Padovano racconta: «I tifosi non mi han fatto mai mancare il loro affetto, le cicatrici rimangono ma non ho rancore. Giocare alla Juventus mi ha aiutato a superare i miei limiti» | OneFootball

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·11 aprile 2025

Padovano racconta: «I tifosi non mi han fatto mai mancare il loro affetto, le cicatrici rimangono ma non ho rancore. Giocare alla Juventus mi ha aiutato a superare i miei limiti»

Immagine dell'articolo:Padovano racconta: «I tifosi non mi han fatto mai mancare il loro affetto, le cicatrici rimangono ma non ho rancore. Giocare alla Juventus mi ha aiutato a superare i miei limiti»

Padovano, ex attaccante della Juventus, è stato ospite dell’evento Storie Nero su Bianco di Juventibus. Le sue dichiarazioni

(inviato al Circolo dei Lettori)‘Storie Nero su Bianco’. Evento al Circolo dei Lettori di Torino organizzato da Juventibus questa sera con grande protagonista l’ex attaccante bianconero Michele Padovano, autore del libro ‘Tra la Champions e la libertà‘. A moderare l’evento i giornalisti Massimo Zampini, Luca Momblano, Ottavia Giustetti e Paolo Rossi. Juventusnews24 ha seguito LIVE le sue parole.


CARCERE – «Percepivo il pregiudizio delle persone, ma la faccia l’ho sempre messa allo stadio. Non pensavo al pensiero degli altri, ma una pacca sulla spalla i tifosi della Juve non l’hanno mai fatta mancare e non lo dimenticherò mai. È importante per me, per la mia vita e per il mio futuro, non avere rancore. Ho prodotto prove oggettive che non sono state credute, sono stato condannato in base a degli indizi. Io da innocente ho rischiato molto, se non avessi cambiato avvocato sarei ancora dentro. Non sono arrabbiato, le cicatrici rimarranno ma la vita va avanti. È importante non avere rancore, non servirebbe a nulla. Ho ringraziato i giudici che mi hanno assolto, hanno studiato le carte e letto la verità».


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LIBRO – «Non credo che 10 anni fa avrebbe avuto lo stesso successo perché ero in pieno processo e avevo due condanne sul groppone. Sono contento di aver raccontato la mia storia, la gente mi vuole bene e capisce quello che ho provato e vissuto. La gente mi copre d’affetto, non solo i tifosi della Juve ma anche di altre società e questo mi riempie d’orgoglio. Nella vita non si molla mai, fino alla fine. Bisogna saltarne fuori con risorse umane».

QUAL E’ STATA LA SUA FORZA – «Il calcio mi ha aiutato, giocare alla Juventus mi ha aiutato a superare i miei limiti. Quel forma mentis mi ha aiutato a superare quella situazione. Ci sono voluti 17 anni, quando secondo me sarebbero bastati 17 minuti di buon senso. Io ho sempre detto la verità, sin dal primo giorno. Ringrazio quello che ho fatto, come sport, che mi ha aiutato. Ma il mio carattere mi ha aiutato a superare certe situazioni, ma i veri fuoriclasse sono stati mia moglie e mio figlio perché senza di loro non lo avrei mai fatto».

VUOLE DIRE COME LO HAN TRATTATO I MEDIA – «Meglio di no (ride ndr)… Io e la mia famiglia abbiamo subito falsità da parte dei media. Venivo definito narcotrafficante del calcio mondiale. I giornalisti dietro le notizie devono pensare che ci sono delle famiglie. Io ero in carcere, sono un uomo, ma la vera sofferenza è stata la loro. I giornalisti devono avere delicatezza ma si sono inventati delle cose di sana pianta. Leggevamo falsità incredibili perché io ero nel tritacarne ormai. Questo non l’ho trovato… Ma non ho rancore nei giornalisti».

PREFERIRE IL CALCIO O LA CHAMPIONS – «Non c’è partita, da una parte c’è la libertà di una persona che ti rendi conto di quanto vale solo quando la perdi. Il calcio è stata passione, non ho mai fatto sacrifici. Giocare 18 ore al giorno da bambino o da grande era una fortuna. Questa vicenda mi ha allontanato dal mio mondo perché la mia agenda era un agenda importante. Avevo un’accusa importante sulle spalle, la mia accusa era importante. Non ho rancore, cercavo lavoro, andavo in giro in tutta Italia per mettermi in gioco e cercare di fare calcio. È stata dura, impossibile per certi tratti».

