Calcio e Finanza
·8 luglio 2023
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·8 luglio 2023
«La posizione del club su Mbappé è molto chiara. Vogliamo che resti, ma se vuole restare deve firmare un nuovo contratto. Non possiamo lasciare andare uno dei migliori giocatori del mondo a zero». Mai prima d’ora nei suoi 12 anni di stanza a Parigi Nasser Al-Khelaifi, presidente e patron del PSG e soprattutto emissario della proprietà qatariota del club transalpino, aveva parlato in questa maniera di un suo giocatore top. Quale un qualsiasi uomo di mercato di una qualsiasi società al mondo, come invece ha fatto in settimana su Mbappé durante la presentazione del nuovo allenatore Luis Enrique.
Parole che se da un lato fanno trasparire il crescente nervosismo della società parigina verso il fuoriclasse francese, sempre più desideroso di andare a giocare dai “nemici” politici del Real Madrid o di sbarcare in Premier League. Dall’altro fanno sembrare Al-Khelaifi, sinora sempre al di sopra delle beghe di mercato dall’alato della potenza economica del Qatar, quali un dirigente qualunque e non l’emissario di una proprietà che sinora si era contraddistinta per non badare a spese anche a costo di fare andare via giocatori a costo zero.
In questo senso basti ricordare per esempio l’episodio del 2016 quando Zlatan Ibrahimovic, allora la stella e il leader indiscusso del PSG, si vide costretto ad andare con un anno di ritardo al Manchester United dopo che lo sceicco del Qatar impose allo svedese e al suo procuratore, il defunto Mino Raiola, di onorare il contratto sino al termine anche a costo di perdere il giocatore a zero.E se è vero che anche quest’anno da Parigi sono andati via a costo zero giocatori importanti, su tutti Lionel Messi e Sergio Ramos, è altrettanto vero che le storie di questi ultimi assomigliano più a scelte di vita di due giocatori sul viale del tramonto che non a decisioni di mercato.
Per converso invece non sembra un caso che in questa sessione di mercato il PSG non stia spendendo e spandendo come ai tempi d’oro, considerando il solo acquisto di Manuel Ugarte dallo Sporting per ben 60 milioni (oltre al riscatto di Ekitiké dal Reims per 28 milioni, operazione già fissata nella passata stagione) e gli arrivi a parametro zero di Milan Skriniar e Marcos Asensio. Per altro va notato lo stesso PSG ha preferito operare in maniera oculata e attendere un anno per portare il difensore a Parigi a costo zero piuttosto che investire la somma che l’Inter voleva per lo slovacco. Negando per altro qualsiasi esborso anche nel mercato invernale quando le richieste nerazzurre erano scese a 20 milioni. Inoltre non va nemmeno scordato come lo stesso Luis Enrique (scuola Barcellona) è più un allenatore attento a profili magari meno cari ma che si inseriscono in un determinato schema di gioco che non un gestore di calciatori notissimi.
È un caso che tutto questo succede dopo che il Qatar ha ottenuto la sua vetrina mondiale tanto desiderata e voluta quest’inverno? Una vetrina durante la quale i tre giocatori più forti e simbolici – Messi, Mbappé e Neymar – delle tre nazionali più forti sulla carta – Francia, Argentina e Brasile – giocavano tutti nella squadra dell’emiro ospitante.
Insomma posto sempre che si sta sempre parlando di una società pronta a investire 40 milioni per un difensore buono, ma non certamente un fuoriclasse, quale Lucas Hernandez del Bayern Monaco, l’interrogativo è se una volta ottenuta in pompa magna la vetrina dei Mondiali 2022, il Qatar stia valutando di normalizzare il proprio investimento nel PSG. Rendendolo più simile a una normale società di calcio d’alto rango piuttosto che non a quell’albergo di supercampioni e figurine che è sempre stato sinora – per altro senza aver raggiunto l’obiettivo tanto agognato, ovvero la prima Champions League nella capitale francese.
Ufficialmente il club ha spiegato di voler “francesizzare” maggiormente la squadra – di qui le operazioni Lucas Hernandez ed Ekitiké – e nello stesso tempo ha fatto trapelare che vistio i continui insuccessi nella Champions League magari una inversione di tendenza è necessaria, ma è questo il vero motivo? Nello stesso tempo, visto l’interessamento per il Manchester United, ci si può domandare se il Qatar abbia deciso di privilegiare un altro modo per essere presenti nel calcio. Visto che qualora l’emirato dovesse mettere le mani sulla squadra inglese potrebbe puntare più sui Red Devils che non sui parigini.
La risposta certa non esiste al momento anche perché sono molte le variabili in gioco – una su tutte nessuno sa il Qatar acquisterà il Manchester United – ma alcuni elementi possono essere già esaminati.
Innanzitutto va detto che l’investimento nel PSG e quello eventuale sul Manchester United hanno una natura diversa. Lasciando per un momento stare il tema dello sportwashing – sempre presente, che in questa rubrica è stato già affrontato più volte -, l’investimento nel PSG aveva quale obiettivo principale quello di portare la capitale francese nel grande calcio. Ottenendo in cambio, tramite anche la potenza geopolitica della stessa Parigi, prima l’aggiudicazione dei Mondiali 2022 e poi la grande vetrina della stessa kermesse iridata nella quale, come si diceva, i campioni più noti giocavano nella squadra dell’emiro ospitante.
