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·9 maggio 2019
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·9 maggio 2019
di Simone Balocco –
Domenica si è conclusa la regular season della Serie C: alle già promosse in Serie B JuveStabia e Pordenone, si è aggiunta la Virtus Entella. Domenica scatteranno i play off che vedranno 28 squadre lottare per i due posti rimanenti per la salita in cadetteria. E, vista la durata dei play off, le due squadre che perderanno le finali piangeranno come piangeranno quelle che vinceranno: lacrime di disperazione contro lacrime di felicità dopo aver disputato, praticamente, un altro “campionato”:
Una piazza che (calcisticamente) piange è Piacenza. La città meno emiliana delle città emiliane quest’anno è stata la sesta città ad avere due squadre nelle serie professionistiche. Per di più nello stesso girone, l’”A”, il più tartassato della terza serie nazionale con una squadra che non ha finito il campionato perché esclusa e altre tre penalizzate per totali quarantanove punti in meno in classifica.
Va da sé che è proprio la città di Sant’Antonino la più colpita, perché la squadra esclusa dal torneo a fine febbraio è stata la Pro Piacenza. Per non parlare del fatto che il Piacenza, sabato 4 maggio, ha fatto harakiri contro la Robur Siena: le reti di Cianci e Gliozzi hanno spedito all’inferno dei play off la squadra di mister Arnaldo Franzini con la contemporanea vittoria della Virtus Entella, al minuto 88, in casa contro la Carrarese che ha portato i liguri in Serie B.
Per il Piacenza una beffa atroce, visto che la squadra bianco-rossa, nell’ultimo mese, aveva recuperato tanti punti di svantaggio sulla squadra ligure, sconfiggendola lo scorso 23 aprile al “Garilli” nel recupero dell’ottava giornata in uno stadio piacentino sold out come ai tempi della Serie A. Sul Piacenza hanno pesato i troppi punti lasciati per strada ed un finale di campionato entusiasmante, ma la squadra è arrivata davvero con la spia della riserva accesa.
Porcari e soci entreranno ora in gioco nella fase nazionale dei play off, ovvero nel penultimo turno. Obiettivo promozione per nulla compromesso, ma sicuramente il morale potrebbe risentirne vista l’amarezza e la fatica messa per arrivare a lottare per la promozione fino all’ultima giornata.
Ai biancorossi, al “Franchi”, bastava pareggiare per guadagnarsi il paradiso visto che capitan Silva e compagni erano avanti negli scontri diretti. E invece la Dea Eupalla ha deciso che questo non deve essere l’anno (calcistico) di Piacenza.
Un capitolo a parte, negativo, merita la Pro Piacenza.
La squadra rossonera quest’anno ha avuto un campionato tormentato sin dall’inizio, tanto che da metà agosto la squadra è entrata in crisi. Non di risultati, ma di gestione: stipendi non pagati, fideiussioni non presentate, acqua calda non pagata, affitto dello stadio non pagato. Ergo messa in mora, giocatori sfrattati dalle case affittate al club ed una situazione grottesca e amara allo stesso tempo. Solo che l’agonia della squadra rossonera, che compie cento anni come il Piacenza quest’anno, ha toccato l’apice due volte in stagione: contro Alessandria e Cuneo.
Nel primo caso, nonostante il warm up pre partita, il 20 gennaio scorso, la Lega di Serie C decise di non far disputare la partita perché la “Pro” avrebbero giocato con undici ragazzini del settore giovanile (e altri non specificati) e non la prima squadra, con il risultato (finale) che tutti avrebbero potuto immaginare.
Nel secondo la stessa Lega, nella settimana precedente il match, disse che la Pro Piacenza se non si fosse presentata a Cuneo sarebbe stata esclusa dal torneo. Affinché non venisse esclusa, avrebbe dovuto soddisfare due semplici requisiti: presentarsi con un allenatore e con sette giocatori di movimento più il portiere. Solo così, sabato 17 febbraio alle ore 14:30 la squadra sarebbe scesa in campo. Un normalità per ogni squadra, il minimo sindacale ma… non per la Pro Piacenza.
