Marco Rossi: «Puskas, mio nonno, il “Grande Torino” e il sogno del Mondiale dopo 40 anni. L’Ungheria mi ha restituito la dignità» | OneFootball

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·22 settembre 2025

Marco Rossi: «Puskas, mio nonno, il “Grande Torino” e il sogno del Mondiale dopo 40 anni. L’Ungheria mi ha restituito la dignità»

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Marco Rossi: «Puskas, mio nonno, il “Grande Torino” e il sogno del Mondiale dopo 40 anni. L’Ungheria mi ha restituito la dignità». Le dichiarazioni del ct

a scommessa nella ristorazione a leggenda del calcio ungherese. La parabola di Marco Rossi, CT della nazionale magiara, è una storia di destino, riscatto e incredibili successi, culminati con il clamoroso 4-0 rifilato all’Inghilterra a Wolverhampton nel 2022. Un traguardo che lo ha legato ai miti della “Squadra d’oro”. «Ho pensato a quanto vita e destino siano legati. Mio nonno passava i pomeriggi a raccontarmi del Grande Torino e della Squadra d’oro ungherese», rivela Rossi a La Gazzetta dello Sport. Un destino che lo ha portato lontano dall’Italia, un Paese che, a suo dire, lo aveva «deluso».

LA SCELTA UNGHERIA – «Mi ha dato la possibilità di lavorare, l’Italia no. Magari anche per responsabilità mia: non ho mai saputo vendermi. Con la Cavese avevo vissuto una stagione assurda, i tifosi fecero pressioni sul presidente per cacciarmi. Da lì ho passato un anno e mezzo da incubo».


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LE RICHIESTE DI DENARO – «Una volta per guidare una squadra di Serie C toscana, un’altra in Basilicata». Alla mia risposta «Che non faccio l’allenatore per hobby», aggiungo: «Da calciatore non ho mai guadagnato cifre folli. Alla Samp giravo con una Lancia. Non ho sperperato i soldi, ma da gennaio 2011 a giugno 2012, è stata dura. Ho vissuto un momento di difficoltà intima dove ho pensato di smettere per fare il commercialista».

IL VIAGGIO A BUDAPEST – «Grazie a un amico. Lui ha tre locali, pensai di investire e sbarcare il lunario. Avevo venduto la mia casa a Brescia, ma il calcio mi mancava». E il destino: «La vita è questa. Pensi che all’inizio guadagnavo anche “pochino”. Nel 2016-17, l’anno in cui vinsi il campionato con l’Honved Budapest, ero l’allenatore meno pagato del campionato. L’Ungheria mi ha restituito la dignità. Oggi mi sento quasi ungherese».

IL RAPPORTO CON ORBAN – «Ottimo. Ogni tanto ci incontriamo, è molto tifoso. A volte mi ha scritto per sapere quale fosse la formazione o quali giocatori avrei convocato. Ma ho massima libertà in tutto».

LE CRITICHE E LA SICUREZZA – «Dopo l’ultimo Europeo ho ricevuto insulti sui social. Hanno minacciato me e mia famiglia con critiche di ogni tipo. Ma a me non importa. Io sono grato all’Ungheria perché mi ha salvato la vita. E a Budapest vivo bene: abito in centro, c’è sicurezza. In altre città come Londra, Parigi o Milano quando cala la notte c’è da scappare».

IL SOGNO MONDIALE – «Portare l’Ungheria al Mondiale dopo 40 anni. Se dovessi riuscirci potrei lasciare. Sarei ricordato per sempre. E mio nonno ne sarebbe fiero».

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