COME E’ CAMBIATO IL CALCIO – «La nostra generazione, rispetto a quella di oggi, aveva ore di calcio in più. Mancano queste cose, ma il calcio è cambiato. Era più romantico. Rimango innamorato di questo sport, vedo 3/4 partite al giorno. Il calcio è passione pura, mi piace vederlo. Sono rientrato in questo mondo, in una veste diversa, sul tavolo ci sono un paio di proposte e vedremo. Potrò dire la mia».

OPINIONISTA O DIRIGENTE IN FUTURO? – «Non lo so, in questo momento racconto calcio attraverso Sky. Ma fare il dirigente è un’altra cosa, respirare il campo, l’adrenalina dello spogliatoio e della partita. Quello mi manca, vedremo cosa succederà».

ARRABBIATO PER NON AVER GIOCATO TITOLARE LA FINALE DI CHAMPIONS – «Moltissimo. Tutti i giornali e tifosi davano me come titolare, perché avevo giocato titolare in semifinale e ai quarti. Lippi venne da me e mi disse ‘Ti metto a un quarto d’ora dalla fine’. Non ero contentissimo, lui lo ha capito, ma quella rabbia l’ho messa quando sono entrato».

ROSE AMPIE – «Oggi le grandi squadre, l’Inter lo è, sono composte da 25 giocatori. Ci sono titolari, ma se vuoi competere a certi livelli e andare avanti in tutte le competizioni devi avere 25 giocatori. Se no non puoi raggiungere certi obiettivi».

COMPAGNI DIVENTATI ALLENATORI – «Conte e Deschamps si vedeva che avevano qualcosa in più come leadership, tatticismi, erano i primi a dettare i tempi del pressing».

LIPPI – «Teneva tutti sulla corda, questa è la capacità dell’allenatore bravo. La gestione degli uomini è più importante della conoscenza tecnico-tattica. Questo è quello che è mancato a Thiago Motta. Diventerà un allenatore bravo, importante, ma ha commessi errori in alcune partite che sono state obbrobriose. Da persona intelligente qual è si migliorerà, per lui è stata una tranvata essere mandato via dalla Juve. Diventerà un allenatore bravo sulla gestione dei rapporti personali».

TUDOR – «Conosce l’ambiente bene, ha juventinità. Si è presentato molto bene, con una prestazione importante a Roma. Abbiamo visto queste verticalizzazioni, la squadra è forte. Credo nella squadra. Ha un blocco di giocatori forti e di prospettiva, i giovani vanno aspettati».

CHIAMATA DELLA JUVENTUS – «Era il periodo che tutti imitavano Moggi e gli ho attaccato il telefono pensando fosse uno scherzo. Per me è stata una gioia immensa, ero un giocatore che si accontentava ma quando sono arrivato alla Juventus mi sono adeguato vedendo questi mostri. Non mi sentivo inferiore a nessuno, mi facevo trovare pronto quando venivo chiamato in causa. Siamo nella storia della Juventus».

TORINO – «Torino è la città migliore per giocare a calcio, potevamo girare tranquillamente e puoi fare tranquillamente la tua professione. Nella vita non si può tornare indietro, ma non avrei mai lasciato la Juventus. Ne parlai con Moggi, feci un’esperienza all’estero a 32 anni. Lui voleva mandarmi al Middlesbrough ma io andai al Crystal Palace, Moggi disse che non avevano soldi e aveva ragione. Ho perso un mucchio di soldi lì».

JUVE DEL ‘96 LA PIÙ FORTE DI SEMPRE – «Anche secondo me, era una Juve veramente molto forte».

QUANDO È STATO ASSOLTO – «Eravamo io, mia moglie e mio figlio. Ho tentennato, non ero così certo andasse bene. Solo mia moglie era convinta e mi ha dato una forza incredibile. È stata una gioia incredibile».

VIALLI – «Mi è stato sempre vicino. Era un ragazzo incredibile. Le persone come lui non moriranno mai, hanno lasciato un segno indelebile. Telefonava ogni domenica a mia moglie e questo non lo dimenticherò mai».

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