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·7 giugno 2021

Il calcio birmano è marcato stretto dalla dittatura

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[Articolo uscito su Avvenire il 03/06/2021]

Il 28 maggio scorso allo stadio Fuku-Ari di Chiba, in Giappone, si è giocata la partita tra la nazionale locale e quella di Myanmar, match valido per la seconda giornata del Gruppo F delle qualificazioni asiatiche ai mondiali maschili di calcio del 2022. I nipponici hanno vinto per 10-0 in un match a senso unico.


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Un risultato che non ha visto nessuna celebrazione particolare, perché il match si è svolto in un contesto a dir poco surreale, simile a un film di Buñuel. L’elenco dei convocati della nazionale birmana per questa e per le altre due partite che si giocheranno nei prossimi giorni, contro Tajikistan e Kyrgyszstan, è rimasto sconosciuto fino a poco prima della partita e c’è stato il rischio che la nazionale dei leoni asiatici non si presentasse nemmeno perché era certa di raggiungere il numero necessario di giocatori richiesto dalla FIFA per disputare partite ufficiali. Sono stati 10 i titolari che hanno rinunciato alla convocazione pur di non rappresentare la giunta militare, una scelta che fotografa bene quella che è la situazione in Myanmar. Da una parte l’oligarchia e dall’altra un popolo che non è disposto a rimanere in silenzio.

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A guidare la protesta è Kyaw Zin Htet, portiere di lungo corso della nazionale, e oggi uno dei più importanti leader delle manifestazioni che stanno attraversando il paese. «Io continuerò a dire la mia finché avrò voce e continuerò a lottare per quello in cui credo», queste le dichiarazioni rilasciate ai media occidentali prima del silenzio mediatico imposto dal regime, che ha coinvolto anche la federcalcio birmana, il cui ultimo post risale al 27 marzo scorso e ricorda la morte sotto il fuoco dei militari di Chitbo Bo Nyein, 21enne capitano dell’Hanhawaddy United.

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Per tutti i novanta minuti della partita fuori dallo stadio si è sentito nitidamente il coro: «Noi non supportiamo i giocatori legati alla dittatura». A gridarlo un gruppo di esuli birmani, che hanno manifestato ininterrottamente tenendo ben in vista tre dita unite, simbolo delle protesta mutuato dalla trilogia cinematografica di The Hunger Games. Qualcuno dovrebbe spiegarci il senso di giocare in queste condizioni. Anche la dittattura ha le sue voci all’interno della nazionale e a guidare questo piccolo gruppo c’è Antoine Hey, ct e allenatore tedesco giramondo con esperienze in Bundesliga con lo Shalke 04 e in carica dal 2019.

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Nella conferenza stampa pre-partita ha dichiarato: «Noi abbiamo rispettato le regole della FIFA, e queste proteste di cui tanto si parla non hanno nulla a che fare con noi. I regolamenti sono molto chiari sul fatto che non ci è permesso fare alcun tipo di dichiarazione politica o religiosa e noi ci adatteremo.» Le sue parole conclusive suonano stranianti: «Anche solo pensare che qualcuno possa influenzare in qualche modo la selezione dei giocatori, lo stile di gioco o la formazione è irrispettoso per me come allenatore professionista». Hey ha dato la sensazione di un uomo che si è trovato in mezzo a qualcosa di terribilmente più grande lui, ma ha fatto una scelta chiara appoggiando la dittatura, mentre molti dei suoi ragazzi rischiano di pagare la propria opposizione, con il carcere o con la vita.

Giocare queste partite non ha senso e la FIFA dovrebbe intervenire bloccandole, perché la più grande tragedia per il popolo birmano non è tanto il rumore che fa il regime, ma il silenzio spaventoso del resto del mondo.

**ENGLISH VERSION***

On May 28 at the Fuku-Ari Stadium in Chiba, Japan, the match between the local national team and the Myanmar national team was played, a match valid for the second day of Group F of the Asian qualifiers for the 2022 World Cup for men. The Japanese won 10-0 in a one-sided match.

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Leading the protest is Kyaw Zin Htet, longtime goalkeeper of the national team, and today one of the most important leaders of the demonstrations that are crossing the country. “I will continue to have my say as long as I have a voice and I will continue to fight for what I believe in”, these are the statements made to Western media before the media silence imposed by the regime, which also involved the Burmese soccer federation, whose last post dates back to March 27 and recalls the death under fire of the military of Chitbo Bo Nyein, 21 year old captain of Hanhawaddy United.

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For the entire ninety minutes of the match, the chorus was clearly heard outside the stadium: “We do not support players linked to dictatorship”. It was shouted by a group of Burmese exiles, who demonstrated without interruption, holding up three joined fingers, a protest symbol borrowed from The Hunger Games film trilogy. Someone should explain to us the sense of playing in these conditions. Even the dictatorship has its voices within the national team and to lead this small group there is Antoine Hey, German coach and coach globetrotter with experience in the Bundesliga with Shalke 04 and in charge since 2019.

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In his pre-match press conference, he said, “We have complied with FIFA’s rules, and these protests that are being talked about so much have nothing to do with us. The regulations are very clear that we are not allowed to make any kind of political or religious statement and we will adapt.” His closing words sounded alienating: “To even think that anyone would influence player selection, playing style or lineup in any way is disrespectful to me as a professional coach.” Hey gave the feeling of a man who found himself in the middle of something terribly bigger him, but made a clear choice by supporting the dictatorship, while many of his boys risk to pay for their opposition, with prison or with their lives.

Playing these matches makes no sense and FIFA should intervene by blocking them, because the greatest tragedy for the Burmese people is not so much the noise that the regime makes, but the appalling silence of the rest of the world.

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