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·14 aprile 2019
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·14 aprile 2019
di Simone Balocco –
I derby non sono solo stracittadine, ma anche confronti fra squadre di città differenti (non per forza vicine) e incontri fra Nazionali: ecco quindi il “derby delle Alpi” tra l’Italia e la Francia, il derby iberico fra Spagna e Portogallo, il derby scandinavo fra le cinque Nazionali che hanno sede in quello spazio d’Europa settentrionale, i derby britannici e così via. Il calcio ha avuto anche effetti sulla vita di una Nazione: dalla ginocchiata di Boban in quel Dinamo Zagabria-Stella Rossa Belgrado al “Maracanazo” del 16 luglio 1950 alla vittoria della Germania Est contro la “Ovest” nel Mondiale del 1974.
Molti non sanno che il calcio è stato davvero il casus belli di una guerra fra due Nazioni centroamericane, El Salvador ed Honduras, passata alla storia come la “guerra del calcio” che insanguinò i due Paesi tra il 14 ed il 18 luglio 1969. Ma facciamo un passo in avanti e andiamo al 1970. La nona edizione dei campionati del Mondo è stata disputata in Messico: per la prima volta, la kermesse iridata usciva dai binari Europa-Sud America ed il Paese tricolor avrebbe ospitato la manifestazione. Manifestazione vinta poi dal Brasile in finale sull’Italia.
La CONCACAF (creata nel 1961), la Federcalcio Centro-Nord americana, qualificava al Mondiale una squadra e aveva visto prevalere sempre e solo il Messico, la squadra più forte di quella parte di Mondo. Il fatto che Città del Messico avrebbe ospitato il Mondiale, lasciava la possibilità ad un’altra Nazionale di potersi qualificare. Alla fase di qualificazione vi presero parte dodici squadre divise in quattro gironi da tre squadre ciascuno: le vincitrici dei quattro gironi avrebbero giocato le semifinali e le due vincenti la finale. Chi avrebbe vinto, avrebbe staccato il pass per il Mondiale.
Il gruppo 1 comprendeva Stati Uniti, Canada e Bermuda; il gruppo 2 Haiti, Guatemala e Trinidad Tobago; il gruppo 3 Honduras, Costa Rica e Giamaica; il gruppo 4 El Salvador, Guiana olandese e Antille olandesi. Le quattro semifinaliste furono Stati Uniti, Honduras, El Salvador e Haiti. Di queste, solo gli Usa avevano già preso parte ad un Mondiale (tre volte, l’ultima nel 1950). Le semifinali furono Stati Uniti-Haiti e Honduras-El Salvador. La finale fu Haiti-El Salvador, con la squadra biancoblu a prevalere dopo la “bella” e giocare il primo Mondiale della sua storia.
Fin qui, i fatti calcistici. Passiamo ai fatti politici e il mappa mondo si ferma su Honduras e El Salvador, due Stati confinanti da sempre rivali e con gli stessi colori della bandiera (a righe orizzontali bianco blu con in mezzo cinque stelle uno e l’Escudo de Armas l’altro), lo stesso tipo di governo (autoritario) e gli stessi problemi economici (entrambi poveri). Da sempre i rapporti tra i due Paesi erano tesi e l’esito della semifinale di qualificazione al Mondiale fu devastante per i due Paesi. La rivalità era duplice e risaliva fin dalla loro indipendenza: El Salvador lamentava che l’Honduras avesse più chilometri di coste (quindi di controllo) sul golfo di Fonseca, un’insenatura nell’Oceano Pacifico molto importante per le rotte commerciali e luogo protetto dagli uragani che in quella parte di America erano tanti e devastanti; l’Honduras si lamentava del fatto che El Salvador godeva di maggiori aiuti economici americani tramite l’Organizzazione degli Stati americani, una sorta di CEE creata da Washington comprendente i due Paesi in questione oltre a Nicaragua, Guatemala e Costa Rica. Scopo: la creazione di sedi di multinazionali americane in quei territori caratterizzati da spazi molto larghi e tanta manodopera a basso costo. Dei cinque Stati, El Salvador era quello più avanzato ed abitato, ma con più disoccupazione a causa delle famiglie latifondiste e delle multinazionali. El Salvador fu il Paese dei cinque che godette di più soldi da Washington, tanto da diventare in poco tempo ricco e favorendo un boom demografico, che portò ad una eccedenza di manodopera e scarsità di terre da lavorare perché in mano alle poche famiglie latifondiste locali. L’Honduras era meno abitato, più grande ma con molte più terre libere ma con la spada di Damocle delle multinazionali americane (sopratutto quelle operanti nella coltivazione delle banane).
Onde evitare un aumento delle tensioni sociali, Tegucigalpa e Salvador si accordarono nel 1967 per firmare una Convenzione bilaterale sull’immigrazione: 300mila salvadoregni avrebbero potuto transitare, risedere e lavorare senza nessun problema in Honduras. I contadini honduregni non digerirono mai questa decisione politica, tanto che questi subirono la scelta dei due governi e scesero in piazza chiedendo aumento del salario.
Il sindacato contadino honduregno fece pressioni sul Ministero dell’Agricoltura e nell’aprile 1969, a meno di due anni dalla firma della Convenzione, il governo decise di togliere le terre ai salvadoregni e ridarle a quelli honduregni: il presidente-dittatore Lopez Arellano fece tornare da dove erano venuti tutti i salvadoregni, con la particolarità che ora nel loro Paese natio non avevano più nulla. Siamo nel maggio 1969 ed i rapporti diplomatici fra i due Stati erano al limite del crollo e montò la protesta anti-Honduras. Come se non bastasse, ecco la doppia semifinale di qualificazione al Mondiale: erano previste due partite di andata e ritorno e, in caso di parità, “bella” su campo neutro.
