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·3 marzo 2021
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I tifosi di squadre che hanno una rivale cittadina amano pensare che la vittoria nel derby di ritorno contro «cugini» «pericolanti» e poi retrocessi sia stata quella decisiva per la loro caduta nella serie inferiore. Sul fronte blucerchiato si è mitizzata la rete del 3-2 dell’argentino Mario Sabbatella nel 1951, quando, al termine di quella, mancavano ancora cinque giornate, su quello rossoblù il colpo di testa di Roberto «o’Rei di Crocefieschi» Pruzzo, che diede al Genoa nel 1977 la vittoria per 2-1 in rimonta, quando c’erano dopo di quell’incontro ancora da disputare dieci partite, un terzo esatto della Serie A a sedici squadre che caratterizzò gli anni Settanta. Quando al 51’10’’ di Genoa-Sampdoria della sera di domenica 8 maggio 2011 il tiro mancino (lato sensu!) s’insaccò nella porta blucerchiata sottostante una Gradinata Nord esplosa in un assordante boato di gioia, mancavano solamente due partite alla fine del Campionato e il Lecce, vittorioso nel pomeriggio in casa per 2-1 sul Napoli (nel prepartita la Gradinata Nord intonò beffardamente il coro “Din, don! Din, don! Din, don! Intervengo qui da Lecce: ha segnato Chevanton!”, che metteva in musica l’annuncio della rete decisiva per i salentini nello stile della trasmissione radiofonica “Tutto il calcio minuto per minuto”), occupava la diciassettesima posizione in classifica, l’ultima che consentiva la permanenza nella massima categoria, con due punti (di fatto «uno e mezzo», stante «la classifica avulsa degli scontri diretti» sfavorevole) nei confronti della Sampdoria. Si può, quindi, a giusto titolo pensare che la rete del centravanti sudamericano destinato a restare per sempre nella memoria dei tifosi rossoblù (… e pure di quelli blucerchiati!) per l’unica prodezza significativa della sua breve militanza genoana abbia avuto un peso determinante o quasi per spingere il sodalizio sorto nel 1946 dalla fusione tra Sampierdarenese ed Andrea Doria verso la quarta retrocessione in Serie B della sua storia.
A pochi giorni dall’incontro la stracittadina venne preceduta da prese di posizione opposte: da un lato, migliaia di tifosi genoani si recarono al campo di allenamento “Pio XII/Gianluca Signorini” di Genova-Pegli per chiedere ai propri beniamini di non avere pietà della Sampdoria (del resto, a differenza di quanto accaduto a parti invertite, gli uomini di Davide «zio Balla» Ballardini sr. avevano lealmente sconfitto in casa il Brescia – per 3-0 – e il Lecce – per 4-2 –, rivali dei blucerchiati nella lotta per la salvezza), dall’altro, ci fu una criptica dichiarazione – perlomeno inopportuna – dell’allora sindaca di Genova, Marta Vincenzi (imparentata con Guido, per undici stagioni agonistiche consecutive tra la fine degli anni Cinquanta e degli anni Sessanta forte difensore della Sampdoria, squadra per la quale il finora unico primo cittadino «in gonnella» della Superba non aveva mai nascosto di rivolgere le sua simpatie calcistiche), di “un derby di solidarietà e di amicizia” che, a torto o a ragione, molti sostenitori rossoblù interpretarono come un invito alla squadra più forte a non sconfiggere la più debole, se non addirittura a farla vincere. Questo «lavorìo» ai fianchi del Grifone fece sì che il risultato dell’incontro fu quello auspicato dai tifosi rossoblù (addirittura, per come si determinò, fu la classica «partita dei sogni»!), ma la prestazione fu decisamente sotto tono (in pratica, il Genoa segnò nei recuperi dei due tempi, con gli unici tiri in porta effettuati durante l’incontro), mentre la Sampdoria giocò con grande determinazione, attaccando per quasi tutto la partita, anche se, stante la qualità decisamente modesta della sua squadra (nel 2009/2010 terminata quarta in classifica, ma indebolitasi in maniera incredibile con le cessioni a gennaio del 2011 di Antonio «Fantantonio» Cassano al Milan e Gianpaolo «Pazzo» Pazzini all’Internazionale), gli unici suoi due tiri in porta si registrarono nell’azione del momentaneo pareggio.
