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·25 novembre 2025

Cinque anni senza Maradona: il calcio continua a cercarlo e a raccontarlo

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Il 25 novembre 2020 rimane una data incisa nella memoria collettiva. In un mondo piegato dal lockdown, Diego Armando Maradona se ne andava lasciando un vuoto che cinque anni dopo non accenna a colmarsi.

Cinque anni senza Maradona: il calcio continua a cercarlo e a raccontarlo

A mancare non è soltanto l’icona sportiva, ma il simbolo assoluto di ciò che un pallone può rappresentare quando viene trattato con un amore puro, quasi mistico, parafrasando il bell’editoriale pubblicato da Sportmediaset.


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Non è la retorica del calcio-business a parlare, ma proprio l’oggetto sferico che ogni bambino sogna di calciare quando inizia a stare in piedi. Con Maradona la palla smetteva di essere uno strumento: diventava un’estensione del suo corpo, un punto di contatto tra l’umano e qualcosa che umano non era più.

Maradona e il pallone: un legame oltre il gesto tecnico

Il rapporto tra Diego e la palla non seguiva logiche materiali, opportunistiche o narcisistiche. Era un legame che anticipava ogni schema, una forma di amore totale che superava la prestazione, lo spettacolo, il risultato. Diego accarezzava il pallone senza calcolo, come si ama qualcosa perché si sente che non può essere altrimenti.

Il calcio gli ha dato tantissimo: l’uscita dal ghetto di Villa Fiorita, il riscatto economico e sociale, la gloria planetaria, un’adorazione quasi liturgica. Ma l’essenza del suo rapporto con il pallone non era mai cambiata, neppure quando il mondo lo trattava come un dio capace di disegnare il destino delle squadre e delle nazioni.

Per descrivere quel legame servono immagini forti, come quelle evocate da Eduardo Galeano: se durante una festa di gala un pallone impolverato fosse piovuto dal cielo, Maradona lo avrebbe stoppato di petto senza preoccuparsi del frac appena indossato. O quelle di Paolo Sorrentino, che in “Youth” lo rappresenta mentre palleggia incessantemente in un campo da tennis, di notte, con una leggerezza che sfida età, peso e tempo.

Il genio fragile: amore, demoni e cadute

Maradona ha portato sulle spalle un affetto smisurato, un’adorazione pubblica che gli impediva persino di uscire di casa. Eppure, né Napoli né l’Argentina – i due poli della sua vita sentimentale e sportiva – sono riusciti a salvarlo dai suoi fantasmi.

Diego ha vissuto la parabola del talento assoluto spremuto fino all’ultima goccia, tra trionfi irripetibili e cadute dolorose: l’addio amaro a Napoli, la squalifica al Mondiale USA ’94, gli eccessi che nessun affetto, neppure quello puro della famiglia, riuscì davvero a contenere.

La sua morte a 60 anni rimane una ferita collettiva, frutto di errori personali e di un sistema che, dopo averlo reso mito, lo ha lasciato sprofondare.

L’eredità eterna: stadi, murales, processi, memoria

Cinque anni dopo, Maradona vive in una molteplicità di luoghi e linguaggi: – nello stadio di Napoli che porta il suo nome, – nelle celebrazioni dei due scudetti recenti, – nei docufilm e nelle serie che continuano a raccontarlo, – nei murales che popolano i Quartieri Spagnoli e città di tutto il mondo, – nei processi che cercano ancora verità sulla sua morte.

Ma soprattutto vive in un gesto semplice: la ricerca, su qualunque motore di ricerca, di “le più belle giocate di Maradona”. Ogni volta che un video parte, ogni volta che un bambino o un adulto osserva quelle magie impossibili, Diego torna a esistere.

L’ultima verità: chi ha visto Maradona ha visto l’impossibile

Il tempo passa, il calcio cambia, l’industria cresce, le mode si moltiplicano. Ma chi ha visto Maradona, chi lo ha osservato prendere un pallone come se fosse un messaggio divino caduto dal cielo, sa che quell’esperienza non potrà essere sostituita.

Se una lacrima compare, si potrà dare la colpa all’età. Ma la verità è un’altra: il dolore della perdita si mescola all’orgoglio di poter dire “io Maradona l’ho visto”.

Tutto può essere messo in discussione: tradizioni, musiche, algoritmi, intelligenza artificiale. Quello no.

Diego resta. Diego continua. Diego appartiene a chi sa riconoscere l’impossibile quando lo vede.

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