Calcio Africano
·7 luglio 2019
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·7 luglio 2019
Marocco ed Egitto, eliminate a sorpresa rispettivamente da Benin e Sudafrica, sono solo le ultime vittime dell’imprevedibilità congenita della Coppa d’Africa, una competizione storicamente ricca di sorprese e stupefacenti colpi di scena. Qui abbiamo scelto per voi i tre upset a nostro modo di vedere più clamorosi per portata epica, clamore suscitato e peso specifico delle vittime.
“Lumbanyeni Zambia”, il titolo dell’inno nazionale zambiano in lingua bemba è un invito a supportare la patria solo con la forza della voce. Significa: “alzati e canta dello Zambia”.
Gli zambiani lo fanno sempre nei momenti di dolore, di riunificazione nazionale, ma anche in quelli di tensione profonda. La sera del 12 febbraio 2012, durante la finale di Coppa d’Africa, a quell’invito rispondono anche i calciatori della nazionale. Quello, dopotutto, non è un momento qualsiasi: lo Zambia, allenato per il secondo mandato dal francese Hervé Renard, ha dominato il girone eliminatorio con Libia, Senegal e Guinea Equatoriale e nei turni a eliminazione diretta si è sbarazzato di Sudan e Ghana, tornando in finale di Coppa d’Africa dodici anni dopo la prima volta. E anche Libreville, la capitale del Gabon, sede dell’edizione in cui i Chipolopolo si stanno giocando la possibilità di salire sul tetto d’Africa, non è un posto come un altro. Da queste parti, in uno specchio di mare non lontano da Libreville, nel 1993 si è inabissato un Havilland Canada DHC-5 Buffalo dell’aeronautica militare zambiana, e con lui tutti i sogni della generazione di talenti zambiani più forte di sempre, capace cinque anni prima di calare un poker all’Italia durante le Olimpiadi di Seul del 1988. Senza contare che per molto tempo la parola “gabon”, in Zambia, è stata sinonimo di disgrazia o anche persona poco affidabile. Una concezione nata dopo che la polemica direzione di un arbitro gabonese, tale Jean Fidel Diramba, aveva negato l’accesso ai Chipolopolo a USA ’94.Lo Zambia era stato qualificato dall’italiano Dario Bonetti, ex calciatore di Roma, Milan e Juventus, poi esonerato l’11 ottobre 2011 in seguito al pareggio per 0-0 contro la Libia.
Il nome del sostituto, Hervé Renard, è stato suggerito al presidente federale ed ex leggenda zambiana Kalusha Bwalya dal suo mentore Claude Le Roy, primatista di presenze in Coppa d’Africa, ben 9 con sei nazionali differenti tra il 1986 e il 2017. Per caricare i suoi Renard potrebbe fare leva sull’emotività della tragedia, ma invece preferisce battere il tasto sulla la fragilità della Costa d’Avorio, bella ma finora sempre inconcludente. Dopotutto, ricorda, gli Elefanti hanno già perso diverse finali. Può succedere ancora e succederà. Gli Elefanti sono, tanto per cambiare, la favorita numero uno del torneo, ma soccombono un’altra volta ad un passo dal traguardo. Lo Zambia, è bravo a compattare le linee, complicando la vita alla Costa d’Avorio e sperando di pungere in contropiede con Emmanuel Mayuka e Chistopher Katongo, nominato miglior giocatore del torneo. Non due qualunque. Mayuka e Katongo, quanto Drogba, sono tre dei sette capocannonieri con tre reti: accanto a loro figurano anche l’angolano ex Manchester United Manucho, il gabonese Pierre-Emerick Aubameyang, il marocchino Kharja, al tempo alla Fiorentina, e il maliano Cheick Diabaté, 8 reti in Serie A col Benevento nel primo semestre del 2018. Il risultato, però, non si sblocca e si va ai calci di rigore, grazie anche a un drammatico errore dagli undici metri di Drogba al settantesimo.
All’inizio della lotteria sembrano tutti cecchini inappuntabili. Così si va ad oltranza ed è una tortura indicibile, per tutti: per la Costa d’Avorio che rischia di veder sfumare l’ennesimo trionfo annunciato; per lo Zambia desideroso di pareggiare i conti con la storia e chiudere un cerchio col destino.Per esorcizzare la paura, in panchina, lo staff, i magazzinieri e i calciatori tutti fanno come dice l’inno: cantano. Nessuno, però, ha il coraggio di farlo mentre si sta incamminando per battere il proprio calcio di rigore. Nessuno, tranne Stophira Sunzu, che lo fa proprio nel momento più delicato, sul 7-7, quando tutto lo Zambia sta pregando che la butti dentro per poter esplodere in un abbraccio collettivo. Segnerà, perché come dice un proverbio africano, “il sole magari fa tardi, ma non dimentica alcun villaggio“.
Dopo aver fatto piazza pulita tra le fila dell’opposizione, Ahidjo cercava uno strumento che cementificasse la brusca transizione del Camerun da repubblica federale a quella che, proprio nel 1972, diverrà Repubblica Unita del Camerun, in barba al disaccordo delle regioni anglofone. Per riuscire nell’intento, però, era necessario costruire una nazionale competitiva. Così viene ingaggiato Peter Schnittger come CT. Il tedesco aveva portato la Costa d’Avorio al quarto posto nell’edizione precedente e veniva dal trionfo nella Coppa dei Campioni africana del 1971 con i camerunensi del Canon Yaoundé.
