Lazionews24
·23 febbraio 2025
Massimo Maestrelli: «Papà un uomo libero, la sua Lazio era unica, ha lasciato il segno nei cuori di tanti»
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·23 febbraio 2025
Massimo Maestrelli, figlio di Tommaso, ha parlato del padre a la Gazzetta dello Sport. Di seguito le sue parole sul tecnico dello storico primo Scudetto della Lazio del 1974.
IL VALORE DEGLI IDEALI – «Forse Ranieri, altro uomo di ideali. Quando va a Leicester dopo il fallimento con la Grecia, deve aver visto qualcosa di diverso da una scommessa facile. E ha vinto. Anche quest’ultimo ritorno alla Roma dopo aver annunciato l’addio al calcio: non l’avrebbe fatto per nessun’altra squadra. Sapete che lui e babbo si conoscevano bene? Nel ’73, ’74, quando giocava nella Roma come difensore, veniva a vedere le partite da noi: io e Maurizio ci lamentavamo, non volevamo un romanista in casa, ma babbo lo stimava, erano diventati amici.»
IL SEGNO LASCIATO DA TOMMASO MAESTRELLI – «Io credo che babbo abbia fatto più da morto che da vivo, perché lasciare un segno così grande per 50 anni è qualcosa di troppo speciale. Ha vinto lo scudetto con la Lazio? Vero, ma ogni anno un tecnico vince, in pochi restano davvero nel cuore della gente come lui. È qualcosa di più grande.»
L’IMPEGNO FUORI DAL CAMPO – «Babbo si è sempre esposto. A Reggio fece dichiarazioni forti perché la città era divisa dalla battaglia tra due clan. Un giorno lo prelevarono e lo portarono in campagna a incontrare un superlatitante in una casetta abbandonata. Lo ringraziò perché le sue parole avevano riportato la pace.»
L’APPROCCIO ALLA LAZIO – «A Roma girava con l’Alfa Romeo 1750, i giocatori lo prendevano in giro. Wilson aveva la Rolls Royce, D’Amico il Mercedes Pagoda, non le parcheggiavano vicino alla sua perché dicevano che prendevano il tetano. Non era legato alle cose materiali e lo dimostrava con i fatti. A D’Amico, che era ragazzino, tolse le chiavi della macchina e sospese lo stipendio per insegnargli a non alzare troppo la cresta.»
LA GESTIONE DELLO SPOGLIATOIO – «Sempre. E volevano dimostrargli di essere migliori degli altri. Soprattutto alla Lazio erano in perenne conflitto e lui non li ha mai fermati. Diceva che nella libertà di espressione, anche dei propri difetti, scocca la scintilla: le forti personalità si devono scontrare per tirar fuori il meglio e il peggio di loro.»
IL SUO CARATTERE – «Era libero. E aveva una predisposizione per i rapporti umani: se a Reggio Calabria arrivava un giocatore nuovo, lui alle dieci di sera andava a prenderlo in stazione, per tranquillizzarlo.»
IL RAPPORTO CON CHINAGLIA – «Chinaglia era sempre da noi. Avevano un rapporto bellissimo, faceva parte della famiglia. Per questo ho voluto riunirli, è stato complicatissimo, ma era necessario: ora sono sepolti insieme, a Prima Porta. Mi dà tanta serenità.»
L’AMORE PER LA LAZIO – «Babbo poteva morire durante la prima operazione, invece è rimasto in vita per salvare la squadra: la gara che ha deciso la permanenza in A, quella di Como, è stata ancora più bella dello scudetto. Penso abbia dato la sua vita per salvare la Lazio.»
IL DRAMMA DI RE CECCONI – «Ed è una cosa di cui sono contento e grato. Sarebbe impazzito, si sarebbe fatto anche dei sensi di colpa. Come fai a spiegarti una cosa così?»
IL GESTO PER BARONI – «Quando c’è stata la prima del documentario, alla Festa del Cinema di Roma, avevo portato la giacca di babbo sul palco. Ho visto Baroni in prima fila, era arrivato da poco e volevo fare qualcosa di carino per lui. Così ho detto che mi auguravo che per una partita importante la potesse utilizzare lui e si è sentito parte della famiglia. Non l’avevo mai offerta a nessuno, ma io sono molto istintivo.»
IL CONFRONTO CON GLI ALLENATORI DELLA LAZIO – «In tutti ho cercato di vedere qualcosa di babbo: Sarri ha la struttura dell’uomo forte, con i suoi ideali; Baroni la leggerezza, il gioco piacevole; Eriksson la dolcezza, la disponibilità; Inzaghi il rapporto con i giocatori, con molti strettissimo.»
IL SUO MODO DI INTENDERE IL CALCIO – «Sì, voleva fare qualcosa di grande per far sì che chi veniva allo stadio passasse una giornata di festa. Il calcio era uno spettacolo, non voleva vincere 1-0 ma far felice la gente.»
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