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·15 maggio 2020
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L’uomo che più di tutti ha segnato per sempre la storia del calcio. Il giocatore più completo di sempre, una perfetta macchina da gol dotato di una tecnica senza pari. Una leggenda della storia dei Mondiali in grado di far vincere al Brasile il suo primo titolo quando non aveva ancora diciotto anni. Qualsiasi parola sarebbe superflua e limitativa rispetto alla meravigliosa grazia e classe di Edson Aranantes do Nacimiento, per tutti semplicemente Pelé.
Nacque a Três Corações nello Stato di Minas Gerais da una famiglia umile dove il padre Dondinho fu anch’esso un giocatore sfortunato che dovette terminare anticipatamente la sua carriera a causa di un infortunio al ginocchio. Questo comportò un certo astio da parte della madre Maria Celeste per l’inizio di un’avventura sportiva anche da parte del figlio, ma il suo talento non poteva essere bloccato. Pianse con il padre a dieci anni per il Maracanazo del 1950 contro l’Uruguay e ripromise a se stesso che avrebbe dovuto far alzare quella maledetta Coppa alla sua nazionale. A sedici anni lasciò il piccolo Bauru per passare al più grande e blasonato Santos e iniziò una dei più fantastici sodalizi tra un giocatore e il suo club di appartenenza. Divenne immediatamente titolare e nella prima stagione tra i grandi segnò ben trentasei reti in sole ventinove partite. Ci si accorse immediatamente che ci si trovava difronte a un qualcosa di mai visto primo. Il 7 luglio 1957 debuttò con i Verdeoro in una gara della Copa Roca contro l’Argentina e, nonostante la sconfitta finale, andò subito in gol. Nella stagione seguente segnò il numero mostruoso di cinquantotto reti, un record in carriera, portando i bianconeri verso la vittoria del suo primo Paulistao. La convocazione per il Mondiale in Svezia fu la logica conseguenza e nonostante non avesse ancora compiuto diciotto anni ricevette subito il numero dieci. Dopo aver vissuto le prime gare in panchina entrò dalla terza partita contro l’Unione Sovietica e incantò il paese scandinavo e l’intero globo. Segnò reti di rara bellezza contro Galles, Francia (alla quale rifilò una tripletta) e soprattutto nella finale contro la Svezia quando una sua doppietta risultò decisiva per la vittoria 5-2. Il giovane Edson scoppiò in lacrime come un bambino abbracciato dal portierone Gilmar e la Seleçao per la prima volta nella sua storia si laureò campione del mondo.
La Pelé Mania era iniziata e il Santos divenne come gli Harlem Globetrotters iniziando a girare per il mondo per mostrare a tutti il proprio fenomeno. I bianconeri finirono per giocare anche tre partite alla settimana tra amichevoli e gare ufficiali, ma questo dispendioso stile di vita non limitò i trofei. Nel 1962 e nel 1963 la squadra vinse per due anni consecutivi la Copa Libertadores e soprattutto trionfò in Coppa Intercontinentale. Fu leggendaria la prima contro il Benfica dove Pelé stravinse la sfida a distanza con il suo alter ego europeo Eusébio. Dopo aver segnato una doppietta al Maracanã si migliorò ancora di più al da Luz andando in rete tre volte e disputando probabilmente la sua più grande prestazione in carriera. In quell’anno vinse anche il suo secondo Mondiale, ma un grave infortunio contro la Cecoslovacchia alla seconda giornata lo tenne fuori per le gare a eliminazione diretta. Negli anni ’60 non c’era giocatore al mondo che poteva paragonarsi a lui e nel 1961 segnò contro il Fluminense il leggendario “Gol de Placa“. Partì dalla prima area di rigore e iniziò a scartare come birilli gli attoniti rivali prima di battere il portiere Castilho. La magia e l’unicità di questa rete è dovuto anche dal fatto che solo chi era presente quel giorno allo stadio ha potuto apprezzare questa perla dato che non esistono filmati a riguardo. Dopo un Mondiale sfortunato in Inghilterra si riprese le luci della ribalta nel 1970 raggiungendo picchi straordinari. Supportato da una nazionale epica regalò capolavori di rara bellezza come la rete all’Italia in finale o il dribbling al portiere uruguaiano Mazurkiewicz senza toccare la palla. Un mito che avrebbe dominato la classifica dei migliori giocatori sudamericani, ma purtroppo il premio venne istituito solo nel 1971. Diede l’addio alla nazionale proprio quell’anno in occasione di un’amichevole al Maracanã contro la Jugoslavia, ma aveva ancora tanto da dare per il Santos. I bianconeri stavano vivendo un periodo di profondo cambiamento e i successi erano arrivati con minore frequenza, ma a trentatre anni O’ Rei dimostrò ancora una volta la sua grandezza. Con undici reti in altrettante partite trascinò la squadra alla vittoria del proprio girone del Paulistao a termine di un emozionantissimo testa a testa con il Palmeiras, dove entrambe le squadre rimasereo imbattute. Decisivo fu l’1-1 ottenuto in casa del Verdão dove fu proprio il numero dieci a salvare la sua squadra. A seguito di una bella azione in velocità si inserì in area di rigore e con la punta del piede destro fece partire un pallonetto a breve distanza che permise di terminare la sfida con la fondamentale parità. Nella finale contro il Portuguesa arrivò, solo dopo i calci di rigore, il suo decimo e ultimo titolo statale. A fine anno la giuria del Pallone d’oro sudamericano capì che sarebbe stato essenziale dargli almeno una volta questo premio e così nel 1973 vinse il premio arrivando davanti all’argentino Brindisi e al connazionale Rivelino.Fu la sua ultima grande impresa in carriera perché il 1974 fu il suo ultimo con la gloriosa maglia del Santos prima di diventare ambasciatore del calcio negli Stati Uniti vestendo la maglia dei New York Cosmos. Anche qui divenne un mito venendo nominato miglior giocatore della stagione nel 1976 e vincendo il campionato l’anno seguente quando decise definitivamente di dare la degna conclusione alla più grande carriera di sempre.