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·17 giugno 2025
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Francesco Farioli, attualmente alla ricerca di una panchina dopo aver allenato l'Ajax, ha rilasciato un'intervista ai microfoni di Cronache di Spogliatoio. Di seguito la versione integrale.
HATO E IL CAMBIO DEI RUOLI - Hato per me è un giocatore da Premier League o Real Madrid. Io credo che fai fatica a giocare difensore centrale ad altissimi livelli se sei 1,81. Nelle analisi che abbiamo fatto ad inizio stagione, l’Ajax l'anno scorso aveva preso in campionato 60 gol, forse anche qualcosa in più. Tu capisci che se vuoi competere per le prime posizioni… Uno dei problemi che avevamo riscontrato erano alcune letture da parte dei centrali difensivi e un grosso problema sui terzini: proprio l'attitudine dei terzini a difendere e anche ad attaccare. E quindi in questo gioco di incastri una delle prime cose che ho avuto chiara è il fatto che Hato dovesse giocare terzino sinistro. Alle caratteristiche base. È un giocatore che ha grande qualità tecnica, grande fisicità, quindi anche capacità di gestire l'uno contro uno pur essendo giovanissimo. È un giocatore veloce e rapido e comunque avendo giocato difensore centrale pur non avendo grandissima attitudine difensiva comunque ne aveva… Porta con sé quelle letture. Ne aveva sicuramente un pochino di più rispetto a chi giocava là prima di lui. L'altra lettura, e questa è mia personale, è che ha creato anche un po' di visioni diverse all'interno del club, perché per la squadra lui era un difensore centrale. Io credo che ad altissimi livelli se sei 1,81 fai fatica a giocare... Lui per me è un giocatore da Premier League o Real Madrid, perché ha tutto davanti a sé. Oggi è nella rosa della Nazionale “A” olandese e io penso che lui possa fare in certi momenti il difensore centrale, ma la sua carriera io la vedo qualche metro più avanti. Da centrale a tre idealmente, ma la vedo più come terzino in una squadra che fa un certo tipo di calcio. E lui per me ha fatto: c'è voluto un pochino di tempo per convincere sia lui che il suo agente, perché poi è stato il tuo lavoro lì poi... E poi, come ho detto, la società lo vedeva difensore centrale. Perché chiaramente per giocare in Olanda probabilmente è un giocatore che su 34 partite, 20 partite riesce a farle da difensore centrale senza nessun tipo di problema. Ha qualità nell'uscita palla e ha capacità di copertura della profondità, ma in tutto quello che poi diventa duello corpo a corpo con gli avversari, secondo me di un livello fisico e tecnico diverso, secondo me lì non c'è. Credo che non fosse la sua mattonella ideale. E quindi sono partito veramente il primo giorno, l'ho preso e gli ho parlato in ufficio. Gli ho spiegato il perché, gli ho spiegato dai video che avevo visto, da come giochiamo noi, perché poi chiaramente un conto è se vuoi un terzino che faccia la punta esterna oppure nel nostro modo un pochino più ibrido di giocatore che gioca tanto dentro il campo, che collega il gioco, che comunque dà un contributo offensivo e che difensivamente può darti un certo tipo di agevolazione. E lui, ti ripeto, ci ha messo 20 giorni un po' a collegarsi, poi nelle prime due partite ufficiali ha fatto gol, ha trovato una gratificazione chiara. Sarebbe interessante chiedergli oggi dove vorrebbe giocare. Che ruolo fa proprio.
ALLENARE IN ITALIA
La verità è che per me il fatto di aver lavorato in tanti campionati diversi mi ha dato, credo, una grande flessibilità da questo punto di vista e, ripeto, mi sento molto a mio agio nel pensare di lavorare poi in un nuovo campionato che non ho mai fatto.
