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·12 ottobre 2025

Exor, da Magneti Marelli a La Stampa: il "divorzio" da Torino vale 20 miliardi

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«Noi costruiamo automobili, le costruiamo in Italia e rappresentiamo Torino». Con queste parole, nell’agosto del 1995, Gianni Agnelli riaffermava il legame indissolubile tra la Fiat, la sua famiglia e la città, presentando le nuove Fiat Bravo e Brava. All’epoca Torino era la capitale dell’industria nazionale e gli Agnelli la dinastia che la guidava. Oggi, trent’anni dopo, la holding di famiglia Exor — diretta da John Elkann — sembra pronta a tagliare uno degli ultimi fili che la univano al capoluogo piemontese, valutando la vendita dello storico quotidiano La Stampa.

L’ipotesi, ricorda Il Corriere della Sera, si aggiunge a una lunga serie di operazioni che negli ultimi anni hanno trasformato profondamente la Torino industriale: dalla cessione di Comau e Iveco alla dismissione di spazi simbolo come il Lingotto, la fabbrica Maserati e Magneti Marelli. Sul tavolo ci sarebbero anche le cliniche Lifenet (ex mutua Fiat) e Cemedi, oltre al centro congressi del Lingotto. Un addio dal valore complessivo di quasi 20 miliardi di euro, che chiude un capitolo secolare della storia industriale italiana.


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Il distacco degli Agnelli-Elkann da Torino, paradossalmente, affonda le radici in una vecchia contesa per un’acqua francese. Nel 2009 John Elkann, succedendo a Gianluigi Gabetti alla guida delle finanziarie di famiglia (Ifi e Ifil), decide di unificarle sotto un nuovo nome: Exor. Quel nome apparteneva a una società francese, protagonista negli anni ’90 di una battaglia di Gianni Agnelli per l’acquisizione di Perrier, poi finita nelle mani di Nestlé. Exor rimase però alla famiglia e fu rilanciata quindici anni fa come cassaforte degli investimenti del gruppo.

Quando Elkann assunse la presidenza di Exor, nel 2009, la finanziaria gestiva tra gli 8 e i 10 miliardi di euro. Oggi il patrimonio netto è quadruplicato, toccando quota 40 miliardi, grazie alla crescita di marchi come Ferrari, a investimenti in società come Philips e Louboutin e a una serie di cessioni strategiche. Gli anni di Sergio Marchionne segnarono la rinascita industriale: Fiat si salvò dal fallimento e, attraverso l’acquisizione di Chrysler, si trasformò in un gruppo globale, FCA. Nel frattempo, la Juventus dominava in Serie A ed Elkann rilanciò lo stabilimento di Mirafiori investendo 2 miliardi per la 500e.

Con la scomparsa di Marchionne nel 2018, Exor cambiò pelle. Da holding industriale diventò sempre più un family office. Nacque Vento, il fondo di venture capital, e a Torino prese forma l’Italian Tech Week, evento di punta dell’innovazione. Ma, parallelamente, iniziarono le dismissioni: nel 2019 Magneti Marelli, storico produttore di componenti, fu venduta per 6,2 miliardi a Calsonic Kansei. Nello stesso periodo arrivò la fusione tra FCA e PSA, che diede vita a Stellantis, con sede legale in Olanda. Gli azionisti FCA incassarono oltre 8 miliardi, di cui 3 destinati alla famiglia Elkann.

L’indissolubile legame tra la città e la dinastia si allentò. Il Lingotto — storico simbolo della Fiat — fu venduto a Reply, mentre lo stabilimento Maserati di Grugliasco finì sul mercato immobiliare. La produzione di Mirafiori crollò, e nel 2024 arrivò la cessione di Comau, pioniera dell’automazione industriale, a un fondo di private equity.

Intanto, anche Iveco è passata di mano, venduta a Tata Motors e Leonardo per 5,5 miliardi. Ora sul mercato ci sarebbero La Stampa, il centro congressi del Lingotto, Villa Frescot e le cliniche Cemedi. Del glorioso impero costruito dagli Agnelli a Torino restano soltanto Mirafiori e CNH.

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