più povere dell’Africa occidentale.

La collaborazione con il Nordsjælland, come si legge sul sito ufficiale dell’accademia, nasce con l’intento: “di creare una squadra completamente composta da giocatori provenienti dal settore giovanile”. Una visione ai limiti dell’utopistico nel calcio moderno ma che dalle parti di Farum stanno provando a realizzare con tutte le proprie forze se è vero che su 24 giocatori che compongono la rosa della prima squadra nella stagione 2019/2020, 17 di essi provengono dal settore giovanile del club oppure dall’accademia ‘Right to Dream’.

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Il calcio non è l’unico elemento che lega queste due realtà.

C’è anche l’ambizione di forgiare la prossima generazione di uomini facendogli capire che attraverso la loro fama possono diventare dei modelli di riferimento. Un concetto che prende forma tramite il giveback, ovvero quell’operazione con cui i calciatori restituiscono qualcosa alle comunità in cui sono cresciuti. Ad esempio, nel corso di un viaggio ad Accra organizzato dal Nordsjælland e tenutosi lo scorso gennaio, alcuni giocatori ghanesi hanno dato vita a dei progetti di supporto per il calcio femminile.

Non solo. In passato alcuni ragazzi danesi dell’Under 14 hanno deciso di aiutare un senzatetto che avevano incontrato per anni alla fermata del bus sulla via per gli allenamenti. Anche lo stesso Nordsjælland ha deciso di restituire qualcosa aderendo al progetto Common Goal e donando l’1% dei propri ricavi a progetti benefici.

“L’obiettivo è concepire il calcio come uno strumento per aiutare le persone – afferma orgogliosamente Laursen-. Una volta a settimana organizziamo degli incontri di un’ora in cui con i ragazzi parliamo di valori e di come poter aiutare altre persone. Cerchiamo di offrire loro il maggior numero di strumenti affinché possano diventare dei punti di riferimento per i compagni di squadra, per il club, per il quartiere da cui provengono. Il calcio ha così tanti interessi economici, tutti pensano di essere la prossima stella ed è nostro compito spiegare ai ragazzi come sia la vita reale”.

Se cresci un ragazzo come un calciatore avrai un calciatore e non un uomo.

Insomma, l’attenzione su quello che un giocatore può fare fuori dal campo è massima ma non pensate che quello che può fare all’interno del campo sia lasciato al caso.

D’altronde stiamo sempre parlando di una società professionistica che pur reclutando i propri giocatori badando maggiormente all’aspetto umano rispetto a quello tecnico, ha degli obiettivi sportivi da raggiungere e, nell’attesa di diventare un brand più spendibile a livello commerciale, al momento si autofinanzia attraverso la cessione dei prospetti migliori del proprio settore giovanile.

L’ultima ha riguardato Mikkel Damsgaard, centrocampista classe 2000 acquistato dalla Sampdoria per una cifra intorno ai 7 milioni che in Serie A ritroverà alcuni giocatori provenienti dal settore giovanile del Nordsjælland come Andreas Skov Olsen, Stanislav Lobotka e Jens Stryger Larsen.

“Abbiamo un’idea chiara di come vogliamo far giocare le nostre squadre – puntualizza Laursen -. Una volta a settimana tutti gli allenatori si incontrano per discutere di alcune problematiche che si sono verificate e quale sia il metodo migliore per risolverle. Poi una volta al mese abbiamo un incontro sullo stile di gioco e tutti gli allenatori hanno voce in capitolo, hanno l’opportunità di influenzare quella che è la visione del club. Non parliamo mai di schemi ma di stile. Vogliamo un calcio propositivo, offensivo, in cui prendere il controllo. Cerchiamo anche di guardare molto al futuro, cerchiamo di capire come potrebbe essere il calcio tra 5 anni, come potrà evolversi”.

“Quello che ci rende attraenti – conclude Laursen – è la nostra voglia di migliorarci costantemente. Non voglio dire che il nostro progetto sia migliore di tutti gli altri, ogni settore giovanile ha le sua qualità. Noi cerchiamo di essere chiari sul nostro metodo di lavoro. Non guardiamo molto all’operato degli altri club perchè siamo sicuri che svolgano un ottimo lavoro ma speriamo che sia abbastanza facile per giocatori e genitori comprendere che si ti piace un ambiente in cui si ragiona su come trasformare un ragazzo nella miglior persona possibile e contemporaneamente nel miglior calciatore possibile, allora noi siamo la squadra giusta.”