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·15 novembre 2025
🎙️ Avellino, Biancolino: “Con gli irpini amore vero. Non mi accontento mai”

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·15 novembre 2025

L’allenatore dell’Avellino, Raffaele Biancolino, si è raccontato in una lunga intervista rilasciata ai microfoni de La Gazzetta dello Sport.
Questo un estratto:
“All’inizio non c’era nemmeno tutto ’sto amore, quando venivo ad Avellino da avversario pioveva sempre e mi dicevo: ‘Ma come fanno?’. Però era una piazza che aveva fatto la Serie A, potevo mettermi in luce. Poi quando ho messo quella maglia ho provato qualcosa di speciale, l’ho sentita subito mia. Lei mi ha dato tanto, io ho dato tanto a lei. Sono orgoglioso di essere napoletano, ma guai a chi tocca Avellino”.
“È amore vero. Come con una fidanzata, può capitare che ci litighi o che fai una sciocchezza di una sera, ma sai pure che dall’altra parte c’è la tua vita, un pezzo di cuore. A un certo punto a Messina eravamo terzi, in hotel durante una trasferta a Mantova chiamai il presidente dell’Avellino: ‘Mi fai tornare?’. E lui: ‘Sei pazzo? Ti stai giocando il campionato’. ‘Sì, ma qua non mi trovo’. Non ne ho mai fatto una questione di soldi, ma di amore. Tornai anche due anni dopo ad Avellino: ero capitano del Venezia in B e scesi in C, solo un pazzo l’avrebbe fatto. Dovevo riportare la squadra dove l’avevo lasciata”.
“Allenare una squadra di cui sono stato bandiera comporta avere responsabilità, soprattutto: qui conosco generazioni intere di tifosi, non voglio illuderli né deluderli. Ma sono responsabilità che mi caricano, mi spingono a trasmettere il senso di appartenenza ai ragazzi che alleno. Ricordo ancora come mi sentivo durante una retrocessione quando ero in tribuna infortunato: ‘Se devo andare giù voglio farlo in campo, quella è roba mia’, pensavo”.
”Ero il club manager all’Avellino ma mi facevo vedere poco dalla squadra, pensavo di essere ingombrante. Un giorno mister Novellino davanti al presidente fa: ‘Ma lui perché rimane in tribuna? È un uomo di campo, deve stare con noi’. Avevo il compito di vedere gli avversari per fargli una relazione. Scrivevo pregi, difetti e osservazioni su un foglio e glielo davo. Lui se lo metteva in tasca, e vedevo che lo tirava fuori durante la riunione tecnica e dava le indicazioni mie. Voleva dire che si fidava, lì ho iniziato a pensarmi allenatore”.
“La notte dell’esonero di Pazienza al presidente chiesi una cosa sola: ‘Non voglio fare la velina, datemi almeno 2-3 partite’. E lui me le diede. Era l’occasione che avevo sempre sognato. Non ero e non sarò mai contento per l’esonero di un collega, ma da mesi vedevo quei ragazzi e prendevo appunti. Lo facevo inconsciamente, per non farmi trovare impreparato, così sapevo dove intervenire”.
“Del Biancolino giocatore ho il rapporto coi giocatori. Devi essere chiaro e sincero, lo so perché qualcuno con me non lo è stato, e poi certe crepe si allargano a tutto lo spogliatoio. Ai miei dico sempre: non vi farò mai niente di quello che a me ha fatto male. Preferisco litigare, ma non colpirti alle spalle”.
“Da ogni allenatore ho imparato qualcosa: da Zeman l’aggressività, da Sarri la tattica, da Galderisi la gestione del gruppo, da Vavassori le responsabilità da dare in campo… Metto insieme tutto col mio carattere, non mi accontento mai e voglio che i miei non si accontentino”.
“Nel braccialetto che bacio c’è la Madonna di Montevergine. Sono devoto, prima dell’esordio in panchina sono salito in pellegrinaggio al Santuario. Le grazie vere che fa la Madonna sono altre, questo è lavoro, ma da allora non smetterò mai di ringraziarla”.









