I rossoneri scesero in campo, ma è sul “come” che è infuriata la polemica: l’allenatore era un giocatore della squadra (un classe 2000, anche capitano della squadra), la squadra era composta giusto di otto elementi nati tra il 2000 ed il 2002 con l’ingresso poi in campo di un massaggiatore nella parte di un calciatore. E ciò che non successe al “Garilli”, successe al “Paschiero”: una figuraccia clamorosa per la squadra piacentina. Motivo? La squadra di Cazzola si impose per 20-0, realizzando la differenza reti più ampia in una partita di calcio in Italia (forse anche d’Europa). La notizia fece il giro del Paese e d’Europa.
L’indignazione fu fortissima e il risultato il giorno dopo non fu omologato perché solo quattro giocatori sugli otto schierati avevano i requisiti per giocare: Pro Piacenza definitivamente esclusa del campionato e tre punti assegnati a tutte le squadre che avrebbero incontrato la squadra piacentina da quel momento in avanti e punti tolti a chi l’aveva nel frattempo affrontata. Tipo il Piacenza.
E pensare che ad inizio stagione la Pro Piacenza non era una brutta squadra, potendo contare su giocatori esperti (Ledesma e Nolé) e giocatori giovani di cui si diceva un gran bene. Tutto svanito. E pensare che la squadra rossonera, sotto la guida di Giuliano Giannichedda, aveva vinto le prime quattro partite del campionato.
Una brutta figura per una città i cui abitanti mai avrebbero immaginato di vedere due squadre della loro città giocare un giorno non solo tra i professionisti, ma anche nello stesso girone e di usare il “Garilli” a partite alternate come avviene con i derby della Madonnina o del Colosseo.
Piacenza non solo è una piazza innamorata di calcio, ma anche di altri sport come la pallavolo maschile e femminile e la pallacanestro, con tre società che hanno dovuto o “chiudere” o trasferire il titolo sportivo in altre città. Una città di provincia, comunque, che vive di sport e passione.
Il Piacenza in Serie A ha fatto la storia, contando otto campionati (miglior piazzamento due dodicesimi posti) e lanciato giocatori del calibro Piovani, Caccia, Luiso, Filippo e Simone Inzaghi, Pepe e con Dario Hubner, capocannoniere nella stagione 2001/2002, al pari con David Trezeguet. Poi una lunga rincorsa verso il calcio che conta dopo il fallimento dell’estate 2012 che ha portato il “Piace” a ripartire dalla Serie D. Ed il gol di Mancosu al 88′ contro la Carrarese ha spezzato i sogni di gloria della squadra emiliana e dei 3mila tifosi partiti per andare ad assistere al match promozione del “Franchi”.
La Pro Piacenza ha giocato il suo primo campionato da società professionistica nella stagione 2014/2015 ed è stata per tre stagioni la prima squadra di Piacenza. Il primo derby cittadino è stato disputato il 3 dicembre 2017 e si è chiuso sull’1-1. Se il “Piace” ha un pedigree, la “Pro” era al suo quarto campionato professionistico e oggi si trova radiata dal calcio.
Quel 20-0 ha gridato rabbia: è stato considerato il punto più basso del nostro calcio, nell’anno in cui è arrivato in Italia un giocatore del calibro di CR7. Una pagina vergognosa che ha visto in campo per 90 minuti giocare sette ragazzini ed un uomo che di professionistico calcisticamente non aveva nulla, ma utile solo per non vedere esclusa la loro squadra. Una situazione paradossale. Addirittura, per far capire come è il livello di sportività in Italia, il giovane attaccante marocchino del Cuneo, Hicham Kanis, autore di ben sei reti, dopo la partita ed in serata si è dovuto sorbire anche diversi insulti (di cui molti di cattivo gusto) sui suoi profili social.
E pensare che la città di Piacenza ha rappresentato una pagina storica del nostro calcio, con una squadra che ha giocato sei stagioni solo con giocatori italiani alla faccia della “legge Bosman” senza mai retrocedere in Serie B.
Riuscirà il Piacenza a tornare in B? Appuntamento con le finali dell’8/9-15/16 giugno, mentre per quanto riguarda la Pro Piacenza la sua radiazione la esclude per sempre dal calcio nazionale e non si sarà più il derby piacentino che nessuno pensava un giorno potesse disputarsi.
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