Nel primo tempo si alternò un paio di occasioni per parte (tiro dal basso in alto, su tocco di esterno destro all’indietro di Daniele «Millemiglia» Mannini ad «addomesticare» un traversone alla sinistra dell’ungherese Zsolt Laczkó, di esterno destro da ventisei metri del capitano blucerchiato Angelo Palombo di poco alto sopra la traversa al 9’; conclusione, a far seguito a due pregevoli gesti tecnici – stop di petto su «sventagliata» di sinistro in diagonale del georgiano Kakhaber «Kakha» Kaladze e controllo «orientato» del pallone con il piede destro in giravolta – con un diagonale rasoterra di destro da ventidue metri di Antonio «Baby Killer» Floro Flores leggermente fuori dallo «specchio» della porta bloccata con un tuffo sulla sua destra dal portiere brasiliano degli ospiti Angelo Esmael da Costa Junior al 15’; colpo di testa a spiovere di Mannini dai sedici metri su punizione battuta dalla «tre quarti» di destra da Palombo di poco alto sopra la traversa, vicino all’incrocio dei pali sinistro, al 22’; «triangolazione» tra Antonio Floro Flores e il capitano rossoblù Marco Rossi, in fuorigioco non rilevato, che venne interrotta da una «diagonale» di Stefano Lucchini, il cui rinviò di esterno sinistro mandò il pallone contro il tacco destro della gamba di richiamo dell’attaccante napoletano, protesosi in tuffo per la deviazione vincente con il piede sinistro, con la sfera che dopo la carambola andò a sfiorare il palo sinistro, al 25’), fino a quando, durante il minuto di recupero, pochi secondi dopo il 45’, su calcio d’angolo battuto dalla destra da Omar «Hannibal» Milanetto, Floro Flores, appostato vicino al «secondo palo», approfittò di una «spizzata» con la tempia sinistra dell’argentino Rodrigo Sebastián «el Trenza» Palacio per far scattare con un colpo di testa in tuffo da tre metri nell’angolino basso destro «la legge del goal dell’ex» (la rete venne festeggiata clamorosamente da Floro Flores, che si tolse la maglietta e corse per tutto il campo per andare ad esultare sotto la Gradinata Nord con l’indumento da gioco posizionato sul viso con la testa reclinata all’indietro).
Nella ripresa, dopo averlo sfiorato quattro minuti prima con un colpo di testa del francese Jonathan «Speedy Gonzales» Biabiany, il quale, leggermente defilato sulla destra, su un traversone dalla destra di Stefano Guberti, aveva mandato da otto metri il pallone di poco sopra l’incrocio sinistro dei pali, i blucerchiati pervennero al pareggio al 21’ con una deviazione da «opportunista» da sei metri di ginocchio destro di Nicola «Nick» Pozzi su tiro di destro da trentaquattro metri di Palombo non bloccato da Eduardo dos Reis Carvalho «Eduardo» (a parziale scusante del portiere portoghese, non nuovo a tali incertezze, va detto che il pallone gli rimbalzò sul petto dopo aver cambiato traiettoria picchiando sulla calce messa sulla riga dell’area di porta per solidificare il gesso). Il Genoa, che sostituì al 37’ l’autore della prima rete con quello che si sarebbe rivelato «el hombre del partido» (per la cronaca, l’attaccante argentino non toccò mai il pallone prima del 44’, quando due suoi colpi di testa vennero inframmezzati da uno stop di sinistro e da un passaggio non riuscito di esterno destro, poi fece un colpo di testa al 49’ e un non riuscito lancio di interno destro al 50’ ed infine stoppò di esterno destro il pallone, se lo aggiustò sempre con l’esterno destro per poi colpirlo con l’interno sinistro al 51’ nell’azione decisiva dell’incontro), giocò sulla difensiva (dalla Gradinata Nord si levarono nei confronti dei giocatori rossoblù appelli ad assumere un atteggiamento… più «virile», grida di dissenso e il coro “Il derby non si regala!”) senza produrre alcuna occasione da rete (il colpo di testa, sul «disturbo» di Mannini, da sette metri, sul calcio di punizione dalla «tre quarti» di destra di Milanetto successivo alla rissa che aveva portato il signor Paolo Tagliavento di Terni ad estrarre il secondo cartellino giallo, e conseguentemente quello rosso, verso il terzino destro rossoblù Giandomenico «Giando» Mesto, di Kaladze, che sfiorò al 46’ il palo destro, venne effettuato in sanzionata posizione di fuorigioco, sicché non può essere annoverato tra le occasioni da rete). Tra le «leggende metropolitane» relative ai «Derbies della Lanterna» c’è quella che Mauro «il retrocessore» Boselli avesse segnato, perché, non comprendendo bene la lingua italiana, non aveva capito che l’incontro era stato «addomesticato» per il pareggio, ma a smentire tale tesi ci sono almeno tre elementi, a rafforzare i quali c’è da considerare come la compagine rossoblù giocò il recupero della ripresa con un uomo in meno: al 49’ l’ingresso in campo del franco-marocchino-senegalese Abdoulay «Bubu» Konko al posto dello slovacco Jurai «Kuco» Kucka avvenne in soli dodici secondi, che sarebbero stati aggiunti ai sei minuti di recupero indicati dal tabellone luminoso del «quarto uomo»; al 50’ Rossi si precipitò «di gran carriera» ad effettuare con le mani una rimessa laterale; al 51’ Luca Antonelli jr., dopo aver dribblato orizzontalmente Guberti davanti alla panchina del Genoa, allungandosi con un tocco di destro il pallone, si tuffò generosamente per mantenerlo nel rettangolo di gioco, riuscendovi con un intervento in spaccata di sinistro.
Dopo il soprammenzionato intervento di Antonelli jr. ci fu un rinvio di destro di Massimo Volta, che mandò il pallone verso la metà campo, dove sul settore sinistro del fronte d’attacco rossoblù venne raccolto da Milanetto, che, dopo essersi accentrato, lo indirizzò con un passaggio rasoterra di interno destro in diagonale a Boselli, il quale, marcato stretto da Lucchini, fece grazie ai due soprammenzionati tocchi di esterno destro (mentre, come avrebbe rivelato nel novembre del 2018, l’arbitro ascoltava nel suo auricolare un 3 pronunciato dal signor Gabriele Gava jr. di Conegliano, «quarto uomo» dell’incontro, a cui era stato richiesto di scandire il countdown degli ultimi dieci secondi del derby) una «sterzata», che può ricordare agli appassionati di pallacanestro il «giro in palleggio», propedeutica a crearsi lo spazio per effettuare da sedici metri un «chirurgico» tiro di interno sinistro (il piede da lui non prediletto), la cui traiettoria ad effetto girò sopra alla gamba destra distesa del suo marcatore e a quella sollevata di Volta, spostatosi, dopo aver effettuato il rinvio, al centro dell’area di rigore, e a una ventina di centimetri dalle dita della mano destra protesa di da Costa Junior, nell’angolino destro basso della porta difesa dal quale si infilò.
È stato quello l’ultimo successo interno del Genoa nei derbies, visto che dopo l’immediato ritorno in Serie A dei blucerchiati è riuscito a pareggiarne solamente due (uno per 1-1 nel 2013 e un altro nel 2018) su otto, mentre in quelli esterni ha ottenuto una vittoria nell’unico di Coppa Italia e tre successi (i primi due, nel 2014 e nel 2016, per 3-0) in otto incontri (negli altri cinque si sono registrati due pareggi e tre sconfitte).
