Caldara lascia il calcio giocato a 31 anni: «È arrivato il momento. Io crollato dopo l’infortunio al ginocchio, non sono più tornato lo stesso» | OneFootball

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·15 novembre 2025

Caldara lascia il calcio giocato a 31 anni: «È arrivato il momento. Io crollato dopo l’infortunio al ginocchio, non sono più tornato lo stesso»

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Caldara lascia il calcio giocato: «È arrivato il momento. Io crollato dopo l’infortunio al ginocchio, non sono più tornato lo stesso». Il messaggio dell’ex difensore

Il calcio italiano perde prematuramente uno dei suoi talenti più cristallini e sfortunati. Mattia Caldara ha detto basta. A soli 31 anni, il difensore centrale, che in carriera ha vestito maglie prestigiose come quelle di AtalantaJuventus e Milan, ha deciso ufficialmente di appendere gli scarpini al chiodo.

La notizia, nell’aria da tempo a causa dei continui problemi fisici, è stata confermata dallo stesso calciatore sui social. Caldara ha affidato ai suoi canali un lungo sfogo, una lettera a cuore aperto in cui racconta il dolore della scelta.


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«Un foglio bianco, una penna. Chiudo gli occhi, butto fuori l’aria. Li riapro, è arrivato il momento. Caro calcio, io ti saluto. Ho deciso di smettere. No, non è stato facile deciderlo. Non lo è neanche scrivere queste parole. “Caro calcio, io ti saluto”. Continuo a rileggerle. Forse è un modo per accettarlo. Accettarlo un po’ di più».

Dietro l’addio non c’è solo stanchezza, ma una diagnosi medica spietata arrivata la scorsa estate, che ha messo il giocatore di fronte a un bivio drammatico per la sua salute futura.

«Ora ho trovato un po’ di tranquillità. Ma ci ho messo un po’ per prendere questa decisione. Tutto è nato a luglio dopo una visita da uno specialista: “Mattia non hai più la cartilagine della caviglia. Se continui tra qualche anno dovremo metterti una protesi”. Il mio corpo mi aveva tradito. Questa volta, forse, in modo definitivo».

Ma il calvario di Caldara non è stato solo fisico. L’ex difensore racconta con coraggio il crollo mentale seguito al grave infortunio al ginocchio, quel momento preciso in cui la sua ascesa si è interrotta bruscamente, trascinandolo in un vortice di sofferenza psicologica.

«Sono stati mesi difficili. Anzi, anni. E non parlo solo di questa scelta, ma di molto altro. Parlo di quella che è stata la mia vita da quando il mio ginocchio si è rotto. Ricordo ancora il primo passo dopo il contrasto: ho sentito la terra cedere sotto il mio piede. Sono crollato. Prima fisicamente, poi mentalmente. Ero nel punto più alto della mia carriera, poi in pochi secondi è cambiato tutto. Con il tempo sono stato meglio, ma non sono mai stato bene. Mai più. Non sono più riuscito a tornare a essere quel Caldara. Ci ho provato, ma non era più possibile. Questa rincorsa a un’illusione mi ha logorato».

La conclusione è un messaggio potente sulla salute mentale e sulla necessità di accettare i propri limiti per salvarsi come uomo, prima che come atleta.

«Volevo essere semplicemente quello che ero stato, essere me stesso. Riprendere quel sogno che stavo vivendo e allo stesso tempo inseguendo. Quel sogno si era trasformato in un’utopia. Vedete, a volte il tentativo di raggiungere un’utopia può aiutare a camminare. Nel mio caso, invece, mi ha distrutto. Le aspettative mie e degli altri, sperare qualcosa di impossibile, frustrazione: era troppo per la mia testa, non ero pronto. Non sono stato bene. Non ero più me stesso, neanche con le persone che amavo. Non riuscivo più a camminare per strada a testa alta. Tristezza, frustrazione, buio. Non so se si chiami depressione. So, però, cos’ho provato. Ho deciso di lasciare andare. Non per dimenticare. Ho deciso di lasciare andare per riprendere in mano la mia vita».

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