E per portare Parigi nel grande calcio il Qatar non ha badato certo a spese. Spesso superando i paletti UEFA grazie anche a ricavi provenienti da sponsor qatarioti (e quindi legati alla proprietà) sui quali Nyon ha spesso chiuso un occhio e che alla fine dei conti hanno sempre migliorato i bilanci parigini. Dall’insediamento del Qatar Sports Investments, oltre a crescere la bacheca dei trofei è stato il fatturato dei parigini, passato dai 100,91 milioni di euro del 2010/11 ai 669,62 del 2021/22. La crescita del fatturato, sestuplicato rispetto al 2010/11, non è bastata per non vedere crescere vertiginosamente il rosso di bilancio del PSG, arrivato nella scorsa stagione alla cifra record di 368,71 milioni di euro. In totale, durante la gestione qatariota, aspettando il bilancio della stagione 2022/23, il PSG ha avuto un fatturato complessivo di 5,74 miliardi di euro con perdite complessive di 665,38 milioni nell’era Qatariota.
Un eventuale investimento nel Manchester United invece avrebbe un obiettivo diverso. Se è vero infatti che l’operazione prevede una spesa iniziale gigantesca – si parla di oltre 6 miliardi – è altrettanto vero che una volta portata a termine l’acquisizione, il Qatar metterebbe le mani sul club più ricco della lega più ricca nel mondo. Nei fatti sulla migliore macchina da soldi che il mondo del calcio abbia mai conosciuto. Non a caso i Glazer acquisirono la società nel 2005 con una molto discussa operazione da complessivi 790 milioni di sterline circa (di cui solo 270 milioni di sterline di tasca propria e tramite un leveraged buyout),in questi 18 anni hanno incassato oltre 710 milioni di sterline dalla gestione del club e, in caso di cessione a 6 miliardi di sterline, porterebbero a casa complessivamente oltre 6,5 miliardi di sterline (oltre 7,5 miliardi di euro).
Insomma una volta assorbito l’impatto enorme dell’acquisizione il Qatar si assicurerebbe il miglior motore economico mai visto nel mondo del calcio e le eventuali spese, visti i grandi ricavi della squadra inglese, potrebbero essere perfettamente in linea con i parametri UEFA.
In questo ipotetico cambio di scenario una volta ottenuta la vetrina dei Mondiali tramite la forza geopolitica di Parigi e della Francia, il Qatar potrà puntare anche a macinare utili con il Manchester United.
Tutto questo, per altro, si inserirebbe molto bene nella strategica personale di Nasser Al-Khealifi, che dopo lo tsunami Superlega è diventato anche il numero uno dell’ECA (l’associazione europea dei club che in precedenza era guidata da Andrea Agnelli) nonché uno degli alleati più potenti di Aleksandar Ceferin, il presidente della UEFA. Normalizzando il PSG e mettendo le mani sulla macchina da soldi del Manchester United Nasser Al-Khelaifi si presenterebbe perfettamente in linea con i dettami di Nyon in termini di paletti economici. E quindi ancora più titolato per avere incarichi associativi a livello europeo.
D’altro lato una eventuale normalizzazione del PSG non sarebbe vista male anche in Francia. Il Paese è alle prese da anni – dai gilet gialli alle proteste recenti – con tensioni sociali fortissime e avere il club più rappresentativo della nazione che spende e spande senza porsi limiti inizia a non essere più tollerato molto bene. Sia a livello politico ma soprattutto al di fuori di Parigi, dove da sempre, in tutto il Paese, esiste una sorta di idiosincrasia verso la capitale che economicamente, politicamente e sportivamente mangia e divora tutto e tutti. Sia ben chiaro il PSG resterebbe sicuramente e di gran lunga il club più ricco, ma con meno strapotere economico rispetto alle altre squadre della Ligue 1.
In questo quadro una prima risposta all’interrogativo su quali saranno le strategia del Qatar sul PSG potrà venire dalle prossime mosse della dirigenza parigina. Non solo quelle relative al mercato ma anche quelle legati ai rinnovi. Infatti non sembra un caso che, riferendosi sempre alla questione delle vetrina per l’emiro dei Mondiali 2022, il PSG abbia molti contratti in scadenza al 30 giugno 2024. Tra questi tra gli altri quelli di:
E se questi si sommano quelli scaduti il 30 giugno appena trascorso – Messi e Sergio Ramos – appare evidente come il PSG abbia orchestrato le scorse sessioni di mercato per presentarsi alla vetrina di Qatar 2022 con la maggiore potenza di fuoco mediatica in termini di giocatori.
E ora, con l’obiettivo Mondiali ormai superato, il Qatar si trova alle prese su quale possa essere il faro illuminante della prossima strategia. Provare a vincere la prima Champions League a Parigi può bastare per perpetrare la strategia di grandezza di investimenti messa sul tavolo sinora? La risposta per il momento probabilmente non la sa nessuno anche perché nemmeno in Qatar sanno se riusciranno a mettere le mani sul Manchester United sbarcando in Premier League dalla porta principale.
Quale nota a margine in questo quadro è inoltre lecito domandarsi se anche l’Arabia Saudita che sta entrando in maniera prepotente nel mondo del calcio utilizzerà un percorso simile in vista dei Mondiali 2034 che intende organizzare. È ovviamente molto presto per dirlo visto che ci sono almeno 11 anni prima di quell’evento. Ma sicuramente va notato come si tratti di casi diversi non foss’altro perché l’Arabia Saudita è un Paese grande e vasto. E in questo senso può puntare con successo a sviluppare un proprio campionato interno, – cosa che sta infatti iniziando a fare – e che invece il Qatar non poteva permettersi
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