Calcio e Finanza
·14 maggio 2025
Moratti: «Un rimpianto? Dovevo fare il sindaco di Milano. La Juve il mio vero avversario»

In partnership with
Yahoo sportsCalcio e Finanza
·14 maggio 2025
Venerdì 16 maggio Massimo Moratti, ex patron dell’Inter e del gruppo petrolifero Saras, compirà 80 anni. «Un traguardo che mette un po’ di paura», ha confessato l’imprenditore a Il Corriere della Sera.
In un bilancio della sua vita fin qui, Moratti non può certo tralasciare le sue origini contadine, il primo Angelo Moratti era un contadino con 21 figli a fine Ottocento, poi diventate “nobili” grazie alla scoperta del petrolio da parte del padre, un altro Angelo Moratti, che gli trasmise la passione per gli affari e soprattutto per l’Inter.
«Il lavoro è sempre stato centrale – racconta Moratti –. Poi è arrivata l’Inter e ha rivoluzionato tutto: emozioni, adrenalina, un mondo coinvolgente che resta dentro». Di cosa va fiero? «Molte cose legate all’azienda: iniziative coraggiose, contratti importanti, idee che mi hanno acceso. E poi, ovviamente, le vittorie dell’Inter. In fondo mi è andata bene quasi sempre. Ho vissuto momenti bellissimi. Certo, ci sono errori che uno si rimprovera, ma fanno parte del cammino. La truffa subita? Errore mio. Pensavo fosse tutto vero, volevo aiutare. Bastava chiamare il ministro. Per fortuna i colpevoli sono stati presi, i soldi recuperati. È servito per smascherare un sistema pericoloso».
Rimpianto che però riguarda quella vita politica che Moratti sfiorò senza mai entrarci sul serio: «Avrei voluto diventare sindaco di Milano. Sarebbe stato qualcosa di meraviglioso. Sono sempre stato molto indeciso. Ma c’erano motivi validi per cui, più volte, ho rinunciato. Uno era che pensavo di non poter fare tutto. Lavorare in azienda mi sembrava più utile per la mia famiglia, anche se è un peso che porto con me, non aver dato ascolto a una figura così autorevole e generosa come il cardinal Martini che mi chiese di rifletterci bene a riguardo. Fu molto affettuoso. Mi chiese di fare qualcosa per Milano. È un dolore che resta. Avrei voluto usare insieme immaginazione e concretezza per servire la città. Poi… rifiutai anche la proposta di Veltroni: sempre gentile, un signore. Politica nazionale? No, quella non mi ha mai attirato. Mi piaceva l’idea del sindaco come presidente di una squadra: visione e azione, giorno per giorno».
Per quanto riguarda la vita imprenditoriale, Moratti spiega perché la società di famiglia, la Saras, è stata ceduta al colosso olandese Vitol: «Una scelta ottima dal punto di vista economico. Umanamente, è stato un grande dolore. I dipendenti sono persone straordinarie, legatissime. Non è stato facile. Ma hanno capito. L’azienda va a un gruppo con grandi risorse. Rimarrà protagonista. E pensare che pochi anni fa la raffinazione sembrava finita».
«Il calcio mi ha insegnato a decidere in fretta – continua Moratti –. Ti costringe ad agire con prontezza. Mio padre, una volta, sentendomi parlare di Paolo Rossi mi disse: “Compra una squadra, è più utile che guidare un’azienda”. Aveva ragione. Berlusconi? C’era simpatia. Anche lui mi propose di candidarmi. Mi disse: “Con quelli lì? Con la sinistra?”. Anche in quel caso, rifiutai subito. Un buon rapporto, anche se eravamo molto diversi. Ho sempre ammirato la sua energia».
E poi ecco l’Inter: «La cessione è stata per motivi economici. I costi sono cresciuti oltre misura, e la passione non bastava più. Le società internazionali erano l’unica via. Anche se un gruppo familiare resta, secondo me, un riferimento migliore per lo spogliatoio». In un’altra intervista a La Gazzetta dello Sport, Moratti ha aggiunto di andare fiero anche dell’Inter che non ha mai vinto: «Quella del Triplete ha fatto la storia, ma sono affezionato anche ai meravigliosi ragazzi del ’98 che non vinsero lo scudetto soltanto per una “ladrata” della Juve».
Sulla squadra di oggi: «Barella è quello che sento di definire il calciatore più “morattiano” che c’è ora nello spogliatoio. È cresciuto tanto. Inventa, lotta, crea pericoli. Mi piacciono anche Lautaro e Thuram, conosco il padre. Inzaghi? Ho cambiato idea. All’inizio non mi convinceva. Ora lo trovo bravo, preparato, sempre lucido, molto equilibrato. Marotta? Fa bene il suo lavoro. Lo cercai quando era alla Sampdoria».
«Non penso di andare alla finale di Champions di Monaco. Ma la guarderò con interesse. Il 4-3 con il Barcellona è stato bellissimo. Yamal? Incredibile, riflessi fuori dal comune. Ogni tanto sento ancora Mourinho, ci scriviamo. Impulsivo più di prima? Succede, se non arrivano i risultati».
Tornando indietro nel tempo, in quegli anni la rivalità fra le tre grandi Inter, Juve e Milan era al massimo: «Sì. Ma il vero rivale, da sempre, è la Juventus. Famiglia e calcio spesso si intrecciavano. Gioie vere. Non è una questione di vita o di morte, ma ci ripensi e ti senti felice». Il suo miglior amico? «Marco Tronchetti Provera». E qualcuno che non c’è più? «Gino Strada. Lo sentivo vicino: coraggioso, generoso. Curava i bambini senza badare alla provenienza. Ora servirebbe tanto».