Riserva di Lusso
·14 aprile 2021
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In Argentina il talento calcistico, inteso come estro e capacità mistica di cambiare il corso delle cose, è sempre stato un qualcosa di democratico. I migliori calciatori dell’Albiceleste hanno sempre rappresentato, in maniera fedele, i tanti volti e le provincie del paese sudamericano. Ciò che invece si è sempre rivelato meno democratico è il potere calcistico, inteso come capacità sportiva, economica, sociale e politica per potersi affermare in maniera importante e vincere titoli.
A cavallo tra gli anni ’80 e ’90 erano forti le disparità fra Capital e Interior, ovvero fra squadre dei distretti di Buenos Aires e compagini provenienti da altri capoluoghi. Tale disparità sembra esser rimasta intatta, ad eccezione di qualche storico exploit. Chi invece ha saputo ridurre il gap con le storiche Grosos, ovvero con le squadre più importanti del paese, sono invece le società della provincia di Buenos Aires, in luoghi dove il calcio è passato in pochi anni da mero divertimento a percorso di caratura continentale ed internazionale.
Uno degli esempi più calzanti è sicuramente quello del Club Social y Deportivo Defensa y Justicia, storico campione uscente in Copa Sudamericana 2020, che in questo momento sta facendo sognare la sua tifoseria andandosi a giocare il ritorno di Recopa Sudamericana contro i brasiliani del Palmeiras. Oltre alle importanti soddisfazioni sul campo, che hanno sublimato il buon lavoro svolto dalla società, il Defe ha creato una vera e propria filosofia calcistica che tutti i suoi allenatori hanno saputo incarnare e far emergere negli ultimi anni.
La Calle Mitre era una strada di Florencio Varela, cittadina incastonata tra le periferie meridionali di Buenos Aires Avellaneda, Banfield e Lanus e la città di La Plata, a 38 km. Il club Defensa y Justicia nacque da queste parti nel 1935 da un’idea di un gruppo di amici, amanti del classico asado domenicale e del calcio di barrio, una vera tradizione del domingo argentino. Per ben 42 anni, fino al 1977, il club rimase un puro svago, in quanto pur disimpegnandosi con ottimi risultati in calcio e pallacanestro, non provò mai il salto verso i professionisti. Lo stemma si impregnò dei colori giallo e verde: fu in onore della compagnia di autobus cittadina, El Nuevo Halcon, proprietà del club che oggi si identifica proprio come El Halcon, il falco. Il nome, invece, resta un mistero non ancora svelato.
Dall’accordo con la AFA, il Defensa y Justicia iniziò il proprio percorso in Primera D, ultimo gradino del calcio argentino per i club affiliati alla federazione. Si tratta di uno dei casi più unici che rari in cui un club ha disputato almeno una stagione in tutte le serie minori per raggiungere la Superliga. Lo sforzo profuso in quegli anni porta il nome del presidente Norberto Tomaghello, che permise al Defensa di avere come quartier generale lo stadio che ancora oggi porta il suo nome. E che ha permesso al club di ottenere 5 promozioni senza mai retrocedere nei primi 30 anni di storia, creando poi una strada che tante piccole compagini stanno seguendo.
Ciò che ha sempre differenziato il Defensa y Justicia dalle compagini suoi simili per dimensioni sportive ed economiche è il fatto di aver sempre cercato nella maniera il termine unico per raggiungere traguardi importanti. Dalle parti di Florencio Varela, il modello da seguire era semplice: vincere a tutti i costi non è mai stata una priorità, anche quando le luci della ribalta risultavano lontane rispetto agli ultimi anni. Bisogna ottenere dei risultati passando dal duro lavoro e dallo sviluppo di una bellezza ed armonia sportiva tale da distinguersi.
Lo dimostrano le esperienze in gialloverde di giovani allenatori che hanno sfruttato un palco relativamente nuovo e l’affetto di un pubblico giovane e poco esasperato per mettere a fuoco le proprie idee tecnico-tattiche, senza vivere quotidianamente con le feroci critiche di altri contesti del paese. Diego Cocca, autore della storica promozione in Superliga del 2014, spiccò il volo a queste latitudini per poi riportare il Racing sul tetto più alto d’argentina.
Medesima sorte per Jorge Almirón: l’ex allenatore dell’Elche, dopo un’esperienza da queste parti, si spostò poco più a nord, a Lanus, centrando la vittoria di un campionato ed una Supercoppa con il club granata. Per passare poi dalla strana parabola di Ariel Holan, giunto dagli schemi dell’hockey su pista femminile (un movimento consolidato in Argentina) alle brillanti tattiche con il Defensa nel 2015, quelle che gli aprirono le porte per una grande come l’Independiente.
Giungendo poi al giocattolo perfetto del 2017 di Sebastián Beccacece, storico secondo di Jorge Sampaoli che seppe sfruttare quanto appreso negli anni per mettere a punto una squadra capace di stregare il paese a suon di possesso palla, triangolazioni ubriacanti, movimenti sincronizzati, difensori che escono in bello stile e pressing asfissiante, per un ibrido tra il più fondamentalista Bielsa ed il moderno Gallardo, che portarono i gialloverdi al secondo posto ed alla prima storica qualificazione in Copa Libertadores.
