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Inter News 24

·20 dicembre 2025

Bastoni si racconta: «Conte mi convinse a rimanere. Il mio obiettivo? Ci sono andato vicino due volte»

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Bastoni, dal vivaio dell’Atalanta all’Inter: un percorso fatto di sacrifici, momenti difficili, figure decisive e una crescita costante

Alessandro Bastoni, difensore dell’Inter e della Nazionale italiana, ha rilasciato una lunga intervista ai canali ufficiali di Panini Italia, ripercorrendo in modo dettagliato tutte le tappe della propria carriera e della propria vita.

LE ORIGINI E LA FAMIGLIA – «Sono nato in un paesino della provincia di Cremona e ho fatto tutto il settore giovanile dell’Atalanta. Abitavo a 150 km di distanza e ricordo tutte le volte che mio padre mi accompagnava su e giù, era totalmente dipendente dal calcio e mi ha attaccato questa passione. Quando sei piccolo, il calcio per te rappresenta tutto: io passavo le giornate a guardare le partite, sperando di essere un giorno protagonista. Ero un bambino speranzoso e pieno di gioia, nonostante fosse dura e mi ha tolto tanto. Alla fine, però, sono stato ripagato».


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DIFFICOLTA’ – «Ci sono stati tanti momenti duri, è inevitabile, perché tanti ragazzi che avevano anche più talento di me non ce l’hanno fatta a reagire alle difficoltà. Ci sono stati momenti in cui pensi di non farcela più, ma non bisogna mollare. Ai tempi delle giovanili dell’Atalanta, ci sono stati interi mesi in cui non giocavo, e mi ero stancato di fare 150 km al giorno. Mio padre, però, è stato decisivo e glielo devo».

CAMBIO RUOLO – «Nino Favini è stato decisivo, così come il percorso fatto nel vivaio dell’Atalanta, il migliore d’Italia e forse d’Europa. Non guardavano la stazza fisica, ma soprattutto il lato umano. Io nasco terzino in una difesa a quattro, poi succede che un mio compagno si rompe un dito al punchingball e ho provato per la prima volta da difensore centrale. Mi ci sono trovato bene, visto che i terzini a quattro fanno più un calcio di corsa, più veloci, mentre da centrale riuscivo a giocare meglio».

ESORDIO IN COPPA ITALIA – «Il mio esordio in Coppa Italia contro il Pescara? Era la classica partita in cui è più facile far esordire un giovane, è stata una grandissima emozione, ma il vero esordio lo considero quello contro la Sampdoria, quando successe una cosa nello spogliatoio e allora Gasperini lanciò me e Melegoni da titolari. Era il primo anno in cui l’Atalanta riuscì ad andare in Europa dopo tantissimo tempo: fu totalmente inaspettato, ma la mia forza è stata farmi trovare pronto e non sentire molto la pressione».

PARMA – «A Parma ho capito che potevo davvero fare il calciatore di Serie A. In Torino-Parma io venivo da un infortunio al menisco e fu una gara decisiva. Mi dissi: se giochi bene oggi, puoi farcela davvero. E andò bene. Andò bene, riuscimmo a vincere. Poi trovai la rete contro la Sampdoria, la squadra nel mio destino visto che anche con l’Inter esordii contro di loro… Fu una gara particolare, ogni punto in quel momento contava perché ci salvammo in volata».

GOL O ASSIST – «Il gol è bello, ma preferisco molto di più l’assist. Il salvataggio per un difensore dovrebbe essere la priorità, ma dico assist».

ARRIVO ALL’INTER – «Arrivai all’Inter dopo l’anno di Parma, c’era Conte. Io volevo andare via a tutti i costi in prestito, perché non pensavo di essere pronto per giocare a quel livello. Ma Conte insistette e mi disse che mi avrebbe fatto giocare e così è stato. Da lì ho saputo sfruttare i momenti chiave ed è stato tutto in discesa».

VITTORIE E SCONFITTE – «Insegna di più la vittoria o la sconfitta? Tendenzialmente direi che vincere aiuta a vincere. Quando sei in striscia positiva sembra che vai più forte. Ma per esperienza dico che ti godi meno le vittorie rispetto a quanto subisci le sconfitte. Quando vinci, poi pensi subito alla partita che verrà, la sconfitta brucia, perché pensi per un po’ a quello che hai sbagliato e che non è andato. Quindi, dico che la sconfitta insegna molto di più».

Bastoni, obiettivi e spogliatoio

«Obiettivi? Con la Nazionale dico la qualificazione al Mondiale. Con l’Inter ci sono andato vicino due volte… Non li dico. All’Inter ho imparato tanto da Ranocchia, D’Ambrosio, Handanovic, ma anche gli stessi Brozovic, Perisic. Potrei dire tantissima gente della quale magari al di fuori non si percepisce l’importanza nello spogliatoio ma ti fanno capire che giocare nell’Inter non è uno scherzo e fin da quando vai al centro sportivo devi dare sempre tutto perché rappresenti milioni di persone nel mondo il cui umore dipende dalle tue prestazioni alla domenica. Mi hanno trasmesso questa responsabilità: ora sono al settimo anno all’Inter e sono vicino alle 300 presenze».

VITA PRIVATA E PASSIONI – «I miei hobby? Quando ho quel poco tempo libero mi piace passarlo con mia moglie e mia figlia, che fanno passare tutto il nervoso dopo le partite e lo stress. Ti accorgi dell’importanza di essere padre quando lo diventi. Se colleziono le figurine? Sì, anche se non ho mai finito un album. Un ricordo? La mia babysitter mi interrogava dicendomi dei dati e io dovevo indovinare il calciatore. Fino alla Serie B li conoscevo tutti, anche per rendermi conto della fisicità».

CRITICHE – «Non è facile nello sport di oggi, siamo circondati da un sacco di persone che tendono a giudicare e dare consigli inappropriati. Bisogna cercare di tapparsi le orecchie e andare avanti per la propria strada, ricordando come sei arrivato a certi livelli. Serve circondarsi di persone sane, che le critiche te le fanno ma con lo scopo di farti migliorare, e ti dicono le cose come stanno».

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