La partita di andata si giocò a Tegucigalpa, capitale dell’Honduras, all’”Estadio Nacional”, l’8 giugno. Vista la situazione, la formazione salvadoregna programmò di rimanere nella capitale rivale il meno possibile. Peccato che la notizia si diffuse e migliaia di honduregni si ritrovarono sotto l’hotel che ospitava la Nazionale cuscatleca disturbandola tutta notte con insulti e facendo il più possibile rumore per impedirle il sonno.
In un clima teso ed ostile, l’Honduras si impose per 1-0 con il gol di Leonard Wells al minuto 89. Il primo round fu ad appannaggio dei padroni di casa ed il match di ritorno fu fissato per il 15 giugno successivo.
In quella settimana successe un qualcosa di inaspettato: i funerali di Stato di Amelia Bolans, 18 anni. La ragazza era davanti alla tv quando vide la sua Nazionale perdere e per la disperazione si suicidò con un’arma del padre, ufficiale dell’esercito. La notizia fu usata a scopo propagandistico da El Salvador e la ragazza divenne oggetto di massimo rispetto e di vendetta (sportiva) del match casalingo.
Il 15 giugno la Nazionale honduregna seguì l’iter di El Salvador: arrivo a Salvador, soggiorno il più breve possibile, match e ritorno immediato in Patria. In questo caso andò peggio: non solo la notizia si diffuse e migliaia di persone si radunarono sotto l’hotel che ospitava la squadra e volarono insulti e il rumore fu assordante, ma furono lanciate pietre con le finestre delle camere e l’accompagnatore della squadra honduregna rimase ucciso a sassate dalla folla: era un salvadoregno. Sull’hotel venne lanciato di tutto e i giocatori si rifugiarono sul tetto e poi furono trasferiti.
Il pomeriggio allo stadio l’ambiente fu ancora più ostile: cori, insulti, litigi e bandiere honduregne bruciate. In più, la squadra fu scortata dall’esercito all’”Estadio de la Flor Blanca”. La partita fu a senso unico: 3-0 per i padroni di casa. Ergo: la squadra che avrebbe partecipato alla finale contro Haiti sarebbe uscita dallo spareggio in campo neutro. Avevano segnato Martinez (doppietta) e Acevedo . La “bella” si giocò il 27 giugno allo stadio “Azteca” di Città del Messico. La capitale messicana a partire dal giorno prima era in un clima di paura visti i precedenti tra le due squadre: oltre 5mila poliziotti furono posizionati dentro il grande impianto calcistico per tutelare l’ordine pubblico.
Il match si concluse al 90′ sul punteggio di 2-2 e si resero necessari i tempi supplementari: decise l’incontro il gol di Rodriguez per El Salvador. Haiti-El Salvador sarebbe stata la finale della CONCACAF: vinse El Salvador che si qualificò per il suo primo Mondiale di calcio. Nonostante il grosso dispiego di forze, Città del Messico divenne un campo di battaglia tra honduregni e salvadoregni, ma il peggio doveva ancora arrivare per i due paesi. Il gol di Rodriguez pose fine alle relazioni diplomatiche tra i due paesi: la guerra era (quasi) inevitabile. E guerra fu.
Ebbe inizio quella che è passata alla storia come la “guerra del calcio”: dal 14 al 18 luglio i due Paesi compirono operazioni militari mirate. El Salvador invase i confini dell’Honduras e nonostante la brevità degli scontri si contarono ben 6mila vittime e decine di migliaia di feriti. Questa guerra è stata una delle più crude di tutta la Guerra fredda. In quei quattro giorni ci furono operazione militari e anche bombardamenti aerei. El Salvador aveva attaccato per primo perché voleva salvaguardare i cittadini ed i confini con i rivali.
Quel conflitto durò per un totale di 100 ore di combattimento: la guerra terminò anche perché i due Paesi, molto poveri, non potevano permettersi una guerra più lunga, impegnando anche mezzi militari e armi molto obsolete fornite, ai tempi ad entrambe, dagli USA. L’OSA chiese il cessate il fuoco e sanzioni verso i due Paesi in caso di prosecuzione del conflitto. Le due Nazioni firmarono un trattato di pace il 30 ottobre 1980, ponendo fine alle diatribe. Al termine della guerra, i due leader (Oswaldo López Arellano per l’Honduras, Fidel Sánchez Hernández per El Salvador) dissero che grazie a quella guerra, per una volta, si era parlato di due Stati di cui nessuno fino a quel momento aveva sentito parlare o ne conoscesse l’esistenza.
Troppe volte la propaganda di regime ha usato lo sport (e anche il calcio) per dimostrare al Mondo la forza di un Paese. A noi interessa sapere che l’attaccante salvadoregno Mauricio Rodríguez, in una calda serata di fine giugno del 1969, aveva segnato un gol storico in un derby tra due Nazioni tanto vicine quanto distanti. Quel gol permise alla sua Nazionale di andare a giocarsi la finale di qualificazione e poi staccare il pass per il primo dei suoi due Mondiali. L’Honduras a oggi ha giocato ben tre Mondiali e addirittura a Spagna 1982 si qualificò con l’Honduras. Non furono inserite nello stesso girone e se ne tornarono a casa già dopo tre partite.
La Nazionale bicolor e quella cuscatleca si sono affrontate altre volte dopo quel caldo 1969, ma non ci furono più venti di guerra. Era tornato un classico derby fra Nazioni confinanti. Per fortuna.