TABELLINO
Genova, domenica 8 maggio 2011, Stadio “Luigi Ferraris”, ore 20.45
Genoa-Sampdoria 2-1 [XXXVI giornata del Campionato di Serie A 2010/2011]
Arbitro: Tagliavento [Terni]
Spettatori: Trentaduemila circa
Marcatori: nel 1° tempo al 45’ Floro Flores (G); nel 2° tempo al 21’ Pozzi (S), al 51’ Boselli (G)
Genoa (4-4-2): 1 Eduardo; 20 Mesto, 3 Dainelli, 13 Kaladze, 4 Criscito; 18 Rafinha Ferreira (dal 28’ del 2° T.: 23 L. Antonelli jr.), 33 Kucka (dal 49’ del 2° T.: 5 Konko), 77 Milanetto, 7 Mar. Rossi; 8 Palacio, 83 Floro Flores (dal 37’ del 2° T.: 9 Boselli). Allenatore: D. Ballardini sr..
Sampdoria (4-4-2): 1 A. E. Da Costa; 78 Zauri, 26 Volta, 6 Lucchini, 3 Ziegler; 7 D. Mannini, 17 A. Palombo, 12 Tissone (dal 24’ del 2° T.: 16 A. Poli), 18 Laczkó (dall’11’ del 2° T.: 8 Guberti); 9 Pozzi (dal 33’ del 2° T.: 32 Maccarone), 27 Biabiany. Allenatore: Cavasin.
Note: in occasione dell’entrata delle squadre in campo la Gradinata Nord realizza una scenografia che nella parte alta presenta un bandierone della città di Genova con sul braccio orizzontale della croce ross la scritta in bianco F.C. GENOA 1893, sulla balconata lo striscione rossoblù con la scritta GRADINATA NORD VIA ARMENIA 5R, e sotto un alternarsi strisce rosse e blu sormontate da uno striscione in cui compare nella parte bassa la scritta GENOA C.F.C. 1893 e in quella alta lo stemma sociale che si sovrappone a uno scudetto tricolore con la scritta 9 (quelli conquistati dal club tra il 1898 e il 1924) e un circoletto tricolore della Coppa Italia (a ricordo di quella vinta nel 1937) e i Figgi do Zena espongono nei Distinti una scenografia con in alto una bandiera di Genova e sui ciascuno dei due lati verticali una striscia rossa e una blu, in mezzo lo striscione NON VI VUOLE LA CITTÀ… VIA DA GENOVA LA SAMP!!! e sotto un’immagine stilizzata della città di Genova con in riva al mare un Grifone che scaglia delle pietre per affondare un marinaio (simbolo della Sampdoria) su una barca in balia delle onde; al 2’ del 2° T. la partita viene interrotta per due minuti per lancio di fumogeni dalla Gradinata Nord; durante l’incontro uno steward viene aggredito e ferito da un tifoso blucerchiato; dopo la rete della vittoria alcuni giocatori rossoblù esultano in maniera polemica nei confronti della Gradinata Nord che li ha accusati di scarso impegno nella ripresa (in particolare, Milanetto pronuncia una frase che non gli verrà mai perdonata); dopodiché i tifosi rossoblù, felici per la quasi sicura retrocessione (matematicamente determinatasi la successiva domenica dopo la sconfitta interna per 1-2 contro il Città di Palermo) della Sampdoria, espongono striscioni ironici quali AMICO GARRONE!, GARRONE, TI VOGLIO BENE!, B HAPPY, B SAMP e CHISSÀ COM’È IL SABATO ALLE 15 CON LEI? (gli ultimi due rielaborazioni di elementi fondanti del tifo blucerchiato).
Stefano Massa
(membro del Comitato Ricerca e Storia del Museo della Storia del Genoa)