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·6 marzo 2025

Legends Corner | I ricordi, i gol e le vittorie bianconere di Michele Padovano

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«La Juve è la Juve: ti accorgi di che società sia quando te ne vai»

Anche se sono passati più di 25 anni, Michele Padovano continua a non avere dubbi. Lo sguardo profondo di chi nella vita non ha mai smesso di combattere, proprio come faceva in campo ogni volta che indossava la maglia della Juventus - 63 presenze, 18 gol e nove assist in una squadra che tra il 1995 e il 1997 riuscì a compiere un’impresa difficilmente replicabile: vincere tutto quello che c’era da conquistare. Compresa la Coppa dei Campioni, in finale a Roma contro l’Ajax, arrivata ai calci di rigore. Uno dei quali segnato proprio da lui:


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«Quel rigore a Roma, quella notte, sono ricordi meravigliosi e indelebili che saranno per sempre con me nella mia vita e che accompagnano anche la mia famiglia: abbiamo vissuto dei momenti eccezionali. Sono contento perché è stata una gioia condivisa con i tifosi: noi in campo, loro sugli spalti perché conquistare quella Coppa dei Campioni era una cosa importante per tutti. Una gioia diversa: la mia speranza è che la Juventus torni a riuscirci anche in futuro».

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Un successo che ben racconta quale fosse lo spirito e i valori del gruppo e della società:

«L’organizzazione che ha la Juventus è qualcosa di incredibile, sotto tutti i punti di vista: quando sono arrivato mi sono subito accorto che i giocatori facevano la gara in allenamento, ogni giorno. Ci si allenava andando oltre, per migliorarsi di continuo: io l’ho imparato a 29 anni e grazie a questo mi sono tolto grandi soddisfazioni. Per questo e per tanti altri aspetti, la Juventus è un club unico al mondo. A livello professionale, la conquista della Coppa Campioni è stata la vittoria che non dimenticherò mai della mia carriera - anche perché è stata condita da diversi gol e buone prestazioni da parte mia nelle sfide europee. Insieme a uno straordinario gruppo di compagni, facemmo un biennio meraviglioso: prima vincendo il campionato, poi andandoci a prendere la coppa. Se penso alle mie reti con la Juventus, ne ho realizzate diverse anche in campionato - ricordo quella alla Roma o la doppietta contro la Lazio. Merito, come ho già sottolineato in precedenza, anche del grande supporto che ho ricevuto da parte dei miei compagni e della società. Se non vieni aiutato nell’inserimento, diventa tutto più complicato: sono riuscito a dare il massimo perché c’era un grande contributo sia da parte dei compagni che della società».

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Stagioni piene di soddisfazioni, con un unica nota stonata: un infortunio che ha segnato poi la fine della sua avventura in bianconero.

«Ricordo le sfide contro il Milan, che era la squadra con cui battagliavamo di più in quegli anni: tutti quelli che ci incontravano avevano grande paura di noi; in effetti eravamo molto forti [ride, ndr]. L’infortunio in Nazionale nel 1997 resta il mio cruccio: quello era un periodo in cui stavo bene, giocavo titolare nella Juventus ed ero entrato a far parte anche del giro dei giocatori che potevano essere convocati dall’Italia. Il ct Maldini aveva grande attenzione nei miei riguardi, tant’è che avrei dovuto giocare titolare in Polonia se non mi fossi fatto male in allenamento: nella vita le cose vanno come devono andare, purtroppo. Ho avuto le mie belle soddisfazioni e non posso lamentarmi. Certo, se non mi fossi fatto male sono certo che le cose sarebbero andate in maniera diversa…»

Un uomo abituato a lottare come Padovano però ha capito che le vicissitudini della vita non sono pianificabili, ma che in ogni ambito della vita chi combatte e non molla mai alla fine riesce sempre a raggiungere il proprio obiettivo. A ottenere giustizia: «Fortunatamente ho risolto una vicenda molto triste, che per 17 anni mi ha portato a difendermi e a lottare: ora me la sono lasciata alle spalle. Amo il calcio, mi piace questo mondo, vedo 3-4 partite al giorno…», ci racconta in maniera confidenziale mentre ciò stiamo salutando, prima di affidare un ultimo ricordo a un compagno di squadra speciale. Diverso da tutti gli altri, anche in un gruppo di campioni:

«Gianluca Vialli era speciale, non solo a detta mia ma di tutti quelli che hanno avuto la fortuna di conoscerlo e di giocare con lui: avevo un rapporto particolare con lui, la scelta di andare a giocare in Inghilterra ad esempio fu dettata anche dal fatto che lui era lì. Ero certo che mi avrebbe aiutato nell’inserimento e così è stato: un ragazzo solare, intelligente, avevamo grande affinità caratteriale, abitavamo a Londra a poche centinaia di metri di distanza. È una persona che manca molto, anche se mi piace pensare che gli uomini come lui non moriranno mai davvero perché sono quelle icone che lasciano il segno - per quel che mi riguarda, un segno molto forte».

Non solo per te Michele, ma per tutti noi.

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