Ti cito una frase che ha detto un tuo ex giocatore interpellato diciamo sulla tua figura, ha detto: "in Italia si pensa che l'esperienza si possa fare solo da noi". Un percorso come il tuo viene, non poco capito, però magari ci si affida molto a quella che è l'esperienza in Serie A in Italia rispetto a dei percorsi un po' più multiculturali, passami il termine. Come la percepisci?
Credo che sia la stessa cosa che succede anche per i giocatori, no? C'è sempre un po' il pensiero che se un calciatore non ha giocato in Italia… Allora, io penso che il calcio oggi, ripeto, a tutti livelli, soprattutto quando poi fai le competizioni europee e ti porti a degli stimoli e dei confronti tattici, psicologici, di pressioni... Ma questo anche un po' in Francia, dove c’è la volontà di avere allenatori francesi, in Olanda di avere allenatori olandesi, e un po' in Italia insomma di avere allenatori italiani o che hanno lavorato in Italia. Credo che questo sia per certi versi comprensibile perché è molto diretta la connessione: “ha già lavorato qua, conosce”. E questo è importante. Infatti nei miei staff ho sempre voluto una persona che comunque conoscesse il campionato e che avesse avuto esperienza. Secondo me agevola molto perché comunque ti aiuta a capire che dove vai a giocare, il tipo di campo, il tipo di ambiente che vai ad affrontare. La verità è che per me il fatto di aver lavorato in tanti campionati diversi mi ha dato, credo, una grande flessibilità da questo punto di vista. E, ripeto, mi sento molto a mio agio nel pensare di lavorare in un nuovo campionato. Ho avuto l'opportunità di lavorare già in tre campionati diversi, e comunque la Serie A di averla fatta da collaboratore in Italia per tre anni. Comunque c'è una certa conoscenza di certe dinamiche. Però ecco, secondo me, quello che poi conta più di tutto, ripeto, questo sia per gli allenatori ma anche per i giocatori, è l'apertura mentale. Io credo che per un allenatore quando si va in un contesto nuovo, la verità è che se riesci a portare dentro l'80% di quello che tu hai in testa è un grande risultato, e poi quel 20% è la capacità di adattarsi e la capacità di collegarsi con il nuovo ambiente, con le nuove dinamiche, e quel 20% è quello che ti fa raggiungere o non raggiungere gli obiettivi, dal mio punto di vista. Avere uno staff con tanti passaporti ed essere molto aperti a integrare figure già in società, fino ad ora, quanto meno, ha creato sempre delle dinamiche molto interessanti, molto stimolanti.
LE PAROLE DI SLOT
Ci siamo scambiati qualche messaggio. L’ho ringraziato per le sue parole, e abbiamo scambiato quattro chiacchiere. Si è rivelata una bellissima scoperta.
Mi hanno colpito molto le parole che Slot ha detto su di te: “Hai un ottimo modo di liberare l’uomo”, quindi comunque che conosce molto bene il tuo lavoro. Ma soprattutto ti ha riconosciuto di portare tanti uomini a creare occasioni nell’ultimo terzo di campo. Cosa ti lascia sapere che comunque un tecnico che parte dalle tue basi riconosce quel tipo di lavoro?
Mi fa piacere perché vuol dire che ha visto le partite. Diciamo che è stata una valutazione, consentimi di dire, con un po’ più di cognizione di causa rispetto a qualche altro commento che mi è stato fatto. Il calcio è bello per questo e crea chiaramente opinione perché spesso tutto va per sentito dire. Le parole di Slot fanno sicuramente piacere: conosce il campionato, i livelli e i valori delle squadre, e credo che abbia sintetizzato in poche parole quello che è abbiamo cercato di fare dal primo giorno. Ripeto, fa piacere e riconosce anche la grandezza di un allenatore come lui sia dal punto di vista delle conoscenze ma anche umano. Quello che ha fatto sia in Olanda che quello che ha fatto quest’anno in Inghilterra credo parlino da sole per la persona e l’uomo che è.
COME SI LAVORA SUGLI INFORTUNI
È un fattore fondamentale, i giocatori sono asset del club e ormai anche il recupero è diventato un lavoro.
