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·10 ottobre 2025

Del Piero e la scomparsa della tecnica nel calcio italiano. Ha davvero ragione lui?

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Del Piero e la scomparsa della tecnica nel calcio italiano. Ha davvero ragione lui? Analisi e differenza tra fisicità e atletismo

Alessandro Del Piero ha lanciato un accorato appello: nel calcio italiano, la tecnica sta scomparendo. Dagli studi di Sky, l’ex capitano bianconero ha affermato: «La mentalità è cambiata, già negli ultimi anni di Juve me ne stavo accorgendo. Noi li vogliamo grandi e grossi, non giriamoci attorno alle cose. Noi vogliamo giocatori grandi, grossi e veloci. Punto. Perché il calcio è grande, grosso e veloce. In Francia sono così, Inghilterra è così. In Italia noi siamo sempre stati i più bravi perché abbiamo visto qualcosa di diverso dagli altri, sul talento, sulla tecnica».

Questa argomentazione, sebbene da “salotto tv”, spinge alla riflessione, specie se proviene da uno dei giocatori più tecnici della nostra storia. La rivista UltimoUomo ha deciso di entrare nello specifico e propone un’analisi articolata. Ecco la sintesi dell’ottima trattazione a firma Emanuele Atturo.


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L’ossessione per la forza fisica è evidente e supportata da dati: un report del CIES rivela che due delle tre squadre più alte al mondo sono italiane (Cagliari e Atalanta), e la Serie A ha l’altezza media maggiore, superando persino la Premier League. Un dato curioso, considerando che l’Italia è solo il 79° paese al mondo per altezza media.

Questo fenomeno potrebbe essere interpretato come una “logica compensativa”, un senso di subalternità che affonda le radici in Gianni Brera e nella sua idea degli “italianuzzi” costretti al catenaccio per rimediare ai limiti fisici. Come scriveva Brera: «Se davvero il calcio esprime quello che un popolo è e sente in quel momento storico, è abbastanza naturale che nasca il difensivismo».

Tuttavia, un paradosso emerge: come si concilia questa ossessione per i corpi mastodontici con un campionato italiano spesso lento e compassato? Se si acquistano giocatori «atleticamente formidabili», ci si aspetterebbero partite ad alto ritmo, non «meste partite coreografate, simili a battaglie settecentesche». L’impressione è che nel calcio italiano ci sia un’idea parziale e quantitativa della forza fisica, basata su altezza e «spessore», come se il calcio fosse sumo, non uno sport dinamico. Un’idea da «mercato del bestiame», in cui si è forte chi «sembra forte».

Il problema non è solo la tecnica, ma anche una «idea distorta di forza fisica». Il PSG ha vinto la Champions con un centrocampo di piccoli talenti come Joao Neves e Vitinha, la cui forza fisica è nella rapidità, agilità e intensità, non solo nell’altezza. Lo stesso vale per i terzini del Liverpool o gli attaccanti del Manchester City come Foden e Doku. Molti talenti offensivi italiani, invece, pur avendo qualità tecniche, difettano proprio di questa «elettricità fisica».

C’è un fraintendimento tra “fisicità” e “atletismo”. Il calcio italiano è ossessionato dalla prima, ma manca del secondo. La tecnica e il fisico vengono concepiti in modo slegato, quando nel calcio sono inscindibili e applicati alle situazioni. Forse, come suggerisce Nesta, la vera differenza sta nella «mancanza di giocatori offensivi che alzano il livello». La provocazione di Del Piero tocca nervi scoperti, rivelando problemi antichi e complessi nella nostra diffidenza verso la tecnica.

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