Tutte queste correnti e tutti questi uomini hanno arricchito la storia del Defensa passo dopo passo, creando di fatto quello che oggi viene visto come un modello calcistico un tempo percorribile solo da società poderose come Boca o River. Il Defensa “te juega de igual a igual”, alla pari, si sente dire spesso nei media argentini: senza mai temere nessuno. Anche per i calciatori è sempre valso il medesimo discorso: puntare sui giovani, spesso dimenticati dai più importanti settori giovanili del paese, per permettergli di crescere e diventare importanti dalle parti di Florencio Varela. Alcuni di essi si sono tolti soddisfazioni importanti, passando anche dalla nazionale argentina. La bontà di tale strategia è palese in sede di calciomercato: oggi sono tanti gli atleti che dai gialloverdi vengono venduti a squadre come River Plate o Independiente in patria o in Europa, come nel caso del difensore Lisandro Martínez, vendita record del club per 7 milioni di euro, all’Ajax, nell’estate 2019.
Dopo la parentesi dorata di Beccacece ed un breve passaggio di Mariano Soso, che in Argentina viene visto come un altro profilo rivoluzionario, nel gennaio 2021 fu la volta di Hernán Crespo alla guida del club. Valdanito, dopo la formazione italiana a Coverciano, era tornato in patria per imporsi da allenatore e raggiungere il suo sogno: sedersi sulla panchina di una delle grandi del paese. Ed anche se la prima esperienza, quella di Banfield, non fu soddisfacente, i biancoverdi avevano espresso un bel calcio, seppur con pochi risultati.
Leggermente frustrato dopo i sei mesi al Taladro, Crespo sapeva di aver bisogno di un posto in cui poter lavorare tranquillamente per mettere a frutto le proprie conoscenze. Lo trovò all’Halcón, con un profilo d’allenatore apparso quello giusto sin dalle prime battute. Se vincere non è la prerogativa assoluta dei gialloverdi, anche una sconfitta non deve offuscare il lavoro pregresso. Il 21 ottobre 2020, perdendo in pieno recupero contro i brasiliani del Santos, il Defensa y Justicia di Crespo resta fuori dalla Copa Libertadores.
L’ex allenatore del Parma, coadiuvato dalla società, ha trasformato l’amarezza di un traguardo storico sfiorato in volontà di ottenerne un altro: perché retrocesso in Copa Sudamericana, il suo Defe ha espresso il miglior calcio giungendo poi al trionfo del torneo in una particolarissima finale contro il Lanus, vinta al Mario Kempes di Cordoba per 0-3. Anche in questo caso, esprimendo un gioco bello da vedere, pimpante, aggressivo e ricco di giovani, quelli che Crespo ha incoraggiato nei momenti cruciali, anche durante gli allenamenti online causati dalla pandemia.
Oltre ad un trionfo storico che permette al Defensa di rivivere il sogno Copa Libertadores quest’anno, la squadra diede vita ad un pareggio al Monumental, contro il River Plate, che arrestò il percorso dei Millionarios in campionato e fu da esempio per tante piccole compagini: si può giocare contro le grandi in modo spigliato ed offensivo, mettendole in difficoltà piuttosto che scegliere di schierarsi sulla difensiva. Se quella di Beccacece fu definita una squadra di Posesión y Justicia, quella di Crespo, grazie ai risultati raccolti, è stata Justicia allo stato puro, con poca Defensa e tanto cuore.
Dopo un anno di successi, capendo di aver fatto la storia raggiungendo un traguardo impensabile poco tempo prima, Crespo lascia la guida del club nel febbraio 2021. Senza tentennare, il Defensa decide di ritornare su una vecchia fiamma, quel Sebastián Beccacece che sfiorò il titolo nel 2019. Si tratta dell’ultimo tabù che il club potrebbe sfatare: in Argentina, come un po’ in tutto il mondo, il ritorno di calciatori ed allenatori si è spesso rivelato controproducente.
Beccacece sembra non essersene mai andato, avendo ritrovato alcuni dei suoi vecchi pupilli ma soprattutto una mentalità identica rispetto a quella che egli stesso aveva trovato e poi profuso nella sua permanenza. Il Defensa è rimasto un referente del calcio spettacolo, ma ha fatto della continuità un pezzo forte: ad oggi il club è qualificato alla fase a gironi di Copa Libertadores 2021, è in lizza per qualificarsi alla fase finale della Copa de La Liga e si giocherà, domani notte a San Paolo, il ritorno della Recopa Sudamericana contro il Palmeiras (1-2 all’andata al Tomaghello l’8 aprile scorso). La banda di Varela continua a segnare ad occhi aperti, il falco continua a volare alto e ad ali spiegate.
Tante compagini, dal Lanus di Luis Francisco Zubeldía al Banfield di Javier Sanguinetti, stanno cercando di seguire le orme del Defensa. Segno di un modello ormai consolidato e reso valido dai risultati: niente male per un club che in 44 anni ha saputo invertire qualsiasi gerarchia di un calcio fino a poco tempo fa troppo oligarchico come quello argentino.
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