Leggendo i dati avete fatto il 25% in meno di infortuni rispetto alla stagione precedente giocando di più. Come si lavora sulla prevenzione e sul recupero dagli infortuni?
In primis l’allenatore ci deve mettere attenzione, quindi esporlo come uno dei punti chiave per raggiungere un risultato sportivo, perché quello che ci dicono gli studi recenti è che avere giocatori disponibili o avere giocatori in infermeria crea una differenza di risultati enorme, quindi mi piace scegliere ed essere io quello che sbaglia la formazione e non avere giocatori ‘dal dottore’. È un mix di aspetti che nella performance del giocatore c’è chiaramente l'impatto dell’allenamento, che come ho detto a stagione in corso il tempo si riduce veramente a minuti in campo. Una parte chiaramente collettiva e poi di avere i giusti supplementi, quindi le integrazioni di lavori, a volte, anche senza palla, lavori fisici, lavori compensatori (quindi tutto quello prima dell’allenamento e tutto quello che è dopo). In alcune cose devo essere anch'io aperto a togliere il lavoro di campo per diminuire il carico. E poi c’è questa parte che è 'l'allenamento invisibile’ che è tutto ciò che ruota intorno: quindi quello che i ragazzi mangiano, come recuperano, come dormono, come psicologicamente riescono a disconnettere e riconnettere velocemente. Per me tutti questi aspetti qua sono quelle cose che ‘mi fanno diventar matto’, nel senso positivo, perché secondo me dove si può ancora far tanto la differenza è in questi aspetti qua e se prima, appunto, tra una partita e l’altra c’erano 7 giorni per tollerare un recupero psicologico. Oggi devi lavorare per recuperare: vasche di ghiaccio, sauna, mangiare in certi spot, mangiare certe cose e tenerne lontane altre. L’altro aspetto è quando si può dare l’opportunità di disconnettere e riconnettere, una cosa che per me fino a qualche anno fa erano come una follia sono le pause nazionali: hai tanti giocatori fuori e noi abbiamo dato parecchi giorni liberi al gruppo, e con i ‘nazionali’ abbiamo cercato di inventarci i giorni liberi durante la stagione. Faccio l’esempio di Šutalo: lui ha fatto l’europeo, è orientato e a metà settimana ha fatto la prima amichevole e dopo 5 giorni ha giocato la prima partita ufficiale e da lì non si è più fermato. E lui ha giocato con noi oltre 4500 minuti, più con la Nazionale ha sempre giocato tutte le partite. Con noi ne ha fatte 49, e aggiungi altre 10-12 con la Nazionale e adesso sta giocando ancora.
HENDERSON ED ESSERE MANAGER
Mi ha chiesto all’inizio della stagione ‘Come vuoi che ti chiami: manager o gaffer?’. E io: ‘Come vuoi Jordan’.
Nel post di saluto di Henderson l’ultima frase è ‘Thank you Gaffa’. Che è il diminutivo di ‘Gaffer’ che è un po’ il ‘mister’ ma per i manager in Inghilterra. Ti ha riconosciuto il fatto che sei un manager lui che ha lavorato con grandissimi allenatori, ti ha dato anche un po’ la consapevolezza di arrivare anche a calciatori così importanti?
Nella mia esperienza in tutte le squadre dove sono stato con i giocatori di esperienza, giocatori che hanno avuto un passato di un certo livello, ho sempre avuto un rapporto super. come sempre credo nelle relazioni e nello stare insieme a certi giocatori e persone, la cosa fondamentale è sempre quella di creare un rapporto diretto, un rapporto vero che va a connettere prima le persone e poi quello che è il ruolo che ricopriamo. È sempre stato un po’ così ed è stato così anche quest’anno. Chiaramente credo che prima venga alla persona e poi l’allenatore dimostrare che quello che ha in testa può funzionare e portare beneficio alla squadra e all’individuo.
📸 MAURICE VAN STEEN - AFP or Licensors