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·26 dicembre 2025
🔥 De Rossi: “Alla Roma avevo un piano scudetto. Problemi con Lina, cose chiarite”

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L’allenatore del Genoa Daniele De Rossi ha parlato in conferenza stampa in vista del match delicatissimo a livello personale contro la Roma, sua ex squadra, di cui è stato bandiera.
Queste le sue dichiarazioni: Hai rifiutato tante offerte durante il periodo in cui sei stato fermo? Ti sei pentito di alcune scelte? “No. Non ho rifiutato perché avevo voglia di andare e sono gli altri che hanno rifiutato me. Quando ho rifiutato l’ho fatto forse per la categoria e perché in alcune situazioni non vedevo molto chiaro. Nelle prime due esperienze, in maniera diversa, ho avuto problemi con i dirigenti: alla SPAL ho avuto problemi, ma ora quel dirigente (Fabio Lupo, ndr) lo sento ancora adesso e abbiamo chiarito. Anche alla Roma ho chiarito con l’amministratore delegato (Lina Souloukou, ndr). Niente di clamoroso, ma comunque c’erano problemi. Non voglio mettermi in una condizione in cui possa tornare ad averli e non voglio che passi il concetto che io sia uno che ha problemi con i dirigenti. Alla Spal parlai di quanto io non fossi contento del mercato in conferenza, dissi la verità. Il presidente Tacopina si arrabbiò e mi disse: ‘Chi ti ha detto che puoi dire la verità sulla mia squadra?’. E io lì ho capito tante cose”.
Cosa ti è rimasto dell’esperienza della Roma? “A vederla adesso un po’ mi dispiace quello che è successo. Nonostante io stia benissimo, mi dispiace perché sta avendo un exploit che io avevo predetto: dissi che certi giocatori il primo anno avrebbero fatto fatica, nel secondo sarebbero esplosi e nel terzo, continuando con quel mercato, avremmo lottato per lo scudetto. Non eravamo proprio pazzi a puntare su questo gruppo, dato che per me è molto forte”.
Non ti credevano quando lo dicevi? “I presidenti pendevano dalle mie labbra, con loro avevo un rapporto costante. A livello calcistico ho sempre avuto ampia libertà sulle scelte, si fidavano, mi chiedevano e si confrontavano. Mi hanno iniziato a chiedere le cose ancor prima di confermarmi per i successivi tre anni. Da quel punto di vista c’era grande rispetto dei ruoli da parte di tutti. Poi si sono un po’ incrinate le cose e mi dispiace, ma quello che è successo io e il mio staff non lo meritavamo. Non sei mai pronto all’esonero, era molto presto. E’ successo a Genova e ora questa squadra ha un debito con me (ride, ndr)”.
L’hai vissuta come un’ingiustizia? “Ci vai sopra perché io pensavo e penso di essere a posto con la coscienza. Non ho mai abbassato di un centimetro l’impegno che ho messo lì dentro, non ho mai tradito chi era lì, non ho mai usato il ‘potere’ che avevo in quella città per proteggere me e andare contro i giocatori o per andare contro la società. Se mi fossi tradito da solo non sarei stato così orgoglioso di ciò che abbiamo fatto. Ogni volta che vieni esonerato smetti di vivere ciò che ti piace. Non penso di aver avuto più dolore dall’esonero dalla Roma che dalla Spal, non cambia niente: ti manca il fatto che saluti i giocatori e poi non li vedrai più. Quando ho salutato a Ferrara eravamo in una palestra più brutta di quella di Trigoria, con dei giocatori meno bravi, con una società meno forte, ma il dolore era lo stesso e i ragazzi piangevano tutti… Ti rimane il senso di incompiutezza, quel ‘fammi fare che la rimetto a posto e andremo alla grande’. Questo ti rimane e ogni tanto ritorna fuori”.
Non vedi l’ora? “Si tratta di una sensazione particolare. Da bambino la vivi in un modo, da ragazzo del settore giovanile in un’altra maniera, da giocatore in maniera focosissima e da allenatore in modo folle. Ho sempre desiderato tutti i giorni che la Roma vincesse, questa è la cosa che mi fa più ridere. Per una settimana dovrò lavorare per far perdere la Roma… Ora non salto sul divano quando guardo la Roma, ma la vedo da collega e da ex giocatore. Se vince però sono contento”.
C’è stato un momento in cui potevi tornare alla Roma? “No, non penso ci sia mai stata davvero la possibilità. Hanno fatto una scelta talmente evidente e chiara… A Roma si parla sempre e il mio nome accostato alla Roma funziona sempre. Ma non credo sarebbe stato il passo giusto per me, anche se ovviamente sarei tornato subito perché credo nella squadra e nei giocatori”.
Come hai reagito al mancato rinnovo? “Non ho odiato così tanto smettere quanto avrei odiato trascinarmi in campo. Quando mi hanno comunicato alla Roma la decisione io lo avevo capito, si protraeva da troppo tempo. Giravi l’angolo e vedevi il dirigente che si girava subito per non incrociarti (ride, ndr). L’ho vissuto in maniera molto serena. Avevo paura del dopo, ma io ho chiesto di saperlo. Era l’elefante dentro la stanza, tutti ne parlavano ma io volevo saperlo. Ero curioso e poi volevo salutare i miei tifosi nonostante non sia un amante degli addii. Chiesi a Guido Fienga di dirmi le cose perché avrei voluto fare una conferenza stampa per ringraziare, salutare con un giro di campo. E lui mi disse che l’intenzione era non rinnovare il contratto. Avevo due alternative: provare a convincerli, ma a livello di dignità avrei perso parecchio. Non ti do la gioia di farmi vedere stramazzato sotto la Sud perché voglio rimanere. Volevo uscire con eleganza, rappresento un bel pezzo di Roma e del calcio italiano. Cosa mi cambiava un anno in più? Ero preparato perché avevo visto la fine della carriera di Francesco (Totti, ndr). Quando ha smesso era distrutto, ne ho parlato mille volte con lui e io non volevo stare così male. Ho provato a prepararmi, smettere di giocare a calcio è stata una botta anche per me. Io ho smesso e dopo due mesi c’è stato il Covid: smetti col calcio, smetti di uscire, smetti di vedere persone… Per un attimo mi sono chiesto cose stesse succedendo”









































