Calcio e Finanza
·11 settembre 2023
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Con il flop ai Mondiali femminili, terminati ai gironi, la FIGC ha deciso di aprire un nuovo ciclo per la Nazionale. Via Milena Bertolini e dentro Andrea Soncin, reduce da una lunga trafila nel settore giovanile del Venezia, con cui ha esordito come allenatore in Serie A nell’aprile 2022, senza però salvare i lagunari.
In una lunga intervista a Il Corriere della Sera, l’ex ct Bertolini ha anche commentato la scelta della federazione di mettere sulla panchina della Nazionale femminile un allenatore uomo: «Ovviamente auguro a Soncin il meglio, ma andava cavalcata quell’onda positiva. Sento dire che questo è l’anno zero: allora chi ha compiti di governo cosa ha fatto dal 2019 in poi? Certo oggi c’è il professionismo, importantissimo. Ma la progettualità è un’altra cosa: distribuire risorse alla base, lavorare sul territorio, far crescere le tesserate, che si sono fermate, incentivare con la premialità a fare il settore bambine. Noi abbiamo fatto partite in casa in cui erano molti di più i tifosi avversari. Da noi manca un progetto che ti faccia pensare che il calcio femminile sia qualcosa di importante a livello culturale. Un problema di testa. Dove sono oggi le donne negli staff della serie A femminile? Forse il 10%… Siamo considerate immagine: le quote rosa diventano necessarie. E noi ci mettiamo del nostro, siamo le peggiori nemiche di noi stesse: aveva ragione Murgia quando diceva che servono due donne per far fuori una donna. Ma così andiamo indietro, torniamo al patriarcato».
Ovviamente l’ex ct non poteva che guardare a quanto fatto in Nazionale, guidata ad agosto dal 2017. Soprattutto su cosa non sia andato bene all’ultimo Mondiale in Australia e Nuova Zelanda: «Il cambio generazionale, giusto e necessario, ha creato problemi di equilibri all’interno della squadra. Non è facile dire a una veterana che resterà a casa. Ci sono di mezzo rapporti, esperienze, gioie, dolori. Io ho avuto bisogno dei miei tempi, le ragazze dei loro per metabolizzare: non sono coincisi».
Il caso più spinoso è stato quello di Sara Gama, capitana della Nazionale che ha stupito il Mondo e fatto nascere una vera ondata rosa nel calcio italiano, esclusa dalla spedizione 2023: «Al raduno di aprile ho parlato chiaro a tutte le giocatrici più esperte: attenzione, le giovani premono, nessuna ha il posto garantito. Sara inclusa. Se verrete al Mondiale, ho detto, potrete giocare o stare in panchina però il vostro contributo al gruppo sarà comunque importante. È il concetto di squadra che deve prevalere. Con Girelli, Cernoia e Bartoli è nato un patto: mi hanno dato la loro disponibilità totale. Sara l’ha presa male da subito: ho capito che quel ruolo, in Nuova Zelanda, non avrebbe potuto reggerlo».
Il clima era buono, fino alla vittoria sull’Argentina:«Vedevo sorrisi, allenamenti partecipati, giovani entusiaste: mi sembrava che la professionalità prevalesse su qualsiasi necessità individuale. Ma dalla partita con la Svezia, quando sono diventate titolari le piccole, chi non ha giocato ha messo il muso. E l’atmosfera è cambiata». Ma se la sconfitta con la Svezia era preventivabile, quella con il Sudafrica, che è poi costata l’eliminazione per l’Italia, non lo era: «Fatto l’autogol, siamo andate in trance. Ho cercato di tranquillizzare le ragazze: calma, siamo comunque qualificate. Niente, non mi ascoltavano. È subentrata l’ansia: tutti i gol li abbiamo presi in superiorità numerica».
Sul futuro del calcio femminile italiano: «Quello che ci è successo fa parte di una crescita. Non è facile vedere le piccole che ti passano davanti. Giulia Dragoni ha 16 anni ma la testa da grande: potrebbe essere la prima italiana a vincere il Pallone d’Oro. Ma se sei una professionista devi riuscire a starci dentro a prescindere se la c.t. ti sta antipatica. La Spagna ha vinto il Mondiale dopo che metà delle calciatrici avevano sfiduciato l’allenatore. Quella è maturità. La forza di un gruppo è il collettivo, non il singolo. Le battaglie per sdoganare il calcio femminile le abbiamo combattute tutte, ciascuna nel suo ruolo. Non è facile vedersi soffiare il posto, lo capisco. Sentirsi offese non aiuta e alla fine siamo andate a lezione di umiltà dal Sudafrica».
Un’ultima battuta sulla lettera congiunta, anche se non sottoscritta da tutte, firmata dalle ragazze dello spogliatoio azzurro: «Finita la partita col Sudafrica sono andata a consolare le giovani, mentre le altre mi scansavano. C’era troppa rabbia in spogliatoio per fare discorsi. Non è vero che mi sono chiusa in camera. Loro si sono riunite e hanno scritto quel comunicato. Il volo di ritorno è stato allucinante. C’è chi non ha più avuto il coraggio di guardarmi in faccia né di salutarmi. Non ho mai detto che hanno paura ma che abbiamo avuto paura. Tutte. Certe ragazze fanno fatica a vivere l’errore e poi c’è l’aspetto social: vedersi sommerse dalle critiche toglie lucidità. La lettera è stata un’autorete pazzesca per il movimento. La forza del Mondiale 2019 era stata una squadra di donne, con un ct donna, capace di fare gruppo. ».