Precisamente Yaoundé, la capitale, e la città portuale di Douala, la seconda del Paese, sono le sedi dell’ottava edizione della Coppa d’Africa. Per l’occasione vengono costruiti due impianti all’avanguardia e quello di Yaoundé, multiuso e attuale casa della nazionale, prenderà il nome del presidente Ahidjo. Oltre al Camerun paese organizzatore e al Sudan campione in carica, al torneo si presentano, naturalmente, nuove debuttanti. La fase di qualificazione si era arricchita arrivando a comprendere 24 nazionali che non avevano lesinato sorprese. In Camerun partecipano per la prima volta altre quattro selezioni: il Kenya, che non aveva avuto vita facile con le Mauritius; il Marocco, che ha eliminato i primi campioni d’Africa dell’Egitto assenti ormai dal 1963, l’anno (allora) dell’ultima consacrazione; il Togo, che ha sbarrato la strada ai dominatori degli anni ‘60 del Ghana battuti in casa ad Accra; e il Mali della stella Salif Keita, primo pallone d’oro africano nel 1970 e già campione riconosciuto nel Saint-Étienne in Francia.
Rientra tra le sorprese, ma non tra le debuttanti, il Congo-Brazzaville che ha lasciato a casa la Costa d’Avorio di Laurent Pokou, semifinalista due anni prima. Schnittger decide di affidarsi ai blocchi collaudati delle due principali squadre camerunensi: il suo vecchio Canon Yaoundé e l’Union Douala, entrambe competitive in quegli anni a livello continentale. A potenziare le qualità dei due blocchi vengono chiamati due espatriati: Jean-Pierre Tokoto, futuro numero dieci al Mondiale 1982, e Joseph Maya, leggenda dell’Olympique Marsiglia con cui ha segnato 124 reti in prima divisione francese. Il girone A, con il Mali del tedesco Karl-Heinz Weigang (futuro CT anche del Camerun), il Kenya e il Togo del terzo tedesco del gruppo Gottlieb Göller, viene superato con relativa sicurezza, ma è in semifinale che si materializza il fallimento. Allenato dall’autoctono Adolphe Bibanzoulou, il Congo-Brazzaville, l’odierna Repubblica del Congo, elimina i Leoni (non ancora indomabili) e andrà poi ad aggiudicarsi la sua prima e unica Coppa d’Africa battendo per 3-2 in finale il miglior Mali della storia, trascinato dal capocannoniere (5 gol) di quell’edizione Fantamady Keita, vista l’assenza per infortunio della stella Salif. La terza rete congolese la mette a segno il miglior calciatore del torneo, François M’Pelé, colonna offensiva del Paris Saint-Germain degli anni ‘70.
Decisivo anche il portiere Yachine, non a caso traslitterazione francese di Jašin, il mitico portiere sovietico. Il Camerun finirà terzo, ma per Ahidjo è un risultato inaccettabile. Il presidente che voleva festeggiare il nuovo corso del Paese e la sua nuova denominazione (Repubblica Unita del Camerun) prenderà misure drastiche, licenziando il Ministro della Gioventù e dello Sport e arrestando e punendo i principali responsabili del mancato successo tra i membri delle varie istituzioni che avevano lavorato alla manifestazione.
3. La Libia del 1982
Due anni dopo, a ospitare il torneo, è un altro Paese affamato di consenso internazionale: la Libia. Nelle idee del Colonnello Muammar Gheddafi, la Coppa d’Africa ospitata dalla Libia sarebbe dovuta essere una gigantesca vetrina per esporre il suo modello di socialismo panafricano. Quale migliore occasione, d’altronde, per diffondere il verbo della Jamāhīriyya? Il pubblico lo capisce subito, quando il 5 marzo 1982, il Colonnello trasforma il discorso inaugurale in un comizio politico, scaldandosi nel parlare di Apartheid e imperialismo. Il compito per Bela Gotl, il tecnico ungherese della nazionale libica, è di quelli complicati. Con i risultati sportivi i Cavalieri del Mediterraneo sono chiamati a contribuire alla causa della Rivoluzione Verde, ma non è cosa da poco: Gotl, ad esempio, può pescare solo nel campionato nazionale, dato che nessun giocatore libico gioca all’estero. Il talento comunque non manca. Prendiamo, ad esempio, Fawzi Al-Issawi, la stella della squadra. Ha solo 22 anni, ma già la barba folta e le doti di leadership di un condottiero, tanto da convincere la giuria ad assegnargli il premio come miglior giocatore del torneo.
Sono in pochi, comunque, a credere nelle potenzialità della Libia, alla prima esperienza in Coppa d’Africa, ma alla fine i Cavalieri del Mediterraneo riescono a raggiungere la finale del 19 marzo col Ghana, che nemmeno avrebbe dovuto esserci. Il governo di Hilla Limann, infatti, aveva ritirato la squadra in seguito al deteriorarsi dei rapporti con la Libia di Gheddafi, ma poi nel giorno di San Silvestro del 1981 era stato rovesciato da un colpo di Stato militare guidato dal tenente della Ghana Air Force Jarry Rawlings.
All’improvviso, con un semplice colpo di spugna, tutto ciò che era stato pianificato dal governo precedente era stato cancellato, comprese le scelte legate all’ambito sportivo: le Black Stars, quindi, si ritrovano inaspettatamente in gioco. Essere in finale era già un successo per i libici, che riescono anche ad andare oltre, pareggiando il gol di Alhassan, re dei bomber con quattro reti, e portando le Black Stars ai calci di rigore. Il primo a sbagliare, dopo una sequenza interminabile, è il libico Abdallah Zeiyu, che regala al Ghana la quarta Coppa d’Africa della sua storia. Gheddafi, comunque, poteva essere contento: i Cavalieri del Mediterraneo non avevano sollevato il trofeo, ma nessuno era stato in grado di